G. Gaber : Un’idea – commento e significato

Breve premessa : in questo caso, per “significato” intendiamo l’interpretazione che abbiamo voluto dare al testo, in base al nostro retroterra culturale e alle nostre esperienze; per questo motivo, vogliamo ricordare al lettore che questa è solo una delle tante interpretazioni che si possono dare al testo.
Buona lettura!

Da tempo pensavo di scrivere un articolo su questa canzone, su questa poesia. Sì, avevo proprio in mente quest’idea, ma non l’ho mai portata a compimento. E allora oggi voglio fare un atto rivoluzionario : voglio realizzare la mia idea.

Un’idea, un concetto, un’idea,
finché resta un’idea è soltanto un’astrazione.
Se potessi mangiare un’idea
avrei fatto la mia rivoluzione.

Ci troviamo nel 1972 quando un cantautore milanese, noto come Giorgio Gaber, che da ormai due anni collabora col paroliere Sandro Luperini, butta giù questo testo. Sono gli anni dell’iperpoliticizzazione, dell’impegno ideologico e allo stesso tempo della “strategia della tensione” (leggi articolo su Anni di Piombo), quindi come non parlare del rapporto tra idea e realtà?

In Virginia il signor Brown
era l’uomo più antirazzista.
Un giorno, sua figlia sposò
un uomo di colore.
Lui disse «Bene»,
ma non era di buonumore.

Il contesto è quello statunitense e la Virginia è una delle più importanti regioni del Nord America. Per diversi motivi socio-economici, il razzismo non era radicato fortemente come nelle terre del Sud (Alabama, Georgia, etc…) dove si trovavano tantissime piantagioni di cotone e dove quindi la schiavitù dei “negri” era da tempo presente. Nonostante ciò, non si deve credere che nel Nord ci sia stata una completa integrazione, perché, si sa, i pregiudizi riescono sempre a ritornare a galla. Il caso del signor Brown è emblematico (già dal suo cognome) : si pronuncia come antirazzista, forse perché imposto dalla morale del periodo (che ci troviamo negli anni ’70, anni dopo la lotta per i diritti civili degli afroamericani portata avanti da esponenti come M.L. King). Ma non appena ha a che fare con un afroamericano, i suoi pregiudizi da lui ben nascosti, si riprendono possesso di lui. Evidentemente accettava i “negri” ma li voleva tenere ben lontani da sé e dai suoi cari. Può allora dichiarare di tenere fede alla sua vecchia idea antirazzista?

 

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Ad una conferenza
di donne femministe,
si parlava di prender coscienza
e di liberazione.
Tutte cose giuste,
per un’altra generazione.

Il processo di emancipazione femminile, che ha avuto inizio nei primi anni del ‘900 con il movimento delle suffragette nel Regno Unito (richiesta di suffragio ampliato alle donne) e ha via via, anche negli altri Paesi, raggiunto diversi obiettivi come ad esempio leggi sul lavoro, l’abolizione dell’autorizzazione maritale e via dicendo. Ma ancora il livello di rilevanza sociale delle donne non era proprio lo stesso di quello degli uomini e quindi nascono i primi movimenti puramente femministi al termine del 1968 : le idee erano sacrosante, ma queste donne sarebbero riuscite a metterle in atto, o era ancora troppo presto?

 

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Su un libro di psicologia,
ho imparato a educare mio figlio:
se cresce libero, il bimbo
è molto più contento.
L’ho lasciato fare,
m’è venuto l’esaurimento.

La psicologia non è una scienza esatta, come invece può essere la matematica : non si può del tutto prevedere, calcolare, misurare, stabilirne regole al 100% scientifiche. È anche frutto di un’interpretazione personale dell’uomo. A questo punto, come si può pretendere che accada sicuramente ciò che noi prevediamo con delle idee? Se si lasciasse il figlio libero di fare ciò che vuole, non diverrebbe viziato? E i genitori non impazzirebbero? E fino a che punto potrebbe questo bambino esercitare la propria libertà?

Un mio amico voleva impostare
la famiglia in un modo nuovo,
e disse a sua moglie:
«Se vuoi, mi puoi anche tradire».
Lei lo tradì,
lui non riusciva più a dormire.

Spesso capita che, quando subiamo sbalzi d’umore, delusioni, o abbiamo semplicemente voglia di cambiare, azzardiamo una scelta – forse perché spinti dalla frustrazione o dalla tentazione – che magari fino a quel momento avevamo rifiutato di considerare. Qui l’immagine è molto forte, non la si può spiegare meglio di come faccia Gaber. Quando magari pensi al tradimento, senza averlo vissuto, dici : “ma che sarà mai, che male mi farà?”. Poi lo provi sulla tua pelle e tutto cambia.

Aveva tante idee,
era un uomo d’avanguardia,
si vestiva di nuova cultura
e cambiava ogni momento.
Ma quand’era nudo,
era un uomo dell’Ottocento.

La società di oggi in diversi casi ci impone di essere alla moda o di avere determinate idee al passo coi tempi; lo scopo è quello di essere accettati e apprezzati all’interno della società (leggi l’articolo sul Regno dell’approvazione). Così facendo, nella maggior parte dei casi, sembriamo possedere qualcosa che effettivamente non è nostro e che non fa parte di noi. Indossiamo delle maschere convenzionali  per farci belli davanti agli altri, ma quando qualcuno ci strappa la maschera, si vede quello che c’è sotto, quello di cui siamo fatti veramente.

Ho voluto andare
ad una manifestazione:
i compagni, la lotta di classe,
tante cose belle,
che ho nella testa,
ma non ancora nella pelle.

Come in un girotondo, si ritorna al punto di partenza, il fil rouge che collega tutte le strofe : il rapporto pensiero-azione. Gaber non è il primo ad analizzare questa relazione non sempre corrisposta. Prendiamo il più noto filosofo che si è occupato di questo rapporto, cioè Karl Marx. Marx si era accorto che al piano dell’idea, soprattutto tra i suoi “colleghi” filosofi, non corrispondeva quello dell’azione. “I filosofi hanno finora solo interpretato diversamente il mondo; ma ora si tratta di trasformarlo”, scriveva così nel 1845 (Tesi su Feuerbach). Il pensiero verrà più avanti ripreso e valorizzato da Antonio Gramsci, che definirà il marxismo “filosofia della praxis”, una filosofia che vuole applicare alla realtà quanto dice, attraverso l’azione, attraverso la lotta di classe, il cambiamento, la rivoluzione. Anche Gaber, come Marx e Gramsci, partecipava alle manifestazioni, agli scioperi e agli incontri, e proprio come questi due, prendeva consapevolezza del divario tra l’idea e la realtà, tra il pensiero e l’azione, tra l’idealità dell’idea (consentitemi questo gioco) e la materialità dell’azione. Le manifestazioni erano piene di uomini che urlavano alla rivoluzione, cantavano cori di lotta, discutevano sulla necessità di una coscienza di classe, ma una volta terminata la manifestazione, terminava tutto. O almeno, non cambiava nulla : quei pochi ben intenzionati magari si attivavano per provare ad attuare dei cambiamenti, ma la maggior parte si accontentava dei discorsi, delle canzoni, degli scioperi e delle idee, dimenticando che ciò che abbiamo dentro la nostra testa non è quello che si trova esattamente nella realtà, e che se modifichiamo le nostre idee, il piano della realtà, quello materiale, resta invariato.
Insomma, riprendendo la fine del dialogo che introduce questa canzone, “un’idea, modificarla, cambiarla, elaborarla, non ci vuole mica tanto… È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa”.

 

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Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..