Storia del tempo libero

L’estate, soprattutto per uno studente, è il periodo del “tempo libero” per antonomasia : finisce la scuola, finiscono gli esami, gli impegni ordinari e la maggior parte delle attività che si svolgono durante l’anno. Si ha quindi il tempo di fare una più o meno breve pausa e dedicarsi magari ad attività gratificanti, quali ad esempio oziare, dormire, andare al mare, giocare al computer, girare il mondo.. Insomma, qualcosa che produca in noi piacere e benessere e soprattutto alienazione e distacco dalla realtà, per quel breve o lungo periodo che sia.

A cura di Roberto Testa

 

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Ma qualcuno si è mai chiesto da dove venga fuori questo tempo libero?
Sembra essere una cosa scontata oggi, avere le “vacanze” o le ferie, ma se torniamo ad esempio a 100 anni fa non era sicuramente così. Anzi, più indietro torniamo nel tempo – perdonatemi alcune manchevolezze storiche, ma non voglio stressarvi anche d’estate con date, guerre e imperatori – meno “tempo libero” abbiamo. L’esempio più banale ma diretto che si fa è quello dell’orario di lavoro. Una stupidaggine, potreste dire, che un operaio italiano più di 100 anni fa con uno sciopero è riuscito a veder abbassato il suo orario ad un massimo di 12 ore giornaliere. E poi 10, e poi 8, con tanto sangue e con tante lotte (e per le ferie bisogna aspettare il 1920). Insomma, come diceva un noto canto operaio (“se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorare”) – e qui non vogliamo fare apologia del blocco operaio italiano – lavorare stanca (lo diceva pure Cesare Pavese)! Ed ecco che il tempo libero finisce. O meglio, il tempo libero non nasce e non muore. Perché dopo 10 ore di lavoro in una fabbrica, quanta voglia e quanto tempo si ha di fare altre attività ricreative? Ah, e il giorno dopo pure bisogna lavorare! Si deve riposare : il tempo libero allora corrispondeva solamente al tempo di riposo dell’operaio medio o comunque dell’artigiano, del mercante, del contadino..

 

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E se volessimo estenderci ad altre figure sociali? La donna, lo sappiamo – tolte le nobili, regine e parenti – chiusa in casa, quasi segregata. Il suo tempo libero? Un libro, una lettura, lo studio di qualche lettera dell’alfabeto, il gomitolo di lana..
Non tocchiamo il discorso dei nobili, perché loro potevano permettersi di avere del tempo libero – o forse ne avevano troppo, come testimoniato dal “Giorno” di Parini (leggetelo, se non lo avete già fatto). Sveglia tardi, colazione, battuta di caccia, pranzo, giro a cavallo, riposo, cena e letto.. Tanto, lavoravano gli altri! Cosa poteva importare loro del lavoro?
Ma forse i bambini avevano del tempo libero… Come, scusa, i bambini? Loro lavoravano in fabbrica o in campagna come gli adulti. I più fortunati (una percentuale davvero irrisoria, se confrontata al resto della popolazione infantile) andavano a scuola e anche loro tornavano a casa stanchi o comunque dovevano aiutare la famiglia, studiare, riposare..
Gli anziani allora! Ah, ma perché, gli anziani che prospettive di vita avevano? Tra chi moriva in fabbrica, chi si ammalava in campagna.. poi non c’era la pensione! Solo nel 1889 Otto von Bismarck, storico cancelliere tedesco, diede il via a questa misura sociale, poi imitata dalla restante parte d’Europa. In Italia abbiamo la “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai” solo nel 1898, con iscrizione obbligatoria (quindi versare i contributi) dal 1919 in poi.

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Spesso si sente in giro che “la vita è frenetica, non abbiamo pause”, “siamo sempre di corsa”, “ormai anche vivere è stancante”. Ecco, avendo fatto questo brevissimo salto indietro nella storia, con l’aiuto anche della nostra immaginazione (oltre che con quello di documenti, libri e fonti autorevoli), possiamo quantomeno ritenerci “fortunati” nel non essere nati più di 100 anni fa (tolti nobili e aristocratici, ma quella si sa, è un’altra storia).
E allora questo tempo libero quando “nasce” davvero?
Bisogna fare un salto più piccolo per scoprirlo, o almeno, per provare a interpretare la storia.
Nel 1945 finisce la Seconda Guerra Mondiale e con la “Ricostruzione” ci si avvia verso l’inaugurazione di quel periodo che è stato definito dallo storico E.J. Hobsbawm “l’età dell’oro” o da altri come “l’età del benessere” (e solitamente qui le date sono 1946-1973) : è il periodo delle grandi innovazioni, delle grandi scoperte mediche, scientifiche e tecnologiche, dell’aumento dell’occupazione e quindi di forte crescita economica, della “decolonizzazione”, dell’acquisizione di diritti civili e umani, della promulgazione di costituzioni democratiche e via dicendo..

Di conseguenza, nei paesi “occidentalizzati” (Europa, USA e a poco a poco anche l’Est) abbiamo una realtà piuttosto simile alla nostra : i bambini non lavorano più, le donne si sono “emancipate” e non sono più costrette a stare a casa, gli anziani al termine della loro carriera lavorativa ricevono una pensione, gli operai e i dipendenti pubblici hanno orari di lavoro più limitati e così via… A questo punto, possiamo dire necessariamente che ognuno ha più tempo libero! Ovviamente le eccezioni ci sono sempre, ci sono persone che lavorano 13 ore al giorno e persone che lavorano 1 ora al giorno, ma la situazione, anche sul campo di diritti e doveri, credo sia migliore rispetto a quella del XIX o primo XX secolo.

E allora, una volta per tutte, come possiamo definire questo “tempo libero”?

Per lo storico Stefano Cavazza il tempo libero è un prodotto della modernità industriale e in quanto tale è parte integrante del consumo : che si voglia nasconderlo o no, il liberismo o capitalismo che sia ha contribuito alla diffusione di una serie di attività che prima includevano soltanto realtà ben circoscritte, non solo geograficamente, ma anche nel termine della partecipazione. Dalla fotografia allo sport, dalla musica alla scrittura, dai motori ai vestiti, quasi ogni “hobby”, passione o utilizzo del tempo libero, va ad investire la società. Basti pensare ai soldi e al tempo speso dietro agli allenamenti sportivi, alle competizioni, all’acquisto degli strumenti musicali, delle macchine fotografiche, dei libri e così via… Tutto ciò dà origine ad un mercato che viene alimentato da ognuno di noi, per quanto possiamo farlo inconsapevolmente : tante piccole gocce che riempiono un oceano, come direbbe qualcuno.

 

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Oggi possiamo definire “tempo libero” anche il tempo che passiamo noi davanti ad un computer, ad un telefonino, in quelle brevi pause tra un’attività e un’altra : ormai esso si è spezzettato e si è atomizzato così tanto che noi spesso non ci accorgiamo di averne una quantità pazzesca al giorno, talvolta equivalente a quella del tempo di lavoro o studio! Addirittura c’è chi vuole fare del proprio tempo libero un fine della propria vita, ponendolo al di sopra del lavoro, in un’ipotetica scala di valori.

La diffusione del tempo libero così diventa un bene prezioso, una risorsa per il sistema : l’uomo si dedica ad attività ricreative (nella maggior parte dei casi non remunerate) che producano “leisure” (piacere o soddisfazione), che lo aiutino nella definizione della propria personalità come segno distintivo di rilievo sociale (se sono un musicista sono quasi sicuramente diverso – sia nella considerazione che ho io di me, che in quella che gli altri hanno di me – da un calciatore, da un modello..), che contribuiscano al raggiungimento della sua felicità e che gli permettano di passare bene il proprio tempo libero senza dover rinunciare alle proprie attività lavorative e di sostentamento economico. In poche parole, dando vita a quello che oggi viene chiamato “benessere”.

 

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E la propagazione del benessere è oggi uno degli elementi essenziali delle forme di legittimazione politica dei governi di questi ultimi 50 anni : un governo che non produce benessere, che non tiene conto dei diritti (come ad esempio quello all’ozio e alla ricreazione) e che non dà alla popolazione possibilità di consumo attraverso l’acquisto e il mercato (e come sempre qui siamo ricondotti al nostro caro tempo libero), difficilmente otterrà il consenso dell’opinione pubblica.

Che futuro ha il tempo libero?
La diffusione del tempo libero in futuro dipende fondamentalmente da 3 elementi : lo sfruttamento delle risorse ambientali e monetarie, il progresso tecnologico e la volontà politica di perseguire politiche sociali redistributive (quindi ridistribuire le risorse economiche per ottenere vantaggi e benefici diffusi, pur imponendo costi). Tutto questo affinché il “benessere” non sparisca totalmente e il sistema ci ingabbi in quella realtà del “tempo libero” che alla fine così libero non è.