La musica nel periodo della Prima guerra Mondiale

La musica nel periodo della Prima Guerra Mondiale

A cura di Roberto Testa

Originariamente, la musica ai tempi della Grande Guerra veniva scritta per i teatri di Broadway o per i musical londinesi, dove si inscenavano dei veri e propri “recital” sugli eserciti, sulla preparazione alla guerra e sulla stessa guerra, soprattutto per propaganda. Tra i più grandi artisti, ricordiamo certamente George Gershwin, uno dei grandi precursori del musical americano e del jazz, movimento musicale nato nei primi anni del ventesimo secolo nei campi di lavoro degli schiavi “neri” d’America. L’Italia non conobbe grandissimi musicisti, se non studiosi della musica come Francesco Luigi Pratella, musicologo futurista che collaborò con la rivista “Lacerba” (di lui oggi ci rimane, tra le altre cose, una raccolta di esercizi di teoria e solfeggio); troviamo anche Luigi Russolo, ideatore dell'”intonarumori”, una sorta di generatore di suoni (per quello che la tecnologia poteva permettere).
Nel 1919, a conflitto concluso, il fisico sovietico Termen diede vita al Theremin, primo strumento musicale che non prevedeva un contatto fisico con l’esecutore (si basa su oscillatori che producono dei suoni in base allo spostamento delle mani all’interno di un campo d’onda). Lo stesso strumento verrà poi utilizzato da Jimmy Page (Led Zeppelin) nel brano Whole lotta love.
Ecco qui il suono che veniva generato!

La musica d’inizio secolo però non riguarda solo il jazz e tutta la musica d’élite che si poteva degustare in teatri, locali o grandi palchi, ma riguarda anche la “musica da guerra” : venivano composti dagli stessi militari o dai propagandisti di guerra pezzi soprattutto corali per il semplice motivo di far aumentare il senso di appartenenza al gruppo, per esorcizzare la paura della morte e sollevare gli animi in vista della guerra. Spesso e volentieri, i motivi venivano cantati dalle truppe al fronte e dai cittadini nelle riunioni patriottiche. La maggior parte dei canti incitavano e spronavano i soldati alla guerra, con spirito patriottico e di “gloria”, dunque qui analizziamo una delle poche canzoni che ci fanno comprendere invece le difficoltà, le sofferenze e i mali del vivere in guerra.

“Ta-pum” (Minatori della galleria di S. Gottardo/ Nino Piccinelli, 1917)
Venti giorni sull’Ortigara
Senza cambio per dismontà

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

Se domani si va all’assalto,
Soldatino non farti ammazzar

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

Quando sei dietro a quel muretto
Soldatino non puoi più parlà

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

Ho lasciato la mamma mia
L’ho lasciata per fare il soldà

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

Dietro il ponte un cimitero
Cimitero di noi soldà

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

Cimitero di noi soldati
Forse un giorno ti vengo a trovà

Ta-pum, ta-pum, ta-pum

Ta-pum, ta-pum, ta-pum!

TaPum

“Ta-pum!” era per i soldati italiani il suono dello sparo della fucileria austro-ungarica, simbolo di un attacco che stava arrivando, molto probabilmente accompagnato dalla morte che avrebbe sicuramente preso alla sprovvista uno o più soldati italiani (o, come minimo, ferito). E’ sicuramente una “incitazione” (per quanto si possa definire tale) a non farsi uccidere e a difendersi per tornare vivi dalla guerra. L’unico riferimento storico lo troviamo nella “Ortigara” : era il monte, nei pressi di Asiago, sul quale si combatté una battaglia (Azione K), che conta 400.000 unità di soldati tra Italia e Austria-Ungheria (di cui 300.000 per l’Italia), rimasta alla storia per essere stata “la più grande battaglia in quota mai combattuta” (10-25 giugno 1917). Il generale italiano era Antonio Cadorna, che decise di attaccare il fronte austriaco, che si rivelò però essere ben difeso, vincendo la battaglia con un efficace contrattacco (che l’Italia volle affrontare a viso aperto, senza ripiegare le truppe), seppure in disparità numerica. Si conteranno più di 20.000 italiani tra morti, feriti, prigionieri e dispersi, mentre solamente 9.000 austro-ungarici.

Così scrive Paolo Monelli, militare alpino italiano (Fronte della Valsugana, Trentino) in “Le Scarpe al sole”, romanzo/diario autobiografico, che ha partecipato al conflitto :
“Da quindici giorni si assiste allo stesso spettacolo : escono battaglioni, rientrano barrelle e morti, e dopo qualche giorno o qualche ora, pochi superstiti..”

Se però vogliamo essere politically correct, dobbiamo concedere uno spazio anche ad un canto molto patriottico e celebrativo noto come “La leggenda del Piave”.
Il Piave, come tutti sappiamo, è un fiume italiano lungo 220km che scorre in Veneto, uno dei principali scenari della Prima Guerra mondiale. Ma il Piave fu soprattutto il simbolo della difensiva italiana : infatti, nonostante la disfatta di Caporetto del ’17, le truppe austroungariche si fermarono proprio davanti al fiume, tra il 13 e il 26 novembre dello stesso anno; un’altra battaglia fu combattuta sempre nei pressi del Piave tra il 15 e il 22 giugno del ’18 (la famosa battaglia del Solstizio) dalle ormai scarne truppe nemiche, ridotte all’osso dal logorio della guerra. E, proprio in questa occasione, venne scritto questo componimento, che ci concede una cronistoria (un po’ di parte) di quel periodo bellico.

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava andare avanti.

Era calmo e placido perché il 24 maggio fu la data d’inizio delle operazioni belliche italiane; le truppe del Regio esercito si mossero verso il confine a nord del Veneto e superarono il Piave. Muti perché bisognava agire di nascosto, senza farsi sentire troppo, senza perdere tempo, perché la guerra era iniziata appena da un anno e il gioco era apertissimo.

S’udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l’ onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: Non passa lo straniero!

Qui è come se qualcuno avesse lanciato una profezia : lo “straniero” (il nemico) non sarebbe mai riuscito a superare il Piave. Forse qualcuno aveva avuto questo presentimento, chissà…

Ma in una notte trista si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha vista venir giù, lasciare il tetto;
poiché il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i ponti.

s’udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l’ onde.
Come un singhiozzo in quell’autunno nero
il Piave mormorò: Ritorna lo straniero!

Ecco qui che arriva la spedizione punitiva austro-germanica : le truppe italiane vengono spinte all’interno della penisola e l’Italia perde la base di Caporetto (oggi comune sloveno, al confine con l’Italia), tra il 24 e il 25 ottobre 1917; sono qui molto interessanti i diari e i testi di Carlo Emilio Gadda (come “Giornale di guerra e di prigionia”, “Taccuino di Caporetto”), letterato che partecipa al conflitto e alla disfatta di Caporetto. Con la disfatta di Caporetto termina anche la carriera del generalissimo Luigi Cadorna, che viene sostituito da un più ben accorto Armando Diaz.

E ritornò il nemico: per l’orgoglio e per la fame
volea sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti!

Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti, combattevan l’ onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: Indietro va, straniero!

Le truppe italiane quindi sono costrette ad indietreggiare, ma, arrivate alle sponde del Piave e sul Monte Grappa, si fermano. Lì combattono quelle storiche e vincenti battaglie citate prima, con tutte le forze rimaste.

Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento
e la Vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere
furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l’ italico valore
le forche e l’ armi dell’ impiccatore!

Niente da fare per i nemici : ora vengono scacciati via dall’esercito, il cui cuore ardeva di patriottismo grazie a figure dell’epopea irredentista come Guglielmo Oberdan, ma anche martiri di guerra (volontari, tridentini) come Nazario Sauro e Cesare Battisti. Così l’esercito nemico indietreggiò, da Trieste al Carso, per arrivare fino a Trento e, il 3 novembre 1918, a Vittorio Veneto, dove venne definitivamente sconfitto.

Sicure l’ Alpi, libere le sponde
e tacque il Piave, si placaron l’onde.

Sul Patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri.

Sul Patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri.

La tempesta cessa, il Piave si placa, gli Imperi centrali (tedesco, austro-ungarico, ottomano) sono crollati, la guerra è finita e l’Italia è riuscita a non perderla!