Un genio dietro le quinte

UN GENIO DIETRO LE QUINTE : WOLFGANG AMADEUS MOZART

“Qual è stato il maggior compositore di sempre?”
E ognuno direbbe Wolfgang Amadeus Mozart, non ci piove.
Probabilmente la risposta sarebbe Mozart anche alle domande “Di chi è questa opera? E questa? La Marcia Turca? Quest’aria amorosa? Questo minuetto per flauto?”.
Insomma, Mozart c’è in tutte le salse: non si può nominare l’opera tedesca o italiana, il clavicembalo, l’Austria, Salisburgo, Vienna senza citarlo anche solo una volta.
Su di lui sono state scritte decine di libri, opere in onore di Mozart, canzoni dello Zecchino d’oro per Mozart (di cui tra l’altro consiglio vivamente l’ascolto, nonostante il motivetto “A Salisburgo antica città c’era una mamma e c’era un papà” possa risuonare in testa senza fine portandovi all’esaurimento), hanno fatto perfino le palle di Mozart, e qui direi che abbiamo raggiunto il limite.
Ne sanno tutti di Mozart, insomma.
Ma ne sanno davvero tutto?
Chi era davvero Amadeus, e cosa si nascondeva dietro quel meraviglioso enfant prodige?

Mozart, o, se preferite, Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart, nacque il 27 gennaio 1756, a Salisburgo, ed è probabile che siate già a conoscenza del suo precoce talento: a tre anni suonava con dimestichezza il clavicembalo, a quattro suonava pezzi brevi, a cinque componeva, a sei era in tour. Senza dimenticare il famoso orecchio assoluto, capacità di riconoscere l’altezza dei suoni ad orecchio, cosa che lo giovò e non poco.
Ma è probabile che non sappiate invece come fisicamente Mozart apparisse. Probabilmente nell’immaginario collettivo è rappresentato come un uomo affascinante, alto e slanciato, occhi blu, mani da pianista. Molto lontano, in realtà, da ciò che Wolfgang era davvero: non si poteva definire propriamente brutto, ma non colpiva, né era particolarmente attraente. Non era alto e slanciato, ma arrivava a malapena ai 152 centimetri.

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Alto 152 centimetri, presentava una testa grossa, sproporzionata rispetto al corpo minuto, e un prominente naso aquilino. I suoi occhi erano profondi ed azzurri, e si ritiene che fosse un po’ miope. Il suo punto forte erano probabilmente i capelli: a detta del tenore irlandese Michael Kelly, aveva «una capigliatura bionda, folta e bella», che teneva con cura ed eleganza incipriadola più volte al giorno. Impazziva per le parrucche, specialmente per quelle con i fiocchi e seguiva spesso la moda del momento per quanto riguarda i vestiti: vigevano i colori vivaci, e lui aveva una vera e propria passione per le stoffe rosse. Se ancora stentate a credere che Mozart fosse davvero così, esistono molti suoi ritratti, e i più veritieri sono senz’altro quello eseguito (rimasto incompiuto) da Joseph Lange nel 1789 (ora custodito nel Mozarteum) e il ritratto del compositore con l’ordine dello Speron d’oro, probabilmente il più somigliante. La maggior parte degli artisti ritrae sempre un Mozart dalle fattezze sensibili e gentili, un’espressione che si dice fosse sua caratteristica.
Aveva un’evidente deformazione dell’orecchio sinistro, ancora oggi chiamata «orecchio di Mozart», deformazione non associata a un’anomalia interna né, come si pensava una volta, a un eccezionale talento musicale. Franz Xavier, il figlio del genio, ereditò dal padre la fisionomia e tale deformazione, tanto che fu usato spesso come modello per dei Wolfgang in seguito alla sua morte. Si dice poi che il volto di Mozart presentasse numerose e leggere cicatrici in seguito  alle lunghe e sofferte malattie infantili (febbri varie e vaiolo) e aveva un colore giallognolo -escludendo il pallore degli ultimi mesi di vita-  mentre le mani erano particolarmente piccole e paffute.

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Caratterialmente, Mozart era dotato d’un finissimo istinto psicologico, dote assai precocemente sviluppatasi in lui, autentico drammaturgo: vedeva gli uomini cosí come essi gli apparivano. Sovrani o musicanti, giudicava tutti con lo stesso inesorabile criterio, ignorando il loro rango e la loro influenza. Non approfittò dunque, al contrario del padre, di usare le persone in base ai criteri razionali che le distinguevano. E tenendo conto della società del tempo, ma anche, oserei dire, di quella odierna, non si poteva dire che sapesse “stare al mondo”: “troppo candido e fiducioso”, scrive di lui Melchior Grimm, incapace di battersi contro gli egoismo e gli intrighi della società, per cui si trova costantemente spiazzato. Un ingenuo, innocente, un eterno Peter Pan. Non pochi sfruttarono la sua bontà d’animo, senza poi più curarsi di lui, generoso e cordiale benefattore, cosí precocemente maturo in arte ma rimasto eternamente bambino in tutte le contingenze della vita. Infantilità e malinconia: le due principali componenti di un grande spirito, secondo Schopenhauer. Troviamo infatti motivi di malinconia ancorati nel fondo della musica mozartiana, e quella giocondità di spirito che inconsapevolmente si oppone alle contrarietà della vita. Da essa l’umorismo malizioso e volgaruccio che spesso trapela anche dalla sua musica come luminoso atto liberatorio. Ereditò l’ironia paterna e l’allegria spesso “da taverna” della madre. Tutto poi fuorchè un misantropo, come spesso invece lo definivano quando diventava di colpo riservato e schivo, immerso nel “suo mondo”, in cui era la musica a ergersi sul resto, quando nemmeno la “giocosità” riusciva a distrarlo. Amava però le compagnie allegre e grossolane che lo aiutavano ad allontanare le preoccupazioni e ad esaltare la sua infantilità e il suo umorismo. Molti dei suoi piccoli deliziosi lavori nacquero cosí, in una serata tra amici, un bicchiere di vino generoso e una forte tazza di punch. Quando aveva denaro prevaricava spesso e volentieri tra osterie e donne per poi ridursi a vivere parecchi giorni di solo pane e caffè. Gli era insomma propria quella spensieratezza tipicamente austriaca che non si cura del domani, che ostenta fierezza nel trasportarsi alle dolcezze dell’arte passando sopra alle contingenze della vita, e sa disarmare ogni rimprovero con un sorriso arguto e rassegnato. Anche per questo la sua vita fu segnata da periodi di povertà estrema e periodi di lusso, i quali però non erano soliti durare in casa Mozart.
In società mostrava quell’amabilità fatta di discrezione, di tatto, di slanci generosi; e con la stessa disinvoltura, la stessa innata gentilezza sapeva muoversi in ogni ambiente sociale. La parte più viva che di lui ci rimane sono le lettere, di cui molti tratti, caratteristici ma «scandalosi» dal punto di vista famigliare, vennero soppressi dalle perplessità. Le famose lettere alla «cuginetta» augustana rimasero per lungo tempo sottratte alla posterità, ma anche questi documenti costituiscono una parte insopprimibile della personalità umana del Maestro, unici per quel tono di schietta e intima cordialità che improvvisamente balza fuori ad illuminare il linguaggio piuttosto grassoccio.

Per quanto riguarda l’amore, tormento e passione segnarono la vita di questo colosso musicale.
Due le donne della sua vita: la snella, affascinante, musicalissima Aloysia Weber, che per prima seppe infiammare il suo cuore passionale, e la cuginetta augustana, compagna di quei suoi deplorevoli svaghi, oscillanti fra un erotismo verbale spinto agli estremi e quelle zone di primordiale animalità nelle quali riusciva a placarsi il ritmo febbrile della sua fantasia. Con Alosya invece l’amore sbocciò al compimento dei 22 anni di Mozart. Fino ad allora, l’amore era sempre stato in secondo piano rispetto ai progetti e alle ambizioni musicali. Mozart conobbe Alosya iniziando a frequentare la famiglia Weber, copista con 4 figlie. Un colpo di fulmine: un amore per le sue fattezze, ma anche per l’animo e il talento canoro. Terribile il brusco congedo subito dalla donna, calcolatrice e spietata. Questa pagina dolorosa gli rimase indelebilmente impressa nell’animo, né egli riuscí mai più a cancellare dalla sua mente la bella fanciulla. Un’ossessione che finí col gettarlo fra le braccia di Costanza Weber, forse più insiginificante di Alosya, ma dotata dello stesso affascinante arcano sessuale.
Il matrimonio altro non fu per lui che una ripetizione borghese del suo primo amore. E ciò spiega la tenerezza, la dedizione che, malgrado le  scappatelle sia eterosessuali che omo, conservò sempre alla moglie. Le loro lettere costituiscono la prova più genuina dell’assoluta dirittura dei loro rapporti. Se egli usciva dal binario coniugale, la moglie, con un viso un po’ agrodolce, chiudeva un occhio: «Finché si tratta di servette…», diceva. Del resto, entro certi limiti, nemmeno la condotta di lei pare sia stata rigorosamente canonica. Era egli stesso ad ammettere la sua grande debolezza al gentil sesso, e quando s’invaghiva di una donna (ed erano molte) incominciava subito a stuzzicarla con sciocchezzuole e scherzetti galanti fino a che non giungeva a concludere una breve avventura.
Ma l’autore del «Figaro» e del «Don Giovanni» non fu né un libertino sfrenato né un donnaiolo solo per pura sete di avventure erotiche: seppe cogliere le occasioni favorevoli con gaia mascolinità ma le persone pulite le trattò sempre con assoluta dirittura, mischiando spesso arte e amore, prendendo quelle anime che coloravano i suoi sentimenti e trasfigurandoli poi nelle sue opere. Gli amori mercenari li evitò per tutta la vita. Fu assolutamente negato alle cose platoniche e ancor più alle languide fantasticherie romantiche, lontanissime dalla sua serena sensualità. In amore, insomma, egli si mantenne sempre sano, integro, virile; pare fosse il tipico uomo che cadeva spesso in preda ad amori non corrisposti e a conseguenti delusioni (come, appunto, quella per Alosya).

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Numerosi gli aneddoti mozartiani che rendono maggiormente l’idea del genio e del carattere del compositore austriaco.
Nel 1770 Mozart, allora 14enne, durante il soggiorno romano nel periodo pasquale, ebbe modo di ascoltare l’esecuzione del celebre Miserere di Gregorio Allegri. Lo spartito era proprietà esclusiva della “Schola cantorum” della Cappella Sistina ed era proibito leggerlo o copiarlo, pena la scomunica. Il giovane Mozart, dopo averlo ascoltato una sola volta, lo trascrisse a memoria, perfettamente.
Celebre poi quel giorno in cui Mozart portò a Haydn uno spartito per pianoforte, giudicandolo “impossibile da eseguire”. Con totale sicurezza Haydn lo suonò perfettamente, interrompendosi però quando si rese conto che davvero era impossibile: le due mani erano alle estremità del pianoforte, e la nota da suonare era al centro. Mozart sorrise ironico. Si sedette davanti al piano, e arrivato al punto critico abbassò la testa e suonò la fatidica nota con il naso.
Della sua esuberanza e schiettezza sono invece testimoni l’episodio in cui chiese la mano di Maria Antonietta, a soli 6 anni, e quello in cui alla prima del Don Giovanni, ribattè all’Imperatore che si era lamentato dell’ingente numero di note:
“Si, ma non una di troppo!”
E, in effetti, non aveva tutti i torti.
Le note di Mozart potranno essere troppo belle, sublimi, incantevoli, amene.
Ma mai, mai troppo.

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Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...