Tempo, memoria e vita

L’ozio rende lente le ore e veloci gli anni. L’operosità rende rapide le ore e lenti gli anni. L’infanzia è la massima operosità perché occupata a scoprire il mondo e a svariarselo.
Gli anni diventano lunghi nel ricordo se ripensandoci troviamo in essi molti | fatti da distendervi la fantasia. Per questo l’infanzia appare lunghissima. Probabilmente ogni epoca della vita si moltiplica nelle successive riflessioni delle altre : la più corta è la vecchiaia, perché non sarà più ripensata.
Ogni cosa che ci è accaduta è una ricchezza inesauribile : ogni ritorno a lei l’accresce e l’allarga, la dota di rapporti e l’approfondisce. L’infanzia non è soltanto l’infanzia vissuta, ma l’idea che ce ne facemmo nella giovinezza, nella maturità, ecc. Per questo appare l’epoca più importante : perché è la più arricchita dai ripensamenti successivi.
Gli anni sono un’unità del ricordo; le ore e i giorni, dell’esperienza.

 

Così scriveva Cesare Pavese in una pagina di diario del Mestiere di vivere. E’ vero, l’ozio non fa altro che rallentare la nostra vita, perché quando non facciamo nulla oltre che respirare e svolgere le funzioni necessarie per la nostra sopravvivenza, il tempo sembra che scorra in maniera lentissima, quasi come se dovessimo spingerlo avanti noi. E le ore e i minuti non passano, ma quando passano gli anni ci accorgiamo che non abbiamo concluso niente, e questo spesso ci affligge. E’ una condizione psicologica alla quale tutti andiamo incontro : ne abbiamo sempre fatto esperienza e ce ne accorgiamo soprattutto quando passiamo dei momenti piacevoli o felici; il tempo però, teoricamente dovrebbe essere per tutti uguale, tolto per chi viaggia ad una velocità vicina a quella della luce, ma questo lo lasciamo ai nostri amici fisici o agli appassionati delle teorie della relatività. Concentriamoci un attimo sulla nostra vita e sull’esistenza che conduciamo. Noi conosciamo il momento in cui veniamo alla luce, ma non conosciamo il momento in cui andremo via, nella maggior parte dei casi. Ognuno di noi ha programmi e idee, sogni e obiettivi da inseguire, o almeno, solitamente è così. Ma il tempo è tiranno, il tempo passa, e quando ripensiamo al passato abbiamo diverse sensazioni e diverse percezioni. Quando ad esempio penso alla mia infanzia – posto come periodo che va dalla nascita ai 10 anni – io ricordo poco : infatti mi sembra che quel tempo sia volato in un istante, probabilmente perché la mia memoria interiore ha iniziato a collezionare ricordi ed eventi significativi dall’età di 10 anni. Per me, ad esempio, era importante lo sport, soprattutto il calcio, per cui mi ricordo benissimo i sogni che avevo da bambino (età di 5-6 anni) e tutte le manifestazioni sportive e tutte le “imprese” che ho compiuto. Ricordo meno ciò che ho studiato a scuola, ricordo a malapena qualche viaggio fatto con la mia famiglia e ricordo ancora meno tante piccole cose che magari i miei genitori mi raccontano, come ad esempio quando caddi dalle scale e mi saltò via un dente. Spesso non riesco nemmeno a collegare il ricordo all’età : ad esempio ricordo che feci un provino per la squadra di calcio delle scuole elementari e che segnai due gol e che addirittura esultai emulando “l’aeroplanino di Montella”, ma se qualcuno mi chiedesse che età avessi, non saprei rispondere. In quel periodo, nella mia infanzia, andavo a scoprire per caso, per gioco, il mondo e la realtà che mi circondava. Non lo facevo consapevolmente, perché non ricordo di avere una grandissima voglia di conoscenza, però tutto questo ha contribuito alla formazione della mia persona.
Durante la mia adolescenza ho spesso provato a spiegarmi i perché di certi avvenimenti, di certe scelte e di certi incontri, ma non ho mai trovato una risposta : forse perché li stavo vivendo troppo, forse perché non li vivevo abbastanza, o forse perché non avevo ancora esperienza né tantomeno maturità.
“Nulla accade per caso”, mi dicevano.
“Boiate”, rispondevo nella mia mente. Tutto sembrava dettato dal caso, da una logica incomprensibile – ammesso che ci fosse. Tutto sembrava così strano, impercettibile.
Eppure oggi, nella mia prima maturità, a nemmeno venti anni, riesco a spiegarmi alcune di queste cose. Magari tra qualche anno, nella piena età adulta, le mie risposte cambieranno e altre domande mi si porranno alla mente, però in questo momento della vita riesco a dare una mia interpretazione al perché di determinate cose, e mi sento di dire che nulla, o quasi, avviene per caso.
E’ anche vero che noi nella maggior parte dei casi, quando iniziamo a raccogliere gli avvenimenti e le storie della nostra vita, siamo “di parte” : vuoi perché vogliamo dare un senso alla nostra esistenza, vuoi perché siamo condizionati da certe persone e da certe credenze, vuoi perché crediamo o non crediamo nelle coincidenze… Eppure la nostra memoria storica è viva, riconosce spesso le similarità di certe azioni, decisioni o avvenimenti con il passato.
Andando avanti con l’età, sono convinto che troverò sempre più risposte e quindi l’esistenza diverrà ancora più piena di dubbi e ripensamenti, anche perché le esperienze (da non confondere con l’esperienza) si moltiplicheranno e non sarà facile interpretarle tutte. Prima o poi, però, la vita terminerà e non avremo più il tempo di pensare a ciò che abbiamo fatto, di fare resoconti e di trovare spiegazioni, quindi probabilmente non troveremo mai una risposta alla nostra vita.
E’ una tristezza oserei dire esistenziale, quella di essere consapevoli che non avremo mai sicurezze, certezze, punti fermi e verità assolute riguardo quella cosa che è la più vicina a noi, la nostra vita. Ed è paradossale, perché spesso siamo convinti o certi di avere tutte queste certezze riguardo altri elementi, come ad esempio la storia (gli avvenimenti passati), le scienze, la matematica, addirittura la fede… Chi del resto mette in dubbio che il muro di Berlino sia stato distrutto? Chi mette in dubbio il fatto che 2+2 fa 4? Chi mette in dubbio il fatto che il nostro cuore pompa sangue e lo indirizza verso tutto il corpo? Oserei dire nessuno.
E invece chi è certo della propria vita, della propria esistenza, chi è sicuro che questo non sia un sogno? Chi è sicuro di aver compreso il senso della propria esistenza, il senso di ciò che ci accade? Chi è sicuro di aver capito ciò che veramente siamo? Forse nessuno.
Probabilmente i filosofi storceranno un po’ il naso, perché questa potrebbe sembrare troppo relativistica della vita, oserei dire alla “sofista” dei tempi dell’Antica Grecia. Però il mio non vuole essere un invito a pensare che “ognuno la pensa a modo suo, tutto è relativo e ognuno vede quello che vuole”; piuttosto vuole essere un invito a conoscere e ad ampliare nuovi orizzonti, ad abbandonare la rassegnazione e la desolazione verso la quale questi interrogativi esistenziali ci portano, abbandonando nel contempo la pretesa di ottenere una verità assoluta da tutto. Nemmeno la mia è una verità, è solo un tentativo : quasi sicuramente tra qualche anno – mi riallaccio al discorso fatto in precedenza – la mia idea sarà cambiata e addirittura rinnegherò quanto detto qui. Ma sono esperienze di vita, di vita “filosofia”, del pensiero, che mi portano al momento a queste incomplete “conclusioni”.

 

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Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..