“Miró: sogno e colore”. A Torino, la mostra sul Genio.

Oggi siamo a Torino e più precisamente a Palazzo Chiablese, dove, fino al 14 gennaio 2018, sarà visitabile la mostra “Miró! Sogno e colore” a cura di Pilar Baos Rodríguez.

 

Le 130 opere di grande formato, provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró, che abbiamo avuto modo di scoprire, appartengono alla fase più tarda della vita e della poetica del celebre artista catalano.

 

Ma procediamo con ordine.

 

Juan Miró i Ferrà nasce a Barcellona il 20 aprile 1893.

In giovane età viene indirizzato dal padre a studi di carattere commerciale. Per qualche tempo lavora come contabile e come magazziniere, quando, però, la fatica e la frustrazione gli causano un grave esaurimento nervoso, decide finalmente di seguire la propria vocazione e di dedicarsi in modo esclusivo all’arte e al disegno.

Dopo aver compiuto gli studi all’Accademia Galí a Barcellona, nel 1920 si trasferisce a Parigi, dove ha modo di frequentare personaggi quali Pablo Picasso e il dadaista Tristan Tzara. I contatti con una realtà così culturalmente vivace lo spingono, al suo ritorno in Spagna, a dedicarsi alla ricerca di nuove possibilità espressive nella pittura, nella litografia e nelle acqueforti.

Tuttavia nel 1936, anno dello scoppio della Guerra Civile, è costretto a tornare a Parigi. Qui insieme ai principali esponenti del Surrealismo, organizzerà la prima “Esposizione Surrealista”. Andrè Breton arriverà a definirlo: “il più surrealista di tutti noi”.

Nel suo percorso artistico Miró si è dedicato anche allo studio della pratica calligrafica giapponese e dell’arte precolombiana; questo suo interesse è testimoniato dalle numerose fotografie dello studio personale dell’artista situato a Palma di Maiorca, dove Juan Miró muore il 25 dicembre 1983.

 

 

Dopo questa breve biografia è giunto il momento di tornare alla mostra.

 

I temi affrontati nel corso dell’esposizione sono molti: il primo è quello delle “Radici”, che descrive il profondo legame che ha unito Miró alla natura della sua patria. Un legame indagato in termini coloristici con un amplissimo uso dei toni di marrone vicini a quelli della terra di Catalogna.

 

 

“La terra, la terra, nient’altro che la terra e la terra, la terra qualcosa di più forte di me”

 

 

Ma l’esplorazione di Miró, come abbiamo detto, non si ferma mai.

Negli anni 60 è la raffinata atmosfera del Giappone a ispirarlo. Il fascino misterioso e rarefatto della poesia che viene dall’oriente lo ispira a trovare dei punti in comune con la sua esperienza pittorica. Cerca, quindi, di incanalare questa “magia seducente” fatta di significati complessi in forme pittoriche sempre più astratte ed eleganti. L’artista stesso ha spiegato nei suoi scritti che è il lavoro dei calligrafi giapponesi a ispirarlo in questa fase, in cui la sua pittura si fa sempre più gestuale. Il lavoro avviene nel silenzio del suo studio. I colori sono ridotti all’essenziale: bianco, nero e talvolta piccoli tocchi di rosso.

 

 

Le opere degli anni ’70 sono decisamente quelle più conosciute: la ricerca visiva continua con grafismi, schizzi, impronte, macchie e dripping e ad essa si aggiunge quella fisica dei collage con fogli di giornale, spago, chiodi e fil di ferro. I colori: Blu, Giallo e Rosso, quelli che lo hanno reso celebre nel mondo. I soggetti, indagati quasi ossessivamente, vivono al confine tra il reale e l’onirico e per questo sono quanto mai ambigui: la figura femminile, rassicurante e violenta, le stelle, simbolo della salvezza e occhi che ci spiano dall’alto, e gli uccelli, il collegamento fisico tra noi e l’universo.

 

Consiglio a tutti di visitare questa mostra perché permette di esplorare più a fondo la personalità e i linguaggi di questo poliedrico artista, senza soffermarsi esclusivamente sulle opere più celebri.