La “rivoluzione” di Roma

Il 28 ottobre 1922, migliaia di “uomini” – le cosiddette “camicie nere” – diedero il via a quella che è rimasta alla storia come “Marcia su Roma”, una “dimostrazione” armata che aveva come scopo principale l’incutere paura (terrorismo politico) ad ogni sorta di oppositore del movimento fascista. Lo scopo secondario, ovviamente, era la presa di potere. Il primo riuscì subito, anche perché questo evento ebbe luogo dopo diverse violenze da parte delle camicie nere (uccisioni, assalti a negozi, sedi di giornali..); il secondo si verificò meno di tre anni dopo.

 

Sfilata_fascista_(Quirinale)

 

Intesa come “rivoluzione”, fu celebrata lungamente negli anni successivi e ancora oggi, nonostante tutto (e nonostante l’apologia del fascismo sia un reato), si vedono alcune esibizioni con scopo di celebrarne la memoria.  Ma cosa fu veramente la Marcia su Roma? Una semplice esibizione armata? Una “buffonata”? Ahimè no. La storia ci consegna determinate sentenze : chi si opponeva, veniva picchiato o ucciso. Nella maggior parte dei casi, le autorità sottovalutarono il pericolo, credendo si trattasse soltanto di una manifestazione pacifica (sebbene fossero armati).
Un “grido nel vuoto”, ma comunque grande atto di opposizione, partì da Sarzana (paese tra Toscana e Liguria) : un drappello di carabinieri ordina il ritiro del passaggio dei fascisti e, dopo i continui rifiuti e gli sbeffeggiamenti da parte di questi ultimi, spara sugli increduli mussoliniani (alcuni muoiono, alcuni sono feriti, altri scappano). La reazione popolare non tarda a mancare : i sarzanesi, su esempio del capitano dei carabinieri, rincorrono i fascisti; il capitano fu degradato (non è stato mai reintegrato, nonostante i parenti ne abbiano fatto più volte richiesta, anche dopo la sua morte) : da questo piccolo episodio, possiamo capire in che modo lo Stato non abbia fatto nulla per ostacolare l’operato di Mussolini.

 

Il cosiddetto “stato liberale” ha sempre guardato con un sorriso Mussolini e la compagnia, per un semplice motivo : erano antisocialisti. Dopo il famoso “biennio rosso” (’19-’20), pieno di scioperi, occupazioni di fabbriche e tentativi di autogestione da parte degli operai e del proletariato, il “pericolo” di una rivoluzione bolscevica (anche e soprattutto dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia) si faceva sentire, e la vecchia classe dirigente borghese italiana (con a capo Giolitti, seguito ed apprezzato da gran parte del governo) la temeva fortemente. E allora si verificò quello che gli storici denominano “suicidio dello stato liberale” : Giolitti introdusse dei membri fascisti (35, per l’esattezza, tra i quali Benito Mussolini) nelle sue liste parlamentari (aveva un duplice scopo : allargare l’elettorato e contrastare l’ondata socialista) per le elezioni del 1919 (poi vinte con un lievissimo margine dai socialisti).
Alla fine, il pensiero di Giolitti, da un punto di vista antisocialista e/o liberale, non sarebbe poi così errato : tutto sommato, è un gioco di politica, allarghi l’elettorato e la coalizione, prendi più voti e governi meglio il paese. Ma quello che Giolitti sottovalutò fu la tenacia e la “resistenza” dei fascisti; insomma, i liberali volevano in qualche modo utilizzare i fascisti (come abbiamo detto, per bloccare l’avanzata socialista) e poi metterli da parte..del resto, cosa vuoi che siano 10000 uomini congiunti in un movimento nato da appena 3 anni? Che cosa rappresentano nel paese, anche numericamente? Un’esigua minoranza. Soltanto che una piccola minoranza armata ed organizzata è più forte di una grande maggioranza disorganizzata e disarmata. E qui non vogliamo difendere i fascisti, ma “incolpare” Giolitti per un errore imperdonabile, che porterà al famoso “ventennio”, uno dei momenti più bui e bassi della storia del XX secolo.

 

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Ma torniamo alla mitica Marcia (erano partiti da Perugia, capeggiati dai “quadrunviri”, quattro fedelissimi di Mussolini) : la cosa più assurda è che lo stesso Mussolini non vi partecipò, ma rimase a Milano a guardare dall’alto lo svolgersi delle cose. Ad ogni modo, non possiamo attribuire solo a Giolitti e ai liberali tutte le colpe : il governo Facta (in carica nel ’22), una volta visti i fascisti giungere sotto le porte di Roma, chiede lo stato d’assedio (documento in cui si chiedeva l’urgente risposta militare dell’esercito contro i fascisti, come per dare il via ad una guerra civile) e il Re (Vittorio Emanuele III) non lo firma (intanto la marcia si ferma, 2 volte, tra lo stupore di tutti). Il consiglio e il parlamento non sanno cosa fare, Facta torna dal Re a riproporre lo stato di assedio e lui non firma. Mussolini si reca a Roma dopo due telegrammi del Re : il primo lo invita a Roma a “discutere”, il secondo lo richiama a Roma per conferirgli l’incarico di governo.

 

Perché questa folle scelta? Be’, molto probabilmente le ragioni sono due. In primis, il Re ha sempre dimostrato di non essere all’altezza del suo titolo. Mancanza di coraggio nelle decisioni, mancanza di autorità e incapacità di gestione militare e politica di ogni situazione sono soltanto certe lacune di questo sovrano. Poi, probabilmente, nemmeno lui temeva più di tanto i fascisti, piuttosto aveva paura di essere spodestato dai socialisti (come era successo allo zar russo Nicola II) e alla fine non gli sarebbe cambiato più di tanto se al governo ci fosse stato un Mussolini, un Facta o un Giolitti, poiché lui era – per la legge – al di sopra di ogni altro.

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Il fascismo celebrerà sempre la sua rivoluzione, distinguendosi da tutti i movimenti di destra che l’avevano preceduto, a cominciare dai nazionalisti, che dovettero accettare l’identità rivoluzionaria dei fascisti. Il fascismo riuscirà a coniugare una forma “eversiva” (del resto, Mussolini creerà una nuova forma di governo quasi totalitario, annullando la presenza degli altri partiti in politica e dettando legge su tutto) con una sostanza “di classe”, anche se gli interessi di una solita classe (medio-borghese). Ma dirà Antonio Gramsci, nel suo unico discorso alla Camera (leggi il discorso completo) il 16 maggio 1925 (in occasione delle proposte di leggi Mussolini-Rocco, poi passate alla storia come leggi fascistissime) :

“In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La “rivoluzione” fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale.
[…] È rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. Il fascismo non si basa su nessuna classe che non fosse già al potere”.

 

Comprendendo la complessità (ma soprattutto la vastità) dell’argomento, non voglio dilungarmi troppo. Nel prossimo articolo prometto di analizzare meglio l’avvento del fascismo e la risposta degli antifascisti, dal 1919 al 1943.

 

Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..