Virgilio : l’amor che tutto vince

Leopardi leggeva Virgilio.
Ce lo dice lui stesso, ce ne parla con ardore, fuoco, amore, amore, amore, entusiasmo, vita.
Lo leggeva preferendolo all’arida ed attica prosa del Cicerone.
Lo leggeva, e tutto si trasferiva in lui, acquisendone lo stile, le cadenze, quella leggerezza nei versi.
Forse non a caso nel Leopardi comparirà più avanti il personaggio del pastore, che contempla, dentro il paesaggio e tuttavia fuori, un ente a sè nel mondo in cui tuttavia incessante presiede.
Forse aveva in mente i pastori di Virgilio, forse l’ottavo canto dell’Iliade, dove la luna, placida e assorta, posa.
Quei pastori virgliani de le “Bucoliche“, forse meno famosi di quell’Enea che si addentrò nelle viscere di Tanàtos alla scoperta di quella che era vita, vera vita. La vita nella morte.
Forse meno famosi e tuttavia arcadici, belli, una bella compagnia che t’accoglie, con i tuoi occhi fissi su quegli eleganti endecasillabi sciolti, fluens, fluens Virgilio, quando più la tempesta infervora e anzichè il paesaggio Romantico tedesco prediligi la calma della campagnia.
La “bucolità” delle Bucoliche.
E li trovi sempre là.

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C’è un egloga in particolare che mi attrae ed è un buon rifugio di carta quando l’amor carnale e moribondo perversa, e vuoi sentirti meno solo, vuoi sapere che c’è qualcun altro che si sente dominato dalle incessanti catene di Eros, che ha provato, che dire, a liberarsi, e tuttavia senza successo. Si era impegnato, davvero, ma niente. Amore aveva prevalso.
Amor che muove il Sole e le altre stelle.
Amor, com’ei travaglia.
Amore che vince tutto. E noi cediamo ad Amore.

L’egloga in questione è la decima, X, e il noster amatus Virgilius la dedica all’amico Cornelio Gallo, padre ipotetico dell’elegia latina, di cui abbiamo in realtà solo 10 versi dei suoi “Amores“, pervenuti solamente nel 1979.
In parole povere, l’elegia latina, sviluppatasi nella seconda metà del primo secolo a.C prevedeva un assoluto servizio dell’amato verso la donna amata, la domina, capricciosa ed incostante, che procurava un dolore di cui il poeta in realtà si pasceva.
Cornelio Gallo si trova dunque innamorato di Licòride. Il fattaccio avviene al compimento di un dovere militare di Cornelio che, tornato in patria, scopre l’amata fuggita con un altro.
Virgilio avrebbe potuto semplicemente consolarlo, una pacca sulla spalla e via, da buon amico.
E invece no, perchè Virgilio è Virgilio.

Si dice che ogni testa è un mondo.
Virgilio cercò di prendere il mondo dell’amico, quello fatto di servizi all’amore, di pascimenti di dolore, di frustrazione e di dominazioni, di eccessivo pathos per portarlo nel suo, quel mondo arcadico, bucolico e idillico fatto di pastori e mancanza di pensieri, dove Roma, la politica, tutto, anche la sofferenza, pare stagliata all’orizzonte, irraggiungibile, presente eppur volutamente ignorata con successo.
Cornelio accetta questa sfida.
Fammi imparare, Virgilio, come si smette di amare.

Virgilio sorride, e crea per sempre.

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Aretusa, tu che da Artemide acqua fosti per scampare l’Alfeo, io ti invoco.
Concedimi di cantare ancora qualche verso (si tratta dell’ultima egloga delle Bucoliche) per il mio Cornelio Gallo, e fa che li legga anche lei, spudorata, domina capricciosa, lei, Licoride.
E allora Virgilio canta.
Canta, gli amori tormentati di Gallo, e non cantiam al vento, ma alle selve, ed esse ci risponderanno, mentre le caprette (elemento bucolico, ergo del mondo virgiliano) teneramente brucano l’erba.
Ninfe bambine, dispettose, Naidi, perchè voi non accorreste quando Gallo si struggeva per amore, Ninfe crudeli dell’acqua?

E qui gli elementi bucolici virgiliani entrano con prepotenza nel dolore elegiaco di Gallo, con l’intento di mostrargli, emblema del mondo virgiliano, quando questo mondo di prati e pastori, dove la sofferenza non esiste, possa essere balsamo al suo doloroso amore. E farlo sparire.

Accorsero, al pianto di Gallo, gli allori, le tamerici salmastre ed arse, i pini scagliosi ed irti, le pecore lo circondano, giunge il pastore, i porcari, e tutti gli chiedono:
“Da dove codesto tuo amore?”
E si scomoda Apollo, dio del Sole, fratello di Artemide, Luna, il Dio della Poesia, delle Arti e di tutto ciò che il bello ha.
“Gallo, perchè sei pazzo? Licoride, l’amore tuo, rincorse un altro!”
E poi intorno a Gallo, circondato dalla “bucolicità”, accorre Silvano, accorre Pan.
“Ci sarà limite al tuo soffrir? Amore non bada a questo, nè Amore crudele si sazia di lacrime, nè i prati dei corsi d’acqua, nè le api di citiso, nè le caprette di fronde.”

E allora Gallo, quel Cornelio Gallo dal cuore infranto dalla bella ed infedele Licoride, attorniato da capre, pecore, pastori, da un mondo bello, perfetto, macabro nella sua quiete, quel mondo ideale, idealissimo assai e tuttavia… Non suo.
E allora Gallo esplode.
E parlò.
“Arcadi, canterete questa mia sofferenza sulle vostre montagne. Come, come dolcemente le mie ossa quiete starebbero, se la zampogna vostra cantasse l’amor mio! Ah, se io fossi un pastore, allora sarebbe diverso, allora in questo tuo mondo, Virgilio, potrei entrare.
Ah, s’io fossi pastore, custode del gregge, dell’uva matura vendemmiatore! S’avessi allora amato Fillide, Aminta o chiunque altra tra le docili pastorelle, sotto la vite flessuosa tra i salici ora giacerei, e la prima intreccerebbe ghirlande di fiori per me, la seconda col canto m’allieterebbe.
Licoride… Licoride!
Se tu fossi qui, vedresti le fresche sorgenti, il verde dei prati, qui con te mi lascerei consumare dallo stesso scorrere del tempo!
Certo.. Certo è bello, preferibile almeno soffrire per i boschi, incidere il tuo nome, amata immortale, sulla tenera corteccia degli albberi.
Cresceranno quelli, crescerete anche voi, o amori.”

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e3/Vergilius_Maro_-_Bucolica,_A._D._MCCCCLXXXI_die_ultimi_februarii_-_2463993.jpg
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Eppure..
No, Cornelio Gallo non sa.
Sarebbe bello, certo, il bosco. Se non per un amore pastorale o per la mancanza di sofferenza, almeno per una vita sopportabile, ecco, vivibile. Anche senza la sua Licoride.
Entrare nel mondo dell’amico, lasciarsi guidare dalla guida di Virgilio (non dimentichiamoci del suo ruolo nella “Divina Commedia”…), dargli la mano ed affidarsi, ormai stanco, stanco di codesta piaga d’amore in mezzo al petto.
Ma Cornelio non è Virgilio. Anche Cornelio ha anzi un mondo a cui pensare, un suo mondo, che di certo non può abbandonare così, per Lircoride, per il suo pubblico, per la sua elegia latina. Lui ne è il padre. Sarebbe come abbandonare il figlio.
E Licoride.. L’amore, può mai vincersi, l’amore?:

“No, Virgilio, ormai non mi piacciono già più le tue Ninfe del bosco, e nemmeno i loro canti. E voi, selve, potete andarvene. Le nostre sofferenze non possono cambiare quel dio, Eros, nemmeno se beviamo l’acqua dell’Ebro in mezzo al gelo ed affrontiamo le nevi sitonie del piovoso inverno, nè di certo portando le pecore al pascolo. Perchè Amore vince tutto, e noi cediamo ad amore.
Andatevene tutti, alziamoci, l’ombra suole essere nociva, andate all’ovile ormai sazie, si fa sera, andate, o caprette.
Nulla può, quod
Omnia vincit amor, et nos cedamus amori”.

Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...