La narrativa femminista di J. K. Rowling

a cura di Simone Innico

 

Ho notato che alla fine sono sempre io a occuparmi del cibo; sarà perché sono una femmina, immagino!

No, è perché tu dovresti essere la più brava a fare magie!1

Prima di cominciare, due osservazioni ovvie e generali:

1. Dal 1997, data della pubblicazione del primo romanzo della saga, Harry Potter ha venduto 447 milioni copie2. Questo è approssimativamente il numero dei suoi lettori, per la stragrande maggioranza bambini o adolescenti. È un numero grande.

2. La magia nei sette romanzi di Harry Potter è una circostanza. È una scenografia. È un dispositivo narrativo. La saga letteraria di J. K. Rowling non parla di incantesimi, scope volanti e pozioni.

Perché è importante considerare la questione sotto il profilo quantitativo? Perché nell’ambito dei fenomeni sociali la quantità conta, eccome. Un “personaggio tipo” all’interno dell’immaginario collettivo è una figura di significato condivisa da un gran numero di appartenenti a una comunità culturale. Albus Silente: almeno mezzo miliardo di individui, nel nostro mondo, sa associare a questo nome una raffigurazione visiva e un’immagine emotivamente caratterizzata. Vorrà dire qualcosa, no?

La saga di Harry Potter ha oltrepassato i confini del semplice best-seller ed è approdato al titolo di libro sacro nella cultura della società occidentale (punto 1). D’altro canto, se il contenuto di questi romanzi va ben oltre il mondo magico di Harry e i suoi amici magici (punto 2) allora: di che cosa è fatto questo mondo narrativo che ha colonizzato l’immaginario collettivo?

Che cosa leggiamo, quando leggiamo Harry Potter?

Sì, va bene, è il racconto allegorico dell’eterna lotta tra luce e ombra, amore e odio, vita e morte: è uno studio sulle cause del male ed è un’ode alla forza dirompente dell’amore. Ma prestiamo attenzione al materiale con cui è costruita questa narrazione, ciò che non è (direttamente) rilevante ai fini della trama.

Si parla di immaginario, di bias cognitivi e di stereotipi. O meglio: non se ne parla.

Un bias cognitivo è una valutazione preconcetta. Una rappresentazione stereotipata dentro la quale il nostro immaginario inciampa ad ogni passo, perché è stato educato a inciampare in quel modo. Certo sono tanti i fattori che contribuiscono alla costruzione e istituzione di uno stereotipo, ma uno di questi è senz’altro l’educazione e il contesto culturale entro cui questa educazione avviene.

Il sessismo è un discorso i cui unici vocaboli sono bias di genere. Bias denigratori e discriminatori di genere.

Se si parla di rappresentazioni stereotipate e bidimensionali, nella saga di Harry Potter non troveremo mai qualcosa del genere. Tutto l’inverso, piuttosto: J. K. Rowling ci offre personaggi inconsueti, delineati con una precisione insolita. Dietro alle figure che nel primo capitolo della saga sembravano giocare un ruolo classico da fiaba per bambini – il vecchio saggio, il sudicio doppiogiochista, il padre ideale, il rivale viziato e spaccone – punto per punto, anno per anno, è andata approfondendo le loro individualità e producendo archetipi narrativi completamente originali: Albus Silente, Severus Piton, James Potter, Draco Malfoy. Nuovi personaggi tipo che sono, oggi, nodi centrali del nostro immaginario.

E che dire dei personaggi chiave, del trio protagonista e dell’antagonista?

Per quanto riguarda Ron ed Hermione, teniamoli da parte un minuto, e definiamo con due parole il ruolo del Prescelto e del Signore Oscuro: Harry Potter e Lord Voldemort sono due funzioni della narrazione. E basta. L’eroe è la prospettiva nella quale noi lettori ci situiamo. L’antagonista è l’ostacolo contro cui lottiamo, l’avventura che affrontiamo.

Una terza funzione, diciamo una funzione ausiliaria, è interpretata da Lily Potter: la madre personificazione dell’amore. E fra un po’ vedremo quante questioni sono legate a questa funzione.

Dicevamo: Ron ed Hermione, l’amico irascibile e l’amica secchiona.

Dicevamo: bias. Sessismo e stereotipi.

Durante il processo di pre-produzione del primo film della saga cinematografica, J. K. Rowling racconta di quanto fosse preoccupata per come avrebbero adattato il personaggio di Hermione Granger3. Perché c’è una cosa che il personaggio femminile principale della saga non è: la ragazzetta intelligente (e magari un po’ bruttina).

Per comprendere che cos’è Hermione Granger, proviamo a osservare il suo contraltare nell’economia della narrazione. Ronald Weasley: rancoroso, geloso, insicuro e suscettibile. Certo, questo non fa di lui un personaggio negativo: la sua emotività è anche fonte di passione, calore, gioia e sollievo all’interno del trio protagonista (in una saga che di capitolo in capitolo si fa sempre più violenta, oscura e tragica). Ma per quanto riguarda il suo lato sentimentale, in Ron si esprime appieno lo stereotipo sessista della “donna irrazionale” 4. E ciò nonostante è un personaggio maschile a tutto tondo, pienamente verosimile.

Gli uomini sono irrazionali, ansiosi, rabbiosi. Certo sanno meritare affetto e sanno essere di conforto, quando si impegnano. Ma alcuni uomini sono davvero intrattabili, illogici e irragionevoli.

Invece, se c’è un genere di mascolinità che J. K. Rowling considera un eccellente esempio di come un vero uomo dovrebbe essere, è una varietà di uomo completamente sconosciuta al mainstream della rappresentazione mediatica: è quello che il filosofo britannico Alain de Botton definisce “warm man5. Un uomo caldo è l’esatto opposto del cool man hollywoodiano. Più caldo e più umano.

Albus Silente6, il nuovo arrivato Newt Scamander7 e in qualche misura anche questa personalità un po’ vaga che è il protagonista Harry Potter8: sono esempi, modelli da imitare, prototipi di una virilità diversa che la narrazione occidentale fa ancora fatica a concepire chiaramente.

E finalmente: in questo articolo si tratta di femminismo.

Se il femminismo è davvero una filosofia della differenza, ovvero una lotta per liberazione mentale (prima ancora che sociale) della diversità umana dalle catene dell’ontologia monolitica dell’essere maschile, bianco, benestante ed eterosessuale9 – allora esso è anche la liberazione delle diversità di “essere uomo” e delle infinite possibilità di relazione tra uomo e donna. Sotto il peso e la violenza di un discorso normativo sessista – della sua economia binaria (maschio-femmina, bianco-nero, etero-omo ecc.), del suo fallocentrismo e logocentrismo, del suo fallologocentrismo10 – siamo tutti oppressi e soffocati. Nessuno escluso.

Tanto esemplare è la negatività del maschio-Ron, con la sua classica virilità irrazionale, quanto evidente la positività di queste figure maschili “calde”, queste altre virilità. Figure liberatorie, diciamolo.

E altrettanto liberatoria è la figura splendidamente femminile di Hermione.

Una donna è forte, saggia, razionale e coraggiosa e al tempo stesso non ha alcun interesse nel dimostrarsi differente da ciò che è: una donna determinata e intelligente. Che non ha bisogno di essere sexy per essere affascinante. Questo genere di donna non è fatto per piacere agli uomini, non è abbigliato e adornato su misura per l’immaginario del macho sessista: è una donna post-donna. Ed è una figura liberatoria.

Hermione svolge questa funzione di role model. L’intelligenza femminile che mette in imbarazzo gli uomini arroganti, tanto sicuri della propria superiorità intellettuale.

Certo, anche Hermione si fa qualche scrupolo di quando in quando: è molto attenta all’opinione degli altri e impiega la quasi totalità delle sue energie nel dimostrare di essere più che all’altezza di ogni compito che intraprende: solo perché non accetta di scendere a patti con quel che ci si aspetta da una “brava ragazza”, solo perché «non gioca al gioco»11, questo non fa di lei una “cool woman”. Chi invece, ad esempio, non ha alcun interesse a guadagnarsi l’ammirazione altrui è Luna Lovegood: un personaggio che può benissimo rivaleggiare con Hermione, in quanto a fascino e autenticità femminili (mettendo costantemente in crisi il suo buon senso razionalista e logico).

E anche Luna non è affatto una “cool woman”: compensa la sua sconsideratezza e indifferenza verso le convenzioni beneducate con una profonda gentilezza e attenzione per il dettaglio – verso il quale altri, più veloci e risoluti di lei, sono purtroppo ciechi12.

La saga di Harry Potter è costellata di donne forti, donne che sovvertono uno per uno, punto per punto, tutti gli stereotipi di genere che siamo in grado di immaginare. Esempi positivi o negativi, non c’è una sola donna che sia riconferma di alcuna categoria concettuale del discorso sessista.

Come dice lo stesso Daniel Radcliffe: «In qualche modo, poiché esistono nella coscienza collettiva di una generazione, essi esistono»13. Parla dei personaggi creati dalla mente di J. K. Rowling. Sono personaggi che hanno affascinato, e continuano ad affascinare, milioni e milioni di bambini e adolescenti.

È o non è un dato rilevante il numero di individui che hanno comprato questi libri, hanno conosciuto questo mondo magico, che si sono innamorati dei suoi personaggi umanamente umani, che hanno letto e riletto i loro dialoghi e racconti? E un altro dato: l’età media dei lettori di Harry Potter. È importante tenerla in considerazione?

Sì, perché un romanzo di formazione con un successo del genere contribuisce a costruire una buona parte dell’educazione di un’intera generazione: crescere leggendo un romanzo del genere fa la differenza. Crescere con uno sguardo su un mondo alternativo, senza raffigurazioni sessiste denigratorie, fa eccome la differenza.

Un romanzo femminista deve avere una protagonista femminile? Questo non è neanche uno stereotipo: è una petizione di principio, senza fondamento.

Un romanzo femminista si riconosce per il ruolo narrativo centrale ricoperto da figure femminili? Può darsi, ma un romanzo femminista si può costruire in tanti modi.

Per esempio per la sua capacità di presentare, a lettori di tutti i sessi e orientamenti sessuali, una realtà abitata da configurazioni umane possibili. Di nuovo: un’alternativa al dominio del sessismo bipolare ed eternormativo. E la saga di Harry Potter è eccezionale sotto questo aspetto: è un romanzo di formazione che si è andato trasformando con la maturazione dei suoi lettori – dal 1997 al 2007, crescendo in stile e profondità – condizionando la formazione cognitiva di migliaia di giovani lettori. E l’ha condizionata bene.

Abbiamo cominciato parlando di bias cognitivi e di contesto culturale all’interno del quale l’immaginario è educato a fare uso di queste rappresentazioni preconcette. Non è possibile liberarsi da stereotipi e bias: sono una funzione necessaria del nostro immaginario. È possibile però educarsi a differenti stereotipi, a inciampare in rappresentazioni più sane, a seguire bias cognitivi migliori. Guardare dietro alla figura bidimensionale dello stereotipo e scoprire un essere umano fatto di carne e parole. E scoprire che questo vale infinitamente di più, ora che si è rivelato tale.

Avevamo lasciato da parte il ruolo giocato dalla figura di Lily Potter, la madre che con il suo sacrificio d’amore ha reso possibile la vita del piccolo Harry.

Come la stessa J. K. Rowling suggerisce14, può essere utile pensare alla sua situazione durante la stesura del primo episodio della saga: era madre di una bimba molto piccola, e lei stessa aveva appena perso la sua di madre.

Tutti e sette i romanzi sono abitati da madri forti, madri che amano con una forza viscerale e che svolgono il loro lavoro di madre con la potenza di una leonessa. Il locus classicus è lo scontro tra Molly Weasley, la mamma casalinga tanto cara e gentile, e la diabolica Bellatrix Lestrange (dopo che questa aveva minacciato la vita di una delle sue creature)15.

Una “madre” è una cosa che rende possibili altre cose: è la condizione iniziale e indispensabile16. E in questa definizione non c’è alcun riferimento a generi o orientamenti sessuali.

Certo, le madri forti di cui racconta J. K. Rowling sono di genere femminile. Ma non dubito che potremmo annoverare, tra i ruoli materni ricoperti nei confronti del protagonista, altrettanti “uomini caldi” quali, ancora una volta, Albus Silente, ma ancor più Rubeus Hagrid, Remus Lupin e forse anche Sirius Black. Protezione, rifugio, riferimento, calore: questo è il loro campo semantico.

Nessuna petizione di principio, nessuna economia binaria. Una madre è una cosa che rende possibili altre cose. Che crea, poi custodisce, e poi lascia essere possibile. Come un’autrice che rende possibile un romanzo.

In questi sette romanzi, com’è detto, non si parla di magia. Ma di amore. E l’amore di cui si parla, questo grande amore che sconfigge la violenza cieca e dominatrice, altro non è che l’amore materno. Un concetto complesso, fondamentale e indispensabile, attorno al quale non è necessario forzare alcun preconcetto e stereotipo di genere.

È amore. Ed è “più potente di ogni altra magia”.


 

 

 

  1. J.K. Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte, Salani, Milano, 2008, p. 272
  2. Pietra filosofale: 107 milioni; Camera dei segreti: 60 milioni; Prigioniero di Azkaban: 55 milioni; Calice di fuoco: 55 milioni; Ordine della Fenice: 55 milioni; Principe Mezzosangue: 65 milioni; Doni della Morte: 50 milioni. Queste sono le cifre della serie letteraria. Per amore di semplicità nell’articolo mi riferirò ai soli libri della saga, a parte laddove esplicitato il riferimento alla serie cinematografica. Niente ci fa. In una lista dei libri più venduti nella storia dell’umanità, dove al primo posto c’è la Bibbia e al terzo il Corano, archive.org assegna il sesto posto al primo capitolo della saga di Harry Potter. E ‘sti cazzi.
  3. «From the first moment that I spoke to Emma I just thought “Oh thank Christ!”. I did. Because, you know, who knew who they would gonna cast as Hermione? I was more worried about Hermione than anyone else. I thought, you know, are you gonna get a girl and put her in glasses? And then she’ll, you know… ‘cause, you know, “that shows she’s cleaver”? I mean, how many times have we seen that happen? And I spoke to Emma on the phone. She was very young, I think she was 10. And I thought “you are gonna be able to play a very bright, articulate girl because that’s who you are”» – J. K. Rowling, intervista in The Woman of Harry Potter (Deathly Hallows part 2, special dvd)
  4. Amanda Lowery (qui), per quanto riguarda il film dell’episodio 7, esplora le dinamiche interne al trio protagonista (in particolare la relazione di quello che definisce “intense duo“, ovvero Harry e Hermione, che si completa e compenetra con le altre due coppie, il “bro-duo” e il “crush-duo“) e mette in evidenza come J . K. Rowling abbia costruito i due personaggi co-protagonisti ottenendo come risultato una coppia in cui gli stereotipi di genere tra i due partner siano perfettamente speculari e invertiti. «Ron’s never been the most intelligent, his actions are always rooted deeply in his emotional reaction to things, which is something usually attributed to females, but Rowling has breached gender boundaries for the greater good of all future generations for Hermione is the one who possesses the most logic in the group». Insomma: switched & bewitched.
  5. How To Be A Man (School of Life). Il warm man è empatico, sensibile, vulnerabile e al tempo stesso sicuro delle proprie capacità. Contro il cool man irriverente, indifferente, sconsiderato, violento e nichilista, la figura del warm man non può nulla, se il campo di battaglia è kolossal o western. Non ha la battuta pronta, e non ha il grilletto facile. È un uomo riflessivo e cosciente dei suoi errori e debolezze, e da questa consapevolezza sa imparare per correggere e migliorare se stesso. E soprattutto è un essere umano.
  6. Il personaggio di Albus Silente è forse uno degli esempi più lampanti di “uomo caldo” il cui principale attributo è la nozione di protezione, sensibilitàdisponibilità, e solo in secondo luogo il fatto che sia “il mago più potente del mondo”. E certamente, ai fini della caratterizzazione di questo personaggio fondamentale, il suo orientamento sessuale non è rilevante:  «As time went on and I got to know Dumbledore and I… but this is before the publication of The Philosopher’s Stone […] I knew he was gay. I just knew he was gay. And to me it was not a big deal. This is a very old man who has a very terrible job to do and his gayness is not… really… is not really relevant» – J. K. Rowling in A Conversation Between J. K. Rowling And Daniel Radcliffe (Warner Bros Entertainment®)
  7. Sotto questo profilo, il protagonista della nuova serie cinematografica (diretta da David Yates, già regista degli ultimi quattro film della saga di Harry Potter, e sceneggiata dalla stessa J. K. Rowling) si inserisce pienamente all’interno dei buoni esempi di figura maschile nell’immaginario rowlinghiano. Molto del materiale in questo articolo sono riflessioni stimolate dalla recensione critica di Jonathan McIntosh per Pop Culture Detective (link).
  8. Harry Potter è un personaggio nel quale nessun uomo o donna potrebbe mai fare faticare a immedesimarsi. Harry è l’Orlando di Virginia Woolf, è una figura amorfa e androgina: è solo il punto focale dal quale si osserva un mondo narrato. E questo mondo è abitato da donne forti e uomini sensibili. Ciò nonostante, al riguardo dell’esempio innovativo di essere umano maschio, c’è qualcosa di fondamentale che J. K. Rowling offre al nostro immaginario collettivo quando racconta la relazione tra Harry ed Hermione: la semplice e brillante idea che un uomo possa non avere interesse sessuale per una donna, solo perché questi è un uomo e quella è una donna (vedi nota 4).
  9. cfr. Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe, Mondadori, Milano, 2002, p.106
  10. cfr. Ibid., pp. 83-85. Il termine fallologocentrismo, in francese phallogocentrism, è coniato da Jacques Derrida per esprimere il principio accentratore ed identificatore che domina strutturalmente il pensiero occidentale. La Francia dei decenni ’60 e ’70 ha prodotto gran parte del nucleo teorico delle teorie filosofiche femministe. Un altro autore, con cui lo stesso Derrida ha avuto modo di dialogare sullo stesso tema, è Emmanuel Lévinas (il cui pensiero ho presentato qui). Di grande rilevanza è l’opera dello psicanalista Jacques Lacan, di cui è allieva – e contestatrice – una delle autrici centrali del pensiero femminista contemporaneo: Luce Irigaray. Per approfondimenti, il già citato Cavarero-Restaino che contiene una ricca antologia di scritti di pensatrici femminili e femministe.
  11. J. K. Rowling nella stessa intervista: «So much is expected of you as you become a woman and often you are asked to sacrifice parts of you in becoming a girl, I would say. Hermione doesn’t. She doesn’t play the game, if you like»
  12. «Ciao, Harry!» esclamò.
    «Ehm… mi chiamo Barny» la corresse Harry, sconcertato.
    «Oh, hai cambiato anche il nome?» chiese allegramente.
    «Come hai fatto…?»
    «Oh, la tua espressione» rispose lei.
    J.K. Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte, Salani, Milano, 2008, p. 135
  13. Nella già citata conversazione: «To a certain level, because they exist in the collective consciousness of a generation, they do exist».
  14. Sempre qui. Molto interessante a proposito è anche il documentario J. K. Rowling: A Year In A Life (James Runcie) che racconta la storia della “gestazione” e “parto” dei sette libri della saga.
  15. «Not my daughter, you bitch!»
  16. Gita al faro (1927) di Virginia Woolf: è a mio parere la più splendida rappresentazione letteraria dell’amore materno e di come questo, con il suo attento lavoro di cura e accudimento, sia la condizione essenziale di tutto il resto. Di come senza, nulla sia più possibile.