Westworld e l’apologia della violenza

Se al mondo esistesse un gioco, un parco divertimenti super realistico, dove tutto è lecito a parte essere uccisi, lo provereste?
Westworld, fulcro narrativo dell’omonima serie tv, ideata da Jonathan Nolan (fratello minore del noto regista di Inception e Memento, Christopher Nolan) e Lisa Joy per HBO, è esattamente questo.

A cura di Silvia Genovese

In un futuro non meglio specificato viene creato un parco divertimenti a tema western, Westworld. Il parco è popolato da robot in tutto e per tutto uguali agli umani, ognuno con storia e rapporti interpersonali ben delineati da linee narrative che, nonostante l’intervento degli “ospiti” (coloro che partecipano al gioco), rimangono sempre le stesse, giorno dopo giorno.

L’esperienza all’interno di Westworld è estremamente realistica, ma non solo: tutto quello che viene fatto all’interno del parco non ha ripercussioni sul piano morale.
Il gioco si trasforma così in una situazione di estrema violenza, in cui per 40000 dollari al giorno le persone si trovano a far parte di una società allo sbando in cui poter “sfogare” liberamente i propri impulsi fisici (non solo violenti, ma anche sessuali), senza alcuna paura.

Non ci sono regole, ma cosa più importante, all’interno di Westworld non si può venire uccisi. Si delinea subito una condizione di disparità fra gli ospiti, i quali possono fare qualunque cosa vogliano anche a livelli estremi di violenza (torture, stupri, omicidi), e i “residenti”, robot fisicamente indistinguibili dagli umani con un livello di coscienza ridotto, ma pur sempre alto, costretti a subire qualunque azione e ignari di tutto. La vita dei robot si ripete sempre uguale a ogni ciclo narrativo, e qualunque cosa venga loro fatta, essi vengono semplicemente riaggiustati, eliminando la loro memoria, per poi ricominciare tutto da capo.

È così che gli androidi diventano capri espiatori di una società super avanzata nella ricerca tecnologica ma troppo impoverita a livello umano per porsi il problema. E in un mondo in cui gli impulsi vengono sempre più giustificati, la violenza è in questo modo razionalizzata, circoscritta e in qualche modo liberalizzata. Uccidere e stuprare vengono paragonate a un gioco, tolte di ogni peso, messe a livello di uno scherzo di poco valore e reversibile.

E guardando Westworld viene da pensare a quanto già siamo sulla strada di una tale apologia della violenza, quando essa già viene insegnata dai social network e normalizzata da partiti politici che non solo la approvano, ma la sostengono.

E se il parco a tema dove tutto è possibile esistesse già, le persone non si sarebbero già accalcate per partecipare al perverso gioco che accetta l’abuso come puro divertimento? Penso di sì.

Westworld è un piccolo capolavoro di trama, cast, intrecci, ma guardarla mette i brividi. Lo scopo inquietantemente “liberatorio” del parco non è il centro della storia soprattutto all’inizio, ma la domanda che si delinea nella mia testa, importante, è: quanti guardando la serie fanno effettivamente caso a quello che succede?

Credo basti un piccolo sforzo di fantasia e un minimo di empatia per capire che da tutta questa violenza non siamo così lontani, e che, pur non essendo androidi, i capri espiatori sono sempre esistiti e sempre esisteranno.
E se la storia effettivamente si ripete, chissà, forse il parco un giorno esisterà davvero.

Ma ha ragione il robot più vecchio del parco, Dolores (interpretata da Evan Rachel Wood), quando ripete, durante tutta la serie:

these violent delights have violent ends.

Qui il trailer della serie: