Italia, paese (in)civile

Italia, paese (in)civile : uno sguardo al vecchio stivale.

 

Ore 7.00 del mattino di un focoso martedì di luglio.
Una signora, ben vestita, nonostante l’orario poco trafficato, porta a passeggio il suo cagnolino, dotato di elegante guinzaglio e ben nutrito. I primi passetti sono sincroni, dieci centimetri la signora, altrettanti il cagnolino, il quale, però, ad un certo punto, si ferma per espletare i propri bisogni fisiologici. Tutto normale, se non fosse che la signora, forse immersa in pensieri troppo aulici per compiere quel gesto miserabile, continua noncurante per la sua strada, senza mostrare il minimo interesse per ciò che in quel momento aveva lasciato al centro del marciapiede il suo animale. Mi avvicino e chiedo alla signora se gentilmente potesse compiere il suo dovere, dato che, comprensibilmente, è molto fastidioso incontrare nel proprio cammino roba del genere; la sua risposta, per la quale faticosamente si riesce a trovare una logica spiegazione, è : “devo andare al lavoro, non posso perdere del tempo, mi spiace”; e continua così la sua strada, senza dare la possibilità di controbattere.

Adesso, è chiaro che il lavoro è sacrosanto, così come sancito anche dall’articolo 1 della Costituzione italiana, ma la gravità del fatto non sta nella “premura” della signora, quanto nella noncuranza del proprio paese; un po’ come quando, a scuola, le maestre, già sin dall’asilo, ci istruivano dicendo che non dovevamo né sporcare i banchi né le sedie, perché erano nostre. Chi di noi non ha sentito la frase “Tu disegneresti sul tavolo di casa tua?”, molto ricorrente ed efficace come rimprovero, anche perché, come altre, faceva riflettere sul fatto che “comune = di tutti, dunque anche mio”.

 

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Menzione doverosa va anche verso chi getta le cicche delle sigarette in strada, pensando che, essendo sottili, non facciano la differenza, oppure, ancora peggio, nascondendosi verso la solita, patetica e retorica risposta del “fanno tutti così”. L’unica risposta, in questo caso, a mio modesto parere, dovrebbe essere “chi vuol muovere il mondo prima muova se stesso”, sperando così di far capire al nostro interlocutore che magari se cominciasse a non farlo lui, gli altri lo seguirebbero, e allora sì che avrebbe senso dire “non butto la cicca per terra perché fanno tutti così”, riutilizzando la sua frase in senso contrario.

 

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Il mio vuole essere un articolo di denuncia sociale, per sensibilizzare tutti noi, per farci riflettere prima di compiere un’azione che potrebbe essere nociva per noi stessi e per gli altri. Forse questo non riuscirà a cambiare nessuno, o forse sì, ma, anche in questo caso chi vuol muovere il mondo, prima muova se stesso.

 

Antonino Bertani