“Graffiti”, intervista ai ≈ Belize ≈

I ≈ Belize ≈ sono un gruppo formatosi a Varese nel 2014 da un’idea di Riccardo Montanari e Mattia Tavani, cui si è poi aggiunto Federico Scaglia. La loro originalità musicale nasce dall’atmosfera malinconica e notturna che esplora varie facce della musica urban, unendo rap, elettronica e cantautorato.

Il loro album d’esordio Spazioperso viene presentato al Mi Ami nel 2016, conquistando un posto nel panorama indipendente italiano per la sua diversità.

Nel 2017 partecipano a X-Factor conquistando il pubblico e la giuria con un’anteprima del loro singolo Pianosequenza, che farà parte sia del successivo EP uscito a novembre 2017, Replica, che del nuovo album Graffiti, pubblicato il 15 giugno 2018.

In occasione dell’uscita dell’album abbiamo fatto quattro chiacchiere con Riccardo Montanari, cantante del gruppo e autore dei testi.

A cura di Silvia Genovese

 

Ciao! E’ uscito negli ultimi giorni il vostro nuovo album Graffiti, raccontaci qualcosa a
riguardo. Come è nato? Come è stato vedere il lavoro finito?

Allora, è stato un lavoro un po’ particolare perché noi avevamo fatto un EP a novembre, quando
abbiamo partecipato a X-Factor, e poi volevamo fare un altro EP a maggio/giugno, in questo
periodo. In realtà poi ci siamo trovati ad avere più canzoni del previsto e abbiamo deciso di fare un
intero disco mettendoci dentro anche le canzoni del primo EP, perché secondo noi si riusciva così a
creare un album più completo. E così è nato il disco, molto velocemente, poi, infatti ci siamo
imposti di farlo uscire in estate perché secondo me ci sarebbe passata la voglia, altrimenti, a tirarla
per le lunghe (ride). Due settimane prima di consegnare il disco mancavano ancora due canzoni e ce
l’abbiamo fatta all’ultimissimo.
Siamo tutti soddisfattissimi, siamo proprio contenti. Il disco suona bene, ci piace. Per esempio io
per quanto riguarda i dischi precedenti dopo averli pubblicati facevo molta fatica ad ascoltarli, non
mi piacevano più, mi avevano già annoiato. Invece questo mi piace molto, lo ascolto anche io. Tu
dici “Chi lo fa dovrebbe poi ascoltarlo tanto” invece chi lo fa poi a volte non lo vuole più sentire (ride).

Cosa pensi che abbia di diverso Graffiti rispetto al vostro primo album Spazioperso?

Ma secondo me (esita). Scusa, era il mio capo, perché io in tutto questo sono a lavoro e c’è il mio
capo che mi prende in giro (ride). Mi sono perso.
Ah, no, le differenze. Io penso che sia molto più maturo, ma perché siamo cresciuti noi. Abbiamo
fatto i primi lavori che non sapevamo nemmeno bene come usare gli strumenti, il computer.
Avevamo idee in mente che volevamo realizzare, ma non avevamo poi tutti i mezzi per realizzarle.
Invece per questo disco qui abbiamo avuto tutto quello che ci serviva, sia per quanto riguarda i
nostri mezzi personali che quelli economici, abbiamo fatto tanti concerti. Così siamo riusciti a farlo,
questo disco qui secondo me è proprio quello che avevamo in mente.
Invece per quello vecchio avevamo tantissime cose in testa, enormi, ma senza avere tutte le
possibilità per farle. Abbiamo sempre avuto le idee abbastanza chiare, però stavolta ci sono stati in
più l’esperienza e i mezzi per riuscire a mettere in pratica quella che era la nostra idea.

Sempre parlando di differenze, cosa è cambiato nel tempo, soprattutto dopo al successo di
Pianosequenza davanti al pubblico di X-Factor?

Ovviamente sono cambiate delle cose, ora abbiamo un pubblico quasi in tutta Italia. Andare a
suonare con della gente che ti viene a vedere non è mai scontato. Ma poi è cambiato soprattutto
come viviamo e vediamo noi questa cosa di fare musica, che comunque è partita come un gioco e
invece adesso sta diventando una cosa su cui quasi puntare. A me personalmente sembra una cosa
così “debole” quella di un futuro basato sulla musica che ormai non mi preoccupo più del futuro.
Prima mi preoccupavo di tutto (ride), invece adesso ho deciso di provare a fare questa cosa qui, ma
non ho pretese, quindi non ho più paura di niente.

Con quale artista vi piacerebbe collaborare in futuro?

Non lo so, a me piacerebbe sempre collaborare con dei rapper che hanno fatto storia nel mondo del
rap. E’ un mondo che a me piace tanto e che poi mettiamo anche tanto nelle nostre canzoni, ma non
è il mondo da cui veniamo noi. Per cui quando collaboriamo coi rapper mi piace sempre avere
questo scambio, come è stato con Disa nel vecchio disco o Mecna adesso. Quindi mi piacerebbe
sempre collaborare con questo tipo di artisti, ma dagli storici, tipo un Fabri Fibra, una cosa del
genere fino anche a dei ragazzi giovanissimi emergenti.

Mi piace pensare che, soprattutto in una musica talvolta molto personale come è la vostra, si
possa trovare qualcosa in più. Per esempio, mi piace pensare che ci siano, e di averli colti, dei
riferimenti letterari, cinematografici, artistici. Senza fare spoiler, è possibile che sia così per
voi? Pensi che la musica nasca anche da questo?

Bè, si, tantissimo. Io sinceramente penso che nella musica i geni, intesi quelli che creano dal niente,
siano stati veramente pochissimi, anche in generale nella storia. Ma tipo che si contano sulle dita,
quattro o cinque. E tutto il resto sia invece un prendere da quello che si vede, quello che si sente,
quello che si prova, quello che si legge e riadattarlo in qualche modo. E io personalmente faccio
tantissimo così, e infatti nelle canzoni ci sono un sacco di citazioni. Ma ci sono anche delle frasi che
prendo pari pari da dei libri e poi ci creo intorno un contesto, un racconto.
Ci sono canzoni che nascono da riferimenti.

Questo succede anche in Graffiti?
Si, avoglia! (ride)
Infatti c’è questo sito bellissimo, Genius, dove praticamente ci sono tutti i testi delle canzoni ed è
tipo un social network dove la gente può scrivere le interpretazioni delle frasi. E io ho visto che sul
nostro profilo c’è un sacco di gente che scrive.

C’è una canzone che quando la ascolti pensi “Cavolo, vorrei averla scritta io”?

Ma questo mi succede anche con cose molto brutte (ride), vorrei aver scritto tante cose. Di base
quando penso a qualcuno di gigante più che “Vorrei averla scritta io” mi viene da dire che vorrei
aver vissuto quel periodo lì. Non lo so, tipo mi vengono in mente i Nirvana o Lucio Dalla. Mi
sarebbe piaciuto più forse vedere coi miei occhi quei periodi lì che aver fatto io quella canzone.
Però ovvio che li invidio, sono invidioso (ride).

Ultima domanda, quali sono gli album che vi hanno più influenzato nella realizzazione della
vostra musica e che consigliereste a chi vi ascolta.

Ci sono tot album stranieri da cui prendiamo sistematicamente spunto.
Sono Entroducing di Dj Shadow, che è un disco storico degli anni ’90, che praticamente è il primo
album interamente campionato della storia, non c’è dentro neanche uno strumento suonato ed è
fighissimo, ha fatto proprio la storia dell’Hip hop, quello sicuramente.
Poi magari Neon Golden dei Notwist, super. Questi più per la parte strumentale. E poi, bè,
qualcosa dei Gorillaz, anche.
E invece per la parte quella più autorale, così, i miei punti di riferimento sono sempre gli
Afterhours. Quindi direi Non è per sempre degli Afterhours.
Oppure anche Dalla di Lucio Dalla.
Sono quelle cose che quando ho bisogno di pensare un po’ io mi ascolto e mi aprono la testa.
Assolutamente consigliati.

Un autoaugurio per te e i ≈ Belize ≈?

Mah, ti dirò una cosa anche un po’ triste, così (ride). L’anno scorso è successo che dopo tante date
eravamo veramente stanchissimi, così stanchi da avere difficoltà di comunicazione interna, ma
anche poi da perdere un attimo di vista le cose belle che son successe. Quindi spero che a questo
giro rimanga sempre un clima lucido, che ci faccia vivere anche le più piccole esperienze in modo
positivo. Perché spesso veramente ci pensi dopo alle cose belle che son successe e non riesci mai a
vivertele. Quindi spero veramente di vivere il momento, proprio, delle piccole cose che accadranno.

 

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