Tristezza e malinconia

Ecco un interessante escursus di Margherita, che, passando dalla poesia all’arte, dalla letteratura alla musica, ci descrive due passioni dell’anima, o forse due sentimenti, che caratterizzano l’essere umano (e non solo!) : la tristezza e la malinconia.

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Vincent van Gogh, Wheat Field with Crows (1890)

 

LA TRISTEZZA

“E’ un languore sgradevole in cui consiste il disagio che l’anima riceve dal male” : così Cartesio definì la tristezza nella sua opera “Le passioni dell’anima”.

Ancora oggi noi, a distanza di secoli, descriviamo questo stato d’animo come causato da un avvenimento negativo, drammatico, maligno, opposto alla gioia e alla felicità, quindi al godimento del bene.

Tuttavia questo sentimento può essere provato anche in condizioni normali, senza essere necessariamente indotto dal male. Ad ognuno di noi è capitato di chiudersi, da un momento all’altro e senza un apparente motivo, in questa condizione di nostalgia e malinconia che stringe il cuore e la mente in una morsa da cui è difficile liberarsi. Finiamo per essere schiavi di questa passione opprimente e schiacciante: parole di conforto, provare a non pensare, occupare la mente con altri pensieri si trasformano in tentativi vani e diveniamo costretti ad accogliere il nostro dolore con sottomissione fino al superamento di esso.

Questa condizione di tristezza è però diventata inadeguata per la società odierna, poiché tutti abbiamo il diritto e il dovere di essere felici. Ma c’è veramente qualcosa di sbagliato nel non esserlo? Dobbiamo tener conto che molti pittori, poeti, musicisti hanno prodotto le loro migliori opere in momenti di grande tristezza e malinconia. Così come la felicità, anch’essa può essere considerata una “musa ispiratrice”. L’amore non corrisposto, il senso di inadeguatezza, il dolore per una perdita, l’insoddisfazione verso la propria vita, sono alcuni dei temi principali della letteratura e dell’arte passata e presente.

 

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Per comprendere meglio questo concetto, prendiamo in esame lo SPLEEN di Charles Baudelaire e il MAL DI VIVERE di Giacomo Leopardi.

La parola spleen, di origine greca, rappresenta in francese la tristezza meditativa o la melanconia. Nonostante questo termine fosse già utilizzato nella letteratura del Romanticismo, venne reso famoso durante il Decadentismo (metà Ottocento/primi del Novecento) dal poeta Charles Baudelaire.

Sotto il nome di “Spleen” sono presenti quattro componimenti nella prima sezione del suo libro “I fiori del male”, di cui l’ultimo è il più significativo.

 

“Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve

schiaccia l’anima che geme nel suo eterno tedio,

e stringendo in un unico cerchio l’orizzonte

fa del dì una tristezza più nera della notte[…]”

 Baudelaire

In questa lirica viene raggiunta la massima angoscia di Baudelaire nei confronti di un Mondo da cui non si sente accettato e che non riesce a trasformare. Nella sua condizione di estraneo, il poeta conferisce ai versi un tono forte ed espressivo, che comunica un male fisico oltre che psicologico, nonché un senso di soffocante chiusura. Questa prima parte della poesia descrive il momento in cui il cielo è nuvoloso e anche noi sentiamo un senso di pesantezza di timore  verso ciò che è nettamente predominante e incontrollabile. Questo ci fa capire che la tristezza può essere provocata anche da fattori esterni come il cielo, che con i suoi colori e i suoi mutamenti riesce a trasmetterci determinate sensazioni, dalle quali non possiamo fuggire.

Pur sembrando molto simili, lo spleen e il taedium vitae leopardiano differiscono per alcuni aspetti : per Leopardi il fine dell’uomo è raggiungere il piacere, inteso come infinito e assoluto, un piacere che l’uomo non riesce a raggiungere. Da qui scaturisce la sua condizione di infelicità e il suo rapporto con la Natura. Essa ci appare inizialmente benigna, poiché ci ha donato la vita e ci ha creati, ma successivamente rivela il suo volto maligno.

L’unica soluzione, suggerisce il poeta, diventa l’immaginazione. La felicità è data non dalla conoscenza del vero, bensì dalla sua ignoranza; sapere di più significa soffrire di più, e chi aumenta la conoscenza aumenta anche il dolore.

La realtà è banale e maligna, vere sono solo le illusioni, ossia le speranze, di cui l’umanità si nutre e che non può abbandonare senza cadere nella disperazione.

Questa forma di pensiero porta Leopardi a vivere tre diversi tipi di pessimismo:

Il pessimismo individuale, poiché egli si sente già vecchio a causa delle sue condizioni di salute.

Il pessimismo storico, inteso come allontanamento dall’originaria condizione di felicità.

Il pessimismo cosmico, derivante dalla consapevolezza dell’infelicità dell’uomo, sia antico che moderno.

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In definitiva, lo spleen  non produce riflessività sulla condizione umana, ma si esprime a livello artistico con la descrizione degli effetti opprimenti e terribili dell’angoscia esistenziale. Rappresenta uno stato di depressione cupa, angosciosa, dal quale è impossibile sfuggire.

“Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni.” [G. Leopardi]

 

 

PENSIERO MALINCONICO

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Francesco Hayez, “Pensiero malinconico”, 1842, olio su tela, 135 x 98 cm, Milano, Pinacoteca di Brera.

 

Francesco Hayez è stato uno pittore italiano, massimo esponente del Romanticismo storico.

Molte sue opere sono criptate, nascondono quindi un messaggio nascosto, specialmente politico.

In quegli anni infatti era severamente vietato trattare o raffigurare determinati argomenti, così decise di camuffarli trasponendoli in epoche passate (es. Il Bacio).

Il dipinto “Pensiero malinconico” rappresenta una fanciulla presa dalla malinconia.

Come in altri quadri di Hayez, viene ripersa un’ambientazione medievale, come possiamo vedere dalla parete nuda posta alle sue spalle che suggerisce la presenza di un castello o un antico palazzo, un ambiente scarno e vuoto.

Lo sguardo scuro e cupo della donna, insieme alla veste grigio-celeste e camicia sottostante calate sulla spalla sinistra, stanno a sottolineare una caduta dell’equilibrio emotivo, che tende a scendere verso la tristezza o la depressione.

Molto importante è il dettaglio sulla sinistra, quello del vaso; al suo interno sono presenti fiori dal forte odore (quali le rose e i gigli), ma quasi del tutto appassiti, una sorta di autunno dei sentimenti.

Dei petali e una foglia caduti suggeriscono, con la loro definitiva separazione dalla vita, la scomparsa della gioia.

Secondo alcuni i dipinto viene allegoricamente interpretato come la necessità di un risveglio dell’Italia (la fanciulla a appare infatti disinteressata e “decadente”).

 

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Guarda che Luna! (Photo by Riccardo Testa)

 

La tristezza vissuta attraverso le canzoni, o l’arte, fa sicuramente meno paura e ci aiuta ad affrontare le emozioni negative in maniera più tenue.

È paradossale, se ci fermiamo a riflettere, ascoltare musica triste quando si è tristi. Eppure siamo consapevoli che se ascoltassimo canzoni “allegre” non ci sentiremmo in sintonia con esse.

Parlo di canzoni per convenzione, perché ci sono milioni di altri suoni o rumori che hanno la capacità di alleviare il malessere dell’anima quando è pervasa dalla tristezza: l’infrangersi delle onde sulla spiaggia, le fronde degli alberi mosse dal vento, il tintinnio della pioggia sull’asfalto.

Voglio dunque invitarvi all’ascolto di 3 canzoni, delle quali ho scelto i versi a mio parere più significativi.

 

“La musica è una legge morale, essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose.” [Platone]

 

 


“Sono così stanco di stare qui

Soffocato da tutte le mie infantli paure

E se devi partire,

Desidero che tu possa farlo

Perchè ancora la tua presenza indugia qui

E non vuole lasciarmi solo

Sembra che queste ferite non possano guarire

Che questo dolore sia troppo reale

Ce n’è così tanto che nemmeno il tempo potrà cancellarlo.”

Evanescence – My Immortal

 

 

“Tutti morimmo a stento

ingoiando l’ultima voce

tirando calci al vento

vedemmo sfumare la luce.

L’urlo travolse il sole

l’aria divenne stretta

cristalli di parole

l’ultima bestemmia detta. “

Fabrizio De Andrè – La ballata degli impiccati

 

 

“Non affliggerti, non abbassare la testa.

Ti prego non piangere

So quello che provi, anch’io

Anch’io l’ho provato

Qualcosa cambia dentro di te

E non lo sai”

Guns n’Roses – Don’t cry

 

Margherita Alessio