L’eroe dei due mondi : Giuseppe Garibaldi si racconta

Articolo speciale! Oggi siamo in diretta da Caprera, una piccola isoletta dell’arcipelago della Maddalena, situata a Nord della Sardegna, poco sotto la Corsica; ci troviamo in aperta campagna, in una piccola e umile casetta, poco arredata e povera di mobili, ma con un ospite speciale che potrà riempire il nostro tempo migliore..

Diamo quindi la linea a Roberto Testa, che da Caprera intervisterà per noi Giuseppe Garibaldi, ora impegnato a rispondere alle numerose corrispondenze con l’aiuto del suo segretario.

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“Salve, signor Garibaldi, sono un giornalista de “Tra il cuore e la mente”, un nuovo spazio aperto ai giovani che si interessa di cultura, attualità, conoscenza, storia e tanto altro.. vuole rilasciarci un’intervista nel giorno del suo compleanno?”

“Certamente, caro Roberto! Anche se ultimamente sono molto impegnato con le lettere dei miei amati Mille che ogni tanto mi pensano e mi scrivono, chiedendo di me..”

“Avrei voluto iniziare con delle domande più riguardanti la sua vita, ma dato che ha citato i Mille, vorrei chiederle una cosa.. come mai, dopo esser risalito fino a Teano nell’ottobre 1860, non è entrato a Roma e ha sciolto l’esercito? Era davvero forte e contava molto dell’appoggio popolare..!”

“Purtroppo, il Re Vittorio Emanuele, con l’esercito regolare del Piemonte – che stava ormai diventando Italia – partì per evitare che io entrassi a Roma per due motivi : il primo era che se fossi entrato a Roma, i Francesi, che erano legati al papato con degli accordi, sarebbero intervenuti a difendere lo Stato della Chiesa, e avremmo dovuto affrontare una dura battaglia contro un nemico abbastanza temibile che era Napoleone III – ricordiamo che prima si era schierato dalla nostra parte, nonostante poi si fosse ritirato -; il secondo motivo era che il primo ministro Cavour e il Re ci temevano : temevano i Garibaldini, temevano che noi conquistassimo tutta l’Italia e che si instaurasse la democrazia, secondo i valori dell’uguaglianza e della libertà (e ovviamente loro erano contrari poiché a favore della monarchia), poiché avevamo l’appoggio del popolo, che ci vedeva come dei “liberatori”, coloro che li avevano salvati dalle vecchie monarchie assolutistiche. Per quanto riguarda l’esercito, in realtà io, il 7 novembre 1860 a Napoli, quando consegnai a Vittorio Emanuele II i plebisciti dei risultati del Sud che si annetteva al Regno, chiesi se fosse stato possibile inserire i volontari nell’esercito regolare : a questa richiesta, ricevetti un netto rifiuto, e allora io e alcuni compagni partimmo su una nave per rientrare qui a Caprera. Il re poi volle offrirmi diversi doni e onori, ma sinceramente li vedevo come dei modi per farsi ‘perdonare’ e per farmi dimenticare il rifiuto dei Mille e altre piccole cose che gli avevo chiesto, come il rientro dei condannati politici (tra i quali un caro amico, Mazzini), quindi rifiutai. Purtroppo si sa, la classe più debole è quasi sempre schiacciata da chi ha il potere.”

“Comprendo, la situazione era abbastanza critica.. Quindi vive qui a Caprera dal 1860? E con chi? Non è mai uscito?”

“Vivo qui, dove ho ‘costruito’ casa mia nel 1855,  con mio figlio Menotti, il mio segretario Basso e diversi miei compagni dell’esercito dei Mille. Fui costretto a lasciare Caprera nel ’62 quando volli percorrere tutta l’Italia, da Palermo ad Aosta, con l’obiettivo (che era la richiesta del popolo) di raccogliere volontari per marciare su Rom e quindi aggiungerla al Regno. Venni però ferito in  Aspromonte e fatto prigioniero del re, in un episodio semplicemente vergognoso, quindi mi rispedirono a Caprera. Nel 1866 scoppiò la terza guerra di indipendenza contro gli austriaci partecipai : qui fummo sconfitti, perché, dopo aver io progettato il contrattacco agli austriaci che avevano conquistato Bezzecca (presso Trento), fui fermato dal Re a causa dell’armistizio al termine della guerra e risposi con un telegramma composto da una sola parola : <<Obbedisco>>.  L’Italia fu sconfitta dagli austriaci a Custoza e Lissa, ma grazie all’alleanza con la Germania di Bismarck, ottenemmo il Veneto. L’ultimo passo ora era conquistare Roma, quella che era stata designata Capitale. Quindi, nel 1867, provammo a prendere Roma : la speranza era quella di far insorgere la città, ma i fatti non andarono come desideravamo .. Quindi fummo costretti ad attaccare e Napoleone III, sentendosi tradito, ci spedì un corpo di militari a Mentana, dove fummo fermati da questi reggimenti francesi. In seguito i bersaglieri, il 20 settembre 1870, con un colpo di cannone che creò la breccia a Porta Pia riuscirono ad entrare a Roma e così fu completa l’unificazione d’Italia. Io però non vi partecipai, perché ero impegnato nella guerra franco-prussiana a fianco dei francesi a favore della Terza Repubblica.. In quella situazione la mia armata fu l’unica intatta, come ricordò Victor Hugo, ma la Francia fu sconfitta dai tedeschi, che pure loro completarono l’unificazione.”

“Insomma, una vita non poco movimentata la sua, sempre pronto a comandare gli eserciti e scendere in campo.. Ma vuole raccontarci delle sue prime esperienze belliche e del perché viene solitamente chiamato ‘l’eroe dei due mondi’?”

“Da giovane amavo molto la vita di mare, e nonostante mio padre desiderasse ardentemente avviarmi verso la carriera di avvocato, io, che non amavo molto studiare, riuscii, con l’aiuto di un mio maestro, a convincerlo a farmi intraprendere la vita marinara e quindi mi imbarcai con i ‘mozzi’ di Genova nel 1824, a soli 17 anni.. Si sa, navigando per tutto il Mediterraneo e oltre, si hanno tantissime conoscenze, si fanno tantissime esperienze (pensa che feci pure l’insegnante per mantenermi, ed io non amavo per nulla studiare!) si conoscono nuovi luoghi, nuove culture e nuove storie, e fu così che io restai affascinato da quella figura che è Giuseppe Mazzini, che portava avanti le tesi di un mio insegnante di retorica, Emile Barrault : erano idee di libertà, di democrazia, di lotta contro il potere e la tirannide, di indipendenza e autonomia, abbastanza vicine al socialismo e al pensiero democratico e a favore della repubblica. Ricordo molto chiaramente una frase del mio maestro, che mi resterà impressa nella mente per tutta la vita : “Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l’umanità come patria e va ad offrire la spada e il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato : è un eroe.” Conobbi Giuseppe Mazzini intorno al 1834, e nel 1835, partii da Marsiglia per il Brasile, con l’intento di propagandare gli ideali mazziniani. Dopo una serie di avventure, aiutai i brasiliani del Rio Grande do Sul (secessionisti) a liberarsi dal Brasile centralista e poi gli uruguaiani contro la dittatura di Rosas in Argentina nel 1841 : è per questo che vengo chiamato “l’eroe dei due mondi”.”

“E’ noto un po’ a tutti che lei ama navigare, ma a volte è stato pure costretto.. vuole raccontarci qualche storia dopo il ritorno dall’America del Sud?” 

“Sì, certamente! Combattei con Mazzini per la difesa della Repubblica Romana nel 1849 (ma non riuscimmo, nonostante la forza resistenza, a difenderla, poiché mancava l’appoggio del popolo), ma a causa della sconfitta venni mandato di nuovo in esilio e decisi di fermai a Tunisi, pronto ad un eventuale ritorno in Italia. Infatti, arrivato a Tunisi, i francesi mi rispedirono qui, alla Maddalena, ma io tornai a Tangeri per 3 mesi e ancora più tardi dovetti andare a Liverpool per partire per New York : partii per controllare la situazione in America e magari aiutare altra gente impegnata in guerra, per continuare a diffondere gli ideali di democrazia, indipendenza, repubblica e uguaglianza; lì venni accettato benissimo, grazie alla mia fama, e poi un’altra serie di avventure mi portarono in Perù, di nuovo a New York, insomma, ero un giovane vagabondo! Finalmente, nel 1857 ritorno a casa a Caprera.. Ecco qui che nel 1859 Cavour e Vittorio Emanuele II mi chiamarono per creare, preparare e comandare l’esercito dei “Cacciatori delle Alpi”, per combattere contro gli austriaci nella Seconda Guerra di Indipendenza, nonostante le nostre operazioni siano state interrotte con l’Armistizio di Villafranca. In seguito, nel 1860, l’avventura più bella della mia vita, la soddisfazione più bella della mia vita : la Spedizione dei Mille e l’Unità d’Italia. Davvero, non smetterò mai di raccontare questa avventura, e spero davvero che il popolo italiano ne faccia tesoro e la conservi per sempre nella memoria.”

“Un’ultima domanda è riservata ad una persona che ha fatto parte della sua vita e che credo sia ancora nel suo cuore.. Anita..questo nome le ricorda qualcuno?”

“Anita..  Sì, direi di sì. Ho avuto diverse donne come compagne di vita, ma Anita resterà sempre il mio grande amore e sicuramente la più importante. L’avevo per caso vista con un cannocchiale a Laguna, in Brasile, durante la guerra :  subito i suoi grandi occhi neri ed il suo fisico mi avevano colpito, quindi andai in città a cercarla, e per volere del fato la trovai quando aprii la porta della casa di un signore che mi aveva invitato per un caffè. Da quel giorno decisi (e le dissi) che lei doveva essere mia, a tutti i costi, perché la amavo da impazzire. Lei mi seguì sempre, fino alla morte, e combatté al mio fianco in ogni circostanza : io le insegnai a combattere e lei mi insegnò a cavalcare. E’ con lei che ebbi questo baldo giovane, il nostro Menotti, (così chiamato per ricordare il caro Ciro, patriota che provò a scatenare un’insurrezione a Parma nel 1831) ed altri tre figli. La nostra vita fu movimentata e piena di spostamenti, ma l’amore durò fino alla fine, fino a quel 4 agosto nei pressi di Mandriole, quando eravamo in fuga dai soldati austriaci e papali dopo la fine della Repubblica Romana. Il suo corpo fu seppellito sotto la sabbia per non essere ritrovato, ma, solo 6 giorni dopo, venne scoperto da alcuni ragazzini che la portarono al vicino cimitero. Io non volevo lasciarla lì, in quel luogo sconosciuto e triste, quindi decisi di riportarla a Nizza, in patria mia, scrivendo queste parole :

Al santuario
Venduto de’ miei padri avranno stanza
Le tue reliquie e d’altra donna amata
Madre ad entrambi, adornerai l’avello!

{Giuseppe Garibaldi, da Anita}

“Sicuramente sarà stata una vicende molto triste, la morte durante la fuga, però è il momento di salutarci. Lei è stato un eroe nazionale, uno dei più grandi, se non il più grande, è riuscito nel suo obbiettivo ed a 150 anni è ancora celebrato, ricordato e onorato ovunque : ogni città conta di una via, di un parco, di una scuola, di un ospedale, di un corso a lei dedicato. Ma vogliamo lasciare agli italiani un messaggio finale? Alla fine, oltre alle battaglie per lei contano molti valori, vero?”

“Sì, vorrei lasciare un semplice ma efficace messaggio a tutti : Il giorno in cui i contadini saranno educati nel vero, i tiranni e gli schiavi saranno impossibili sulla terra” quindi abbiate cura della vostra libertà e della vostra indipendenza, non fatevi sottomettere e lottate per l’uguaglianza di tutti.”

Inno a Garibaldi

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Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..