Anni ’80: Tra Elettronica e Rock

Tra gli appassionati storici del Rock, e intendo quelli che sono stati adolescenti negli anni ‘60 o nei primi ’70, la musica valida da ascoltare si racchiude in tre decadi: quelle che partono dal gennaio 1950 e si chiudono al 31 dicembre 1979, idealmente alla pubblicazione di “The Wall” dei Pink Floyd il 30 novembre di quell’anno. Per loro dal 1980 in poi la musica Rock non ha avuto più ragione di esistere o perlomeno, sempre secondo la maggior parte di loro, non sono più nati artisti o gruppi degni delle decadi precedenti.

Io credo che sia arrivato il momento di rivalutare soprattutto gli anni ’80 che invece a mio parere hanno offerto molto. Per farlo però bisogna partire dalla seconda meta degli anni ’70 ed esattamente dal 1976 quando l’avvento del Punk, con gruppi come DamnedSex Pistols, Clash e Ramones aveva fatto tornare il rock al suono dei primordi, con un approccio molto immediato grazie anche alla classica formazione voce-chitarra elettrica-chitarra basso e batteria. Questo fatto aveva, oltre a far invecchiare improvvisamente band storiche come Pink Floyd, Yes, E.L.& P. e Genesis, spinto tanti giovani a fare musica creando un’ondata di nuove band che suonavano un po’ di tutto, riesumando anche generi come lo Ska, grazie a band come i Madness, che appartenevano agli anni 60. Questa ondata fu chiamata New Wave e si affacciò  alla nuova decade contando band che la caratterizzeranno in maniera importante: The Pretenders, The Cure, Talking Heads, U2 sono solo alcuni nomi che troveranno negli anni 80 la consacrazione definitiva, ma la lista, credetemi, è molto lunga.

http://www.unipolarena.it/portfolio/29102016-the-cure/
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Cosa viene, in definitiva, criticato da coloro che si erano appassionati alle tre decadi precedenti? Principalmente con l’avvento dei sintetizzatori, una semplificazione del suono dovuta al fatto che questi strumenti erano in grado di riprodurre intere orchestre, sezioni di fiati, batterie e percussioni, creando un sound considerato di plastica. Questo è parzialmente vero se si pensa a gruppi come Depeche Mode o Yazoo che basavano tutto sui sintetizzatori e la voce(i primi passeranno successivamente ad aggiungere chitarra e batteria acustica), ma se si pensa ad artisti come Kate Bush e Peter Gabriel che invece grazie ad un uso intelligente di questi strumenti hanno pubblicato capolavori come: “The Dreaming” e “Hounds of Love” (Kate Bush); “3”, “4” e “So” (Peter Gabriel), allora il discorso cambia completamente.

Un aspetto importante che va sottolineato è dato dal fatto che insieme a Majors come EMI, CBS(l’attuale Sony) e Polygram nacquero etichette cosiddette “Indie” come Mute Records, Rough Trade e 4AD che potevano offrire la possibilità di un contratto discografico anche a giovani band: i già citati Depeche Mode, gli Smiths, i Pixies, i Dead Can Dance sono solo alcuni degli artisti che hanno potuto avere la possibilità di produrre lavori, e farsi conoscere a una platea consistente. Soprattutto un’etichetta si è distinta nel voler dare spazio a nuove voci, e questa fu la Virgin di Richard Branson che esordì nel 1973 con Tubular Bells di Mike Oldfield, che più di tutti capì che c’era la possibilità di scoprire nuovi talenti: è grazie a questa label che abbiamo conosciuto David Sylvian con i suoi Japan o i Simple Minds di Jim Kerr.

http://www.radiolucrethia.com/sito/depeche-mode.html
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In tutto questo il rock c’è ancora e urla forte: l’hard rock trova nuova linfa in gruppi come Iron Maiden, che ridisegnano il genere che viene chiamato adesso Heavy Metal, e convince giovani ragazzi come Lars Ulrich a fare musica e formare i Metallica.

Insomma, come avete capito, un oceano di suoni che arrivava da tutte le parti e vi assicuro che era difficile rimanere aggiornati su tutto quello che si pubblicava. Quello che colpiva era la vastità di scelta che si aveva: dal rock di U2 e Big Country, al pop raffinato dei Tears for Fears o dei Talk Talk, senza dimenticare che gli anni ’80 sono stati dominati da artisti come Michel Jackson, prodotto da un certo Quincy Jones, e da quel genio di Prince recentemente scomparso.

Gli anni ’80, musicalmente parlando, sono stati anche gli anni dei video promozionali o videoclips, che raggiungono una loro collocazione importante grazie alla nascita di canali come MTV o, qui in Italia,Videomusic, che spingono artisti e band ad affidare questo mezzo anche a registi importanti. John Landis, direttore di rango in quel periodo grazie a film come” The Blues Brothers” o “Un lupo mannaro americano a Londra”, girerà lo splendido video di Thriller di Michael Jackson, un cortometraggio di circa 15 minuti. I videoclips furono anche “terreno di scontro” tra le due band pop per eccellenza del decennio e cioè: Duran Duran e Spandau Ballet.

Le cose erano cambiate: adesso non era necessario comprare riviste per leggere dei propri artisti preferiti; si potevano vedere video live, interviste ai canali che trasmettevano musica 24 ore al giorno; in Italia finalmente tornavano ad esibirsi le più famose band e i più famosi artisti del mondo. I palchi non erano più semplici palcoscenici su cui si esibivano Queen, U2Genesis, David Bowie, ma le scenografie erano diventate sempre più sofisticate offrendo oltre al concerto uno spettacolo per gli occhi.

http://www.irishcentral.com/culture/entertainment/u2-confirms-2017-world-tour-fall-2016-album-launch
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Ed è proprio di un concerto, anzi di un evento, che bisogna assolutamente parlare e mi riferisco al Live Aid voluto fortissimamente dal cantante dei Boomtown Rats, una band irlandese, Bob Geldof il 13 luglio 1985.

Tutto era cominciato il 3 dicembre 1984, quando lo stesso Geldof insieme al cantante degli Ultravox, Midge Ure, radunano il meglio del pop rock britannico del periodo sotto la sigla Band Aid, per pubblicare il singolo “Do they know it’s Christmas”,  un brano che avevano scritto insieme, per sensibilizzare l’opinione mondiale sul problema della carenza di cibo in Etiopia, e destinare proprio a questa causa le vendite del singolo stesso. Il successo di questa iniziativa, spinge Michael Jackson e Lionel Richie a formare negli Stati Uniti una super band chiamata USA for Africa, che comprendeva il meglio della scena musicale americana, e a pubblicare il 7 marzo 1985 “We are the world” un brano le cui vendite avrebbero avuto le stesse finalità del singolo inglese.

E arriviamo al Live Aid: Geldof forte del successo che avevano avuto entrambe le iniziative, decide di organizzare due concerti quasi in contemporanea: il primo a Londra allo stadio di Wembley, il secondo a Philadelphia allo stadio JFK, e invita per l’occasione quanti più musicisti e band possibili,sensibilizzandoli  sulla finalità dell’evento, i quali si sarebbero esibiti gratis, evolvendo una somma a favore della causa africana. L’evento, trasmesso in diretta televisiva in tutto il mondo, ebbe un successo enorme, e anche se non tutti gli artisti furono proprio all’altezza della situazione, dimenticabile quella dei Led Zeppelin riuniti per l’occasione con Phil Collins alla batteria, ci furono momenti memorabili come l’esibizione dei Queen che è entrata nella storia della musica. L’elenco di coloro che parteciparono è lunghissimo, e se qualcuno di voi è incuriosito può tranquillamente andare sui siti che ancora oggi parlano di questo evento o acquistare il cofanetto con il DVD di entrambi i concerti.

http://www.dailymail.co.uk/home/event/article-2329571/Freddie-Mercury-trying-Bono-The-Live-Aid-story-youve-heard-before.html
http://www.dailymail.co.uk/home/event/article-2329571/Freddie-Mercury-trying-Bono-The-Live-Aid-story-youve-heard-before.html

Dopo questo evento, nella seconda metà del decennio, il pop elettronico comincia a segnare il passo, ed emergono band come R.E.M. e Guns n’Roses che riportano i musicisti a suonare gli strumenti tradizionali del rock, persino gli Eurythmics di Dave Stewart e Annie Lennox, che si erano imposti con un suono specificatamente elettronico, passeranno ad un sound più aggressivo grazie all’uso di strumenti elettrici. Tutto questo chiuderà praticamente gli anni ’80 e porterà a cambiare lo scenario musicale agli inizi dei ’90 con la scena “Grunge” americana e il “Britpop” inglese e sarà tutta un’altra storia.

Marco Cingottini

 

Marco Cingottini

Sono Marco, ho superato da poco le 50 primavere e sono un appassionato, fin dalla tenerissima età di musica.. Led Zeppelin, Beatles, Queen, Genesis, Smiths, Tool sono solo alcuni dei gruppi che adoro insieme ad artisti come l’immenso Francesco Guccini, De Andrè e Tenco; mi piace esplorare nuove sonorità e quindi conoscere sempre nuovi musicisti..