Hiroshima e Nagasaki : il disastro

8.15 del mattino del 6 agosto del 1945.
Una bomba atomica (“Little Boy”, Mk.1) viene sganciata da un aereo americano nei pressi di Hiroshima, in Giappone, causando la morte di 60.000 e più persone (si arrivò a 285.000 nel 2002) e creando numerosi danni all’ambiente, alle città e alla stessa salute della popolazione presente e di quella futura (basti pensare alla presenza di scorie radioattive).

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11:02 del mattino del 9 agosto del 1945.
La bomba Model 1561 (“Fat Man”) viene sganciata dal bombardiere B-29 delle U.S. Army Air Force nei pressi di Nagasaki in Giappone (in realtà l’obiettivo primario era la città di Kokura, sopra la quale non vollero sganciare la bomba poiché coperta dalle nubi). Il numero delle morti immediate oscilla tra i 20.000 e i 40.000, con circa 25.000 feriti. Le radiazioni, in seguito, fecero la loro parte.

 

 

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Ma ripartiamo quasi da zero.

Il 27 settembre 1940 il Giappone firma, insieme ad Italia e Germania, il Patto Tripartito (“Asse Roma-Berlino-Tokyo”), attraverso il quale, ogni potenza si “affermava come guida” (cercando appunto di ottenere, anche attraverso l’alleanza, la sovranità) di diversi territori : la Germania dell’Europa, l’Italia del Mediterraneo e il Giappone dell’Estremo Oriente. Era anche una “spartizione” dei territori in caso di una vittoria da parte delle potenze dell’Asse (vittoria auspicata dati i numerosi successi ottenuti da Hitler, tra i quali, la resa della Francia). Il Giappone, intanto, con la forte spinta di un governo nazionalista, aveva già invaso la Cina nel 1937 (approfondimento qui PBM Storia). La spinta nazionalistica fa sì che il Giappone attacchi (senza preavviso) la base navale americana di Pearl Harbour, nelle Hawaii, il 7 dicembre 1941, costringendo gli americani ad entrare in guerra. Ma come si sa, gli americani (almeno fino ad allora), non avevano mai perso una guerra ed era impossibile non aspettarsi da loro una seria reazione. Però questa volta erano stati colti d’improvviso, e dunque, nonostante la reazione di qualche aereo-caccia, lo scontro finì lì. Ovviamente, l’america alimentava la sua sete di vendetta : si può notare da quanto disse l’ammiraglio W. Halsey dopo l’attacco.

 

Non la faremo finita con loro, finché il giapponese non sarà parlato solo all’inferno

 

“Indignati”, “arrabbiati”, “offesi”, erano parole che giravano tra le voci degli americani.
“Infami”, “vili” e “codardi”, dagli americani ai giapponesi.
Persino il democratico F. D. Roosevelt (Presidente degli USA) non riuscì ad accettare l’accaduto.

 

“Ieri, 7 Dicembre, data che resterà simbolo di infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell’impero giapponese…”

(F.D.Roosevelt, discorso alla Nazione, 8 dicembre 1941)”.

 

Gli Stati Uniti, già interessati a difendere (per legami economico-politici) le Democrazie europee (Inghilterra, Francia, etc..) dall’avanzata del nazifascismo, entrarono in guerra al fianco delle “potenze alleate” (tutti gli stati ostili all’Asse).

Come ben sappiamo, attraverso le varie conferenze (Arcadia, Washington, Casablanca e Teheran, tenutesi tutte tra il ’41 e il ’43), si organizzarono i vari progetti e si pianificarono le varie operazioni militari che videro le potenze alleate smantellare a poco a poco l’Asse, fino a costringere l’Italia a “tradire” Hitler, lasciandolo in solitudine con il Giappone, con la Bulgaria e con altri stati di poco conto. La Germania, però, aveva già invaso quasi mezza Europa (Italia compresa), il Giappone aveva occupato Filippine, Indocina e Singapore e l’Italia una povera Etiopia. La principale sconfitta registrata dall’Asse fu quella d’Egitto, ad El Alamein (24 ottobre 1942), ad opera dell’Inghilterra : da lì in poi, le potenze filohitleriane, furono protagoniste di un crollo epocale che culminerà con l’invasione della Germania (capitolazione di Berlino, ad opera di USA e URSS, 7-9 maggio 1945), il suicidio dello stesso Hitler e la liberazione degli stati che si trovavano sotto il dominio di queste potenze.
Parentesi fondamentale è quella del Giappone : l’impero non voleva arrendersi in alcun modo, la forza nazionalista spingeva ancora avanti, nonostante tutte le frenate e gli “STOP” imposti da inglesi e americani in Asia e nel Pacifico.
Il 26 luglio ’45, nella “Conferenza di Potsdam”, il neo-presidente americano Truman (succeduto a Roosevelt, morto il 12 aprile dello stesso anno) e gli Alleati fissarono i termini per la resa del Giappone, ma il governo militare respinse ogni dichiarazione. L’URSS, spinto dagli angloamericani (con l’intento concludere direttamente la questione nipponica) e con la voglia di confermarsi la più forte potenza in Oriente, l’8 agosto invade la Manciuria, spingendo i nipponici ad una vera e propria resa (avvenuta il 2 settembre ’45, nonostante URSS e Giappone fossero legati ad un patto di non-aggressione firmato a Mosca il 13 aprile 1941); nel frattempo, gli americani erano occupati a sganciare le bombe (6-9 agosto ’45).

Il gesto fu comandato dallo stesso presidente americano, che probabilmente non pensò alle conseguenze, ma alle motivazioni da dare a tutti (divenute poi giustificazioni, nei dibattiti successivi al conflitto) : il deterrente contro ogni nuova guerra (come se, dopo il lancio della bomba, i paesi di tutto il mondo vivano in una pace eterna), la conferma della supremazia militare, tecnologica e politica degli Stati Uniti, la “minaccia” all’URSS che poi darà vita alla guerra fredda e “l’ultimatum” lanciato al Giappone che non voleva mollare dopo la resa della Germania e le varie sconfitte riportate in guerra.

 

Ma tutto ciò non è giustificabile, qui, dove manca il rispetto della vita umana (come in altri tanti e diversi episodi di questo conflitto e non solo), della vita di poveri e innocenti civili, che molto probabilmente non sanno nemmeno come sono morti e, mentre facevano azioni quotidiane come lavarsi, andare a lavoro o darsi un bacio, si sono ritrovati chissà dove. Bambini, ragazzi, anziani, uomini e donne come noi, morti così, innocentemente e inconsapevolmente, esplosi nel bel mezzo di un disastro nucleare, morti per crolli di edifici o abitazioni; gente che magari in quel minuto stava per sposarsi o salutarsi o che stava pregando, aiutando un vecchietto ad attraversare la strada o semplicemente giocando con i propri amici a pallone nel cortile di casa.

 

 

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Per un attimo vi chiediamo di immaginare tutto questo, di calarvi nei panni non di chi ha deciso di sganciare la bomba o di chi stava a favore (tralasciando un secondo a tutte le motivazioni storiche, ideologiche o simili che hanno portato a questa tragica scelta), ma di chi è stato inconsapevolmente vittima di tutto ciò.

 

Il problema oggi non è l’energia nucleare, ma il cuore dell’uomo.
-Albert Einstein.

 

Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..