Tanto noi non abbiamo segreti, no? – Il messaggio dietro al film “Perfetti Sconosciuti”

Marco Giallini, Anna Foglietta, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston e Kasia Smutniak si trovano intorno ad un tavolo, seduti. Davanti a loro, un piatto di gnocchi. Si ride, si scherza, si raccontano aneddoti e si discute su tematiche “importanti”, come il matrimonio, i figli, il lavoro. Alle loro spalle: Paolo Genovese, pronto a gridare “STOP” al primo errore degli attori.

Da qui si evince che non si tratta di una cena fra amici.

Si tratta infatti dell’opera magistrale del sopracitato Genovese, che prende il nome di “Perfetti Sconosciuti”, uscito ormai quasi due anni fa.

Il film, vincitore di due David di Donatello, narra la storia di una cena, organizzata in onore dell’eclissi di luna, a casa di Eva e Rocco – lei analista, lui chirurgo plastico, sposati e con una figlia di 17 anni. Gli invitati sono Carlotta e Lele – la tipica coppia che sta insieme da troppo tempo, che ormai fatica perfino a rivolgersi parole che non siano riguardanti gli interessi dei due figli; Beppe, l’amico divorziato che da poco ha trovato una nuova fiamma – Lucilla; ed infine Cosimo e Bianca, la coppietta sposata da poco, i più teneri, i più – si direbbe – felici.

Nell’attesa che i piatti vengano serviti in tavola, i compagni iniziano a discutere su come “un messaggino” possa “sfasciare un matrimonio“, riferendosi ad un fatto successo recentemente ad una coppia che faceva parte del loro gruppo. Ognuno di loro commenta con il proprio pensiero, ma Eva no. Eva propone un gioco: dalle parole degli amici, sembrava che nessuno di loro avesse segreti che non fossero già stati rivelati ai presenti. Allora, dice Eva, scopriamolo.

Il gioco consiste nel mettere sul tavolo i propri cellulari e, nel corso della serata, ogni chiamata o messaggio ricevuti verranno ascoltati e letti da tutti. E’ qui che ha inizio un fatale conto alla rovescia, come una lenta esecuzione in cui, piano piano, ogni invitato a quella cena perderà la sua (seconda) vita.

“Perfetti Sconosciuti” è un film duro. “Perfetti Sconosciuti” fa male. Fa male perchè ognuno di noi nasconde, all’interno della memoria del suo cellulare, dei segreti. Segreti leggeri o gravi, che possono variare tra una partita di calcetto tenuta nascosta all’amico che, invece, viene invitato solo quando manca il portiere ed un tradimento, magari neanche considerato tale, poichè “virtuale”.

E chi, tra di noi, fa ancora parte di quella ormai piccola cerchia di persone che non tiene nascosto niente ai propri cari.. “Perfetti Sconosciuti” non risparmia neppure loro, perchè chi non ha segreti, subisce e soffre per i segreti degli altri.

Il film non accontenta solo gli amanti del buon cinema. Chi ha occhio per i simbolismi, noterà come un personaggio tra tutti sia il più “puro”, il quale tiene celato alla moglie solo il rapporto di complicità con la figlia e, dopo che tale rapporto viene svelato a seguito di una telefonata da quest’ultima, la camicia azzurra che lui indossa si macchia di vino, costringendo l’uomo ad andarsi a cambiare. Al suo ritorno, veste una camicia bianca, simbolo artistico universale dell’innocenza.

Per quanto riguarda il finale, nessuno tra il pubblico si aspetterebbe un lieto fine: troppe cose si sono lacerate ed infrante nel corso della storia, non si può pretendere che in qualche modo tutto possa magicamente riaggiustarsi. Ed infatti non può. Ma Genovese non pare d’accordo con il concludere il suo così eccellente capolavoro in tragedia: Genovese, quel lieto fine, ce lo vuole dare.

Il problema è che “Perfetti Sconosciuti” è così umano, così reale, da rendere un lieto fine il finale più duro, amaro ed – in qualche modo – insoddisfacente che potesse mai essere scritto.

Ogni volta che si guarda un film, ci si dimentica del mondo e ci si sente come catapultati in un’altra realtà. “Perfetti Sconosciuti”, invece, ti catapulta nell’unica realtà esistente. Quella che ti fa ridere, quella che ti dilania. E ricorda allo spettatore che, in questo mondo, tutti noi “siamo frangibili, chi più, chi meno”. E probabilmente, questo, non andrebbe mai dimenticato. Neanche quando si guarda un film.

Sabrina Pintor