Intervista a Giacomo Festi

A cura di Claudia Balmamori

Giacomo Festi è nato a Rovereto nel 1990. Da sempre allergico agli studi, dopo la maturità artistica ha frequentato il corso di sceneggiatura all’Accademia di Comics di Torino, per poi decidersi che “forse era il caso di trovare un lavoro vero.”
Ha collaborato con diverse riviste online inerenti al mondo del cinema, fino ad arrivare a scrivere le strisce dei Googes per il magazine del programma Mediaset Mistero.
Ha pubblicato i libri: Storia di uomini invisibili (Nativi Digitali Edizioni), Doppio singolo (Editrice GDS), Vita da scarabocchio (Leucotea Edizioni), La strana indagine di Thomas Winslow (Duetredue Edizioni) e Un giorno di ordinario narcisismo (AUGH! Edizioni). Il suo sesto romanzo, EXCURSUS VITAE, uscirà verso ottobre con la Watson Edizioni.
Nel tempo libero gestisce il blog di cinema Recensioni ribelli ( https://recensioniribelli.blogspot.it/ ).

Noi l’abbiamo incontrato al Salone Internazionale del libro di Torino e gli abbiam fatto alcune domande sulla scrittura e sull’ego.

 

Quando hai scelto di diventare uno scrittore?
Ciao Claudia, e molte grazie per avermi concesso il tuo tempo.
Dubito sia una cosa che si sceglie. A malapena decido cosa fare a pranzo, perché quando manca la mamma mi affido alla pasta, che è l’unica cosa che so cucinare – anche se una volta, non so come, ho bruciato l’acqua – quindi figuriamoci una cosa simile!
Poi scrittore è una parola grossa. Dico sempre che al massimo posso considerarmi uno che scrive storie e proprio qui sta il fulcro di tutto: da che sono piccolo ne sono sempre stato drogato, non ne potevo fare a meno, fossero stati cartoni animati, film, libri o fumetti.
Poi in qualche maniera a ventuno anni ho scritto Storia di uomini invisibili, a ventitré l’ho pubblicato con la Nativi Digitali Edizioni e da allora non ho più avuto un attimo di pausa…

Allora cosa vuol dire per te scrivere?
Mettere a nudo quello che una logorrea irrefrenabile finisce per coprire, spesso per descrivere un mondo che non mi piace e che spero di vedere migliorato. Nulla a che fare con l’anima o altre corbellerie simili, se ne avevo una molto probabilmente l’ho spalmata su un panino con la Nutella.
Però, a ripensarci, nel reale mi “metto a nudo” praticamente solo sotto la doccia, che quella famosa volta nella metro di Milano hanno chiamato i carabinieri, e logorrea fa rima con diarrea. Forse dovrei farmi due domande…

A un anno dalla pubblicazione del tuo ultimo libro cosa è cambiato?
Mi stanno spuntando i primi capelli bianchi, ho nuovamente cambiato lavoro (lavoro vero, che di pura passione non si vive…), alcuni acciacchi mi comunicano che l’appuntamento con quella simpaticona con la falce si fa sempre più vicino e ho iniziato a mettere su giudizio, cosa della quale mi sono accorto quando sul pullman ho ceduto il posto a una signora più anziana.
È cambiato tutto o nulla, in realtà, forse perché cambiare fa parte del normale processo di crescita. Anche i sassi si erodono e io sono più vecchio di dieci secondi fa. La cosa più importante è non mantenere lo sguardo fisso sul solito punto, ma spostarlo dove prima non si pensava, solo così si riesce a crescere non solo come autori, ma anche come persone, perché le due cose sono collegate. Siamo alla perenne compagnia di ciò che abbiamo appreso sul nostro cammino, senza saremmo solo noi stessi e spesso il ritratto è deludente…

Quali sono le tue ispirazioni letterarie?
Riallacciandomi al discorso di prima, tutto quello da cui posso imparare qualcosa. Ho la fortuna di essere onnivoro, narrativamente parlando, quindi non mi faccio scrupolo a buttarmi in qualunque cosa, senza sfociare nello snobismo o ignorare un genere o un filone solo perché “di moda”. Le sorprese stanno anche lì. Le ispirazioni crescono con noi, è un costante corso di aggiornamento.

Ora che tutti possiamo scrivere e ci crediamo scrittori, cosa pensi di poter dire tu a dispetto di tutti gli altri?
Preferisco che siano altri a dirlo, sempre che io possa dare qualcosa.
Per il momento una differenza credo stia nel cercare di divertirmi in qualunque cosa faccia, che in una certa maniera ripaga sempre. Poi contribuisce molto anche il non essere mai soddisfatti di ciò che si è fatto.
Insicurezza?
Macché! Solo un ego spropositato può farti avere la superbia di cercare di spingerti sempre oltre.
Poi sì, bello come sono, la mia foto in quarta di copertina può fare moltissimo.

Come rapporti il tuo ego ai limiti che ti impone la vita?
La vita è fatta apposta per ridimensionare il nostro ego. Siamo esseri umani, creature molto piccole per definizione, abbiamo creato le storie proprio per cercare di elevarci in qualche maniera. Alcuni hanno usato le storie per cercare delle risposte, da qui le religioni, altri invece le usano proprio per creare ed essere loro stessi gli dei che vogliono. Tutto il resto serve solo per schiacciarti e farti capire se sei ancora disposto a proseguire in un cammino così tortuoso oppure no.

Credere eccessivamente in se stessi non ha accezioni negative?
Dico sempre: essere bravi è come essere fighi, se te lo dici da solo molto probabilmente non lo sei. Ma aggiungo: se fai l’umile, cucchi molto meno.
Per sopravvivere in questo settore devi avere la proverbiale “faccia come il culo”, la sfrontatezza iniziale di dire che il tuo lavoro vale – da qui il coraggio di inviarlo agli editori – e la capacità di far interessare la gente a ciò che hai fatto. Devi credere in te stesso, però devi adoperarti in ogni momento per dare senso a questa tua sicurezza.
Ma soprattutto, come mi disse tempo fa una saggia persona, nella vita bisogna atteggiarsi come uno che crede di essere il migliore di tutti… ma non pensarlo mai.