Io così dura : Oriana Fallaci

Oriana Fallaci.
Avete presente i poster sulle pareti, no?
Quelli che attacchi negli anni di perdizione, non proprio Dantesca, uno smarrimento più ingenuo, meno profondo, ma comunque importante.
Quando hai bisogno di un Virgilio per essere una Beatrice, e allora appiccichi con quella specie di pongo bianco la foto di un cantante, di un attore, di qualcuno che ti fa sentire meno solo, a volte.
Io di poster non ne metto più.
Sarà che tra il Leopardi (con cui vivo assiduamente, disse la Prof), Foscolo, Manzoni, D’Annunzio, Dante ecc. trasformerei la mia camera in un salotto letterario (non credo che mia mamma reggerebbe l’ennesimo colpo dalla figlia non convenzionale). Ho solo Beatles, Battisti, poster vecchi, foto con amici.
Ma, ecco, volevo solamente dire, con lunga perifrasi, che se dovessi davvero un dì creare il mio salotto letterario, la Fallaci non mancherebbe.
Il mio migliore amico me lo dice.
Non troppo, perché sono quelle cose che a dirle spesso si sciupano, e diventano convenzionali, e non ti restano dentro.
Però a volte sorride, quando gli parlo di letteratura o legge un mio scritto.
Fa uno di quei sorrisi che gli stanno bene, che sa indossare, bello insomma.
Il mio piccolo futuro medico che fa
“Sei la mia Fallaci.”
“Diventerai come Fallaci”.
A me non dispiacerebbe proprio, ecco.
Quell’aria da dura (e lui invece così dolce), che è solo scudo, in realtà.
Non credo sia altro.
E’ un bel piccolo desiderio. Roba intima.
Ed è proprio del suo intimo che vorrei trattare. Non tanto degli scritti, non degli articoli o delle varie “missioni”.
Piuttosto della parte debole sotto la dura scorza.
Sarà che mi ci trovo, sarà che per comprendere la grandezza, ci dev’esser dato uno spiraglio nella recondita debolezza.

 

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Si può dedurre che fosse grintosa, prima di tutto.
Si fece strada in un mondo che di strada alle donne non ne concedeva.
Nel giornalismo, poi.
Doveva essere consapevole di dover essere la migliore per farsi rispettare in un mondo di uomini, quelli appunto del giornalismo anni ’50.
Sapeva che servivano le palle, per un lavoro del genere.
Coraggio. E per questo fu sempre pronta a porre domande sferzanti ai potenti, a sfidare le pallottole, a guardare, infine, in faccia il cancro, ormai ridotta pelle ossa, con la gonna troppo larga per quella vita troppo sottile, quel maglione blu che le ricadeva goffamente sulle spalle, la sigaretta in bocca, immancabile, come gli occhiali enormi.
Una corazza dura, non sovente a perdonare, capacissima di rompere legami importanti, amori, amicizie, amanti. E per sempre.
Solitaria anche se in compagnia, d’acciaio anche se piccola, donna.

 

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Pur sempre una donna.
E una donna, si sa, diventa argilla sotto le mani dell’amore.
Si scopre fragile, piccola, toglie la maschera d’acciaio e senza fatica, come atto d’amore, il più vero.
Come nell’amore con Alfredo Pieroni, suo corrispondente per affarti letterari e incontrato successivamente a Londra.
Sognava una vita di coppia. Era disposta ad abbandonare tutto, anche la sua maschera, anche a quello a cui teneva di più al mondo.
Lo scrivere, il giornalismo.
Vuole una grande casa, te la immagini, Alfredo, te la immagini? Bianca, anzi no, azzurra, e sarà piena di libri, e di bambini. Ti piacciono i bambini, Alfredo?
2. Anzi 3.
Era un bel sogno.
Però rimase monologo.
E poi divenne tragedia.
La non corrispondenza d’amore, un bellissimo idillio frutto di chimere impalpabili eppure così sentite.
Così è il dolore. Esige di essere sentito.
Tuttavia sembra che un petalo di quel sogno debba compiersi.
E’ il 1958, Oriana è incinta.
Sa bene che il suo uomo, quello che lei ama, quindi quello che secondo la dikè dell’eros si fa suo, non vuole figli.
Non vuole nemmeno lei, figurarsi.
Prende in considerazione l’aborto, di cui parla con poca sicurezza, in realtà.

“So, con sicurezza, che devo farlo… Perché, se non lo facessi, rovinerei o turberei, almeno, la tua vita.”

E’ tuttavia il destino a decidere per loro e a rimuovere (almeno in parte) i sensi di colpa di Oriana: nel maggio del 1958 Oriana sviene. Si trova a Parigi, e viene trasportata in ospedale.
Il feto è morto, e lei rischia la vita.
Dopo questo episodio (che chissà, potrebbe aver generato “Lettera di un bambino mai nato”) Oriana cade in depressione.
Tenta il suicidio ingerendo quantità ingenti di sonnifero.
Riescono tuttavia a salvarla, nonostante l’incidente le costi il ricovero in una clinica psichiatrica.
Ricorderà sempre i letti con le cinghie di cuoio e le inferriate alla finestra.
Un secondo aborto avverà nel ’65. Non si conosceva l’identità del padre, forse un ex amante dell’America.
Due bambini mai nati, che tuttavia ebbero sempre un peso.

Poi arriva Pelou Francois, che le romperà dolcemente la maschera e gliene modellerà un’altra, più forte, e che tuttavia, essendo mascherà, dovrà essere rimossa.
La rende più vera, le mostra come in battaglia una stessa persona possa esprimere il meglio ed il peggio dell’umanità.
Lei diviene sotto le sue mani tenera, gentile, passionale.

“Sono una cosa tua
sono infine qualcosa
Grazie.”

 

Anche questo amore non ha però domani.
Pelou è sposato e non vuole divorziare.
La passione adulterina continua, fino a quanto Francois, messo alle strette, la abbandona.
Abbandona lei con la sua maschera nuova, lei che la prende e la scaraventa a terra, là, ora in mille pezzi, e sceglie ancora, forse per volere o più probabilmente per dovere, la sua vecchia maschera d’acciaio.
Dura, spietata, prende tutto il loro epistolario, e lo invia alla moglie di lui.
Dopodiché, sparisce.

 

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Nell’83, Paolo Nespoli.
Lui le fa da autista, all’inizio.
Era bello, immagino.
Era bello stare in quella macchina e parlare, di tutto e di niente.
Lei gli parla dei libri, e poi di non abbandonare il suo sogno di fare l’astronauta, poi ride e fuma, e lui non dice niente, ma si vede, si vede che sorride.
L’amicizia diventa amore, e Oriana non ci crede.
Quanto vivi nella tempesta, e difficile credere che ti sia concesso un raggio.

“Avevo giurato che mai più avrei toccato un uomo. Poi ho incontrato te.”

La Fallaci è già però consapevole che la pioggia, e non l’arcobaleno, è dietro l’angolo.

“Noi due insieme
siamo un’eresia
un’ipotesi da scartare
un fenomeno da studiare
come i buchi neri e la teoria dei quanta.”

Lei lo lascerà quando lui partirà per un incarico all’Agenzia spaziale Europea.
Questo amore sarà eterno d’inchiostro ne “Un cappello pieno di ciliege”.

Aveva ancora la sua maschera d’acciaio, alla fine.
Fino alla fine.

Non aveva vie di mezzo, comunque.
O l’amavi o la odiavi.
Al sentir nominare il suo nome, le persone in genere reagiscono in modo molto diverso.
Se hanno più di 40 anni, vedevano questa ragazza, dura, a tratti dolce, simbolo dell’emancipazione femminile, come nulla di buono. Soprattutto se erano donne.
Una donna giornalista.

“Ricordo bene come decisi di fare la giornalista leggendo “Intervista con la storia” : quel modo nuovo di andare a incontrare il potere, di fare domande come se il microfono fosse una spada a difesa di tutti i lettori del mondo. Come se il giornalismo fosse un’avventura.”

Una giornalista che si era messa in scena fin dai primi articoli, ma aveva in realtà raccontato sempre e soltanto solo alcuni aspetti di sé, nascondendo il resto dietro un muro di parole.

 

“Io così dura. E tu così dolce.”

 

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Lo scrisse in una lettera mai letta a Pasolini, post mortem.
Chissà se era davvero così.
Lei così dura.
Lui così dolce.

 

Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...