E cominciò dall’orecchio sinistro..

“D’altronde c’è tanta gente che parla senza avere un cervello”, diceva lo spaventapasseri prendendo sotto braccio Dorothy e saltellando con lei lungo la strada dorata.

D’altronde, c’è stato solo un uomo al mondo in grado di scrivere e suonare musica, forse una delle più straordinarie mai suonate e sentite prima, senza orecchie.
O, per meglio dire, le orecchie c’erano, cartilagine, lobo, tutto.
Mancava solo l’essenza dell’orecchio, il suo massimo ed ovvio scopo per cui si ritrova ad essere un orecchio e non un braccio.
L’udito, per meglio dire.

Quell’uomo era Beethoven.

Ludwig van Beethoven.

Della suddetta sordità non si sa molto, o meglio, la sua origine pare sia controversa.
E mentre la mancanza di cervello è devastante per noi e non per chi ne è affetto (non mi si molce ancora il core al pensiero “Io volevo vivere nel 1942 per vedere la guerra, tanto il servizio militare mica lo facevo, sono donna, il mio idolo? Il mio idolo in ambito storico e letterario nel contesto italiano? Jordan!”) si può dire che la sordità di Ludwig sia per noi invisibile, davvero incomprensibile come un sordo possa generare una tale divinità.
Non si può dire lo stesso per lui, che visse tale handicap con un devasto psicologico a livelli altissimi, tanto che nel testamento di Heiligenstadt scrive a lungo della sua infelicità, del suo malessere, della sua frustrazione.
Un testamento scritto da un’anima nera, al limite della sopportazione ma troppo deciso a trasformare quell’amara malinconia in arte, piuttosto che farla finita (per fortuna).

” O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza[…] da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti […] sono stato presto obbligato ad appartarmi,  a trascorrere la mia vita in solitudine. […] Come potevo, ahimè, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima […]. Con gioia vado incontro alla Morte – se essa venisse prima che io abbia avuta la possibilità di sviluppare tutte le mie qualità artistiche, allora, malgrado la durezza del mio destino, giungerebbe troppo presto […]. Se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore. Addio, non dimenticatemi del tutto.”

E così fece, in effetti.
S’allontanò dalla ribalta, dalla società, un’etichetta sul petto, “misantropo”, un dolore che entra dal cuore e che esce dalle dita.
Arte, arte pura.

In una lettera del 1801 all’amico Franz Gerhard Wegeler, il musicista descrive clinicamente e minuziosamente la sua sordità già grave :

“[…] mi debbo mettere vicinissimo all’orchestra per comprendere ciò che l’attore dice e […] i suoni acuti degli strumenti e delle voci, se sto un po’ lontano, non li sento affatto. […] Inoltre, talvolta odo a mala pena chi parla piano. Odo i suoni ma non distinguo le parole; mentre, invece, se appena uno grida mi è addirittura impossibile sopportarlo […]”

Cominciò dall’orecchio sinistro, l’inferno.
Bisogna immaginarselo, un Beethoven, o per meglio ancora, un uomo, che poco meno che 28enne si alza una mattina e anziché sentire le solite note impazienti di trasformarsi in inchiostro, sente il nulla. Passa. Passerà. E poi si sveglia un’altra mattina, e anche l’orecchio destro non se la sente proprio di sentire. Passa. Passerà. E invece peggiorò progressivamente, accompagnata dal tintinnio, la sensazione di qualcosa che squilla o, piuttosto, ruggisce nelle orecchie. Sembra una cosa da nulla, ma al sol pensiero di aver qualcosa che mi ruggisce o tintinna nelle orecchie per tutta una vita, rabbrividisco. E rabbrividisco ancor di più se sono un giovane virtuoso e promettente pianista e compositore 28enne, che nelle mani ha ancora le note migliori accavallate tra di loro, che spingono disordinate e impazienti di uscire. Roba da far impazzire, da portare al suicidio. E Beethoven ci pensa, alla morte. La accarezza come libertà sempre più vicina.

La lettera di Beethoven a Wegeler indica che la sua sordità, intorno al 1800 era già profonda. Ci sarebbe stata un’evoluzione della malattia, ma il grosso della patologia a quell’epoca era già ben definito.

“[…] poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto”.

Ancora una volta è la musica a salvare una vita.

Entro il 1815 Beethoven era ormai sordo. E quando lo divenne completamente, il tintinnio decise di ritirarsi, forse impietosito da una così pietosa condizione. Non aveva vertigini né sintomi attribuibili alla labirintite: per questo la sindrome di Ménière (una causa molto comune di sordità e vertigine) è una diagnosi improbabile. Iniziò un rapporto direttamente proporzionale. Più l’udito parea venir meno, più le esibizioni al piano diminuivano. E quel cumulo di rabbia, musica, passione andava via via crescendo entro lui.
Il violinista Luis Spohr assistette alla prova del Trio in Re Maggiore a casa di Beethoven e, nella sua autobiografia, la descrive in termini che mostrano molto bene le condizioni ormai pietose del compositore.

“Non fu un’esperienza piacevole. Innanzitutto, il pianoforte era terribilmente scordato – ma questo in fin dei conti non disturbava Beethoven, dal momento che non poteva sentirlo. Inoltre, della brillante tecnica un tempo così ammirata, era rimasto poco o niente. Nei passaggi da suonare forte il povero sordo martellava i testi, pasticciando interi grupp di note. Se non si seguiva la partitura, si perdeva tutto il senso della melodia. Ero profondamente toccato dalla tragedia di tutto ciò – la malinconia di Beethoven non era un mistero per me.”

Se come pianista il suo genio decadde presto, non si può certo dir lo stesso della sua vena da compositore. Le note accavallate e impazienti nelle dita se ne uscivano una dopo l’altra, dando vita al Concerto per pianoforte n. 4, ai tre Quartetti per archi n. 7, n. 8 e n. 9 dedicati al conte Andrei Razumovsky, alla Quarta Sinfonia e al Concerto per violino, alla Sinfonia pastorale, al concerto n.5.
No, no si può proprio dire che se ne stesse con le mani in mano.
Anzi, dalla malinconia amara e tetra nacque il genio, il genio più grande che si vide mai in quegli anni e quelli a venire.

Per quanto riguarda la causa medica, la medicina non ha espresso il verdetto finale sulla sordità di Beethoven. E’ anzi proclamato lo scisma: sordità dovuta a un danno diretto al nervo acustico, che causa sordità neurosensoriale, numero 1.
Oppure numero 2, ispessimento fissazione degli ossicini, le tre ossa che conducono il suono attraverso l’orecchio medio (otosclerosi).
Il referto dell’autopsia descrive in dettaglio l’orecchio e il cervello di Beethoven, ma gli ossicini non vengono menzionati. Johann Wagner, il medico che fece l’autopsia, mise da parte gli ossicini e la parte petrosa delle ossa temporali per esaminarli successivamente, ma le ossa
..rullo di tamburi e grande spannung

.. andarono perse. Come uno scherzo del destino. Il corpo di Beethoven venne esumato due volte, nel 1863 e nel 1888, ma non si trovarono le ossa mancanti. Senza di esse, non si può escludere l’otosclerosi dalla diagnosi differenziata della malattia di Beethoven.
Per quanto risulta appunto dall’autopsia l’orecchio esterno era largo e regolare; la fossetta scafoidea, ma soprattutto la conca, ampia e grossa il doppio del solito; i diversi angoli e le sinuosità erano molto accentuati. Il canale acustico era coperto da sottili scaglie, soprattutto in prossimità del timpano, che ne veniva nascosto. La tromba di Eustachio non era molto ispessita, ma il suo rivestimento mucoso era gonfio e in qualche misura contratto intorno alla parte ossea della tromba. Di fronte alla sua cavità e in direzione delle tonsille si potevano osservare alcune cicatrici che formavano delle fossette. Le principali cellule del processo mastoideo, che era largo e non segnato da nessuna incisura, erano solcate da una membrana mucovascolare. Tutta la sostanza della parte petrosa dell’osso temporale mostrava un grado simile di vascolarità, attraversato com’era da vasi di notevole dimensione, soprattutto nella regione della coclea, mentre la parte membranosa della lamina spirale dell’orecchio appariva leggermente arrossata.
I nervi facciali avevano un ispessimento inusuale; i nervi acustici, invece, erano raggrinziti e privi della loro guaina; le arterie che li accompagnavano erano dilatate fino alle dimensioni di un pennino da calligrafia, e cartilaginee. Il nervo acustico sinistro, di gran lunga più ispessito, parte da tre strie acustiche grigiastre molto sottili, mentre il destro parte da una stria decisamente bianca dalla sostanza del quarto ventricolo, che in quel punto era molto più consistente e vascolare che in altre parti. Le circonvoluzioni del cervello erano piene di acqua e straordinariamente bianche; apparivano molto più profonde, larghe e numerose del solito. La volta cranica mostrava dappertutto una grande densità e ispessimento di poco più di un centimetro.

D’altronde c’è tanta gente che parla senza avere un cervello, diceva lo spaventapasseri prendendo sotto braccio Dorothy e saltellando con lei lungo la strada dorata.
D’altronde, c’è stato solo un uomo al mondo in grado di comporre capolavori, condannato eternamente a non sentirli.
La più bella delle musiche, condannato eternamente a non sentirla.

Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...