David Bowie e la trilogia berlinese

Nel 1976 David Bowie stava attraversando una profonda crisi: il periodo trascorso a Los Angeles, per la registrazione di “Station to Station”, l’aveva portato ad un consumo eccessivo di alcool e cocaina. Per fuggire da tutto questo si rifugiò prima in Svizzera e poi a Berlino, dove prese il via quello che è conosciuto come il periodo della “Trilogia Berlinese”.

A cura di Marco Cingottini

La definizione fu data dallo stesso Bowie al momento della pubblicazione di “Lodger”, l’ultimo capitolo di questa trilogia, gli altri due lavori sono “Low” e “Heroes”, quasi a significare un periodo ben definito in cui l’artista inglese racchiude un capitolo della sua storia artistica.

A Berlino Ovest divide l’appartamento con Iggy Pop, cantante e leader degli Stooges, e insieme a lui scrive e produce il disco “The Idiot” – nel disco è presente “China Girl” che Bowie ripresenterà in una nuova veste nell’album “Let’s Dance” del 1983 – contribuendo a lanciare la carriera solista dell’iguana del rock (così è ancora oggi soprannominato Iggy Pop).

E’ il segnale della rinascita psicologica per il “Duca Bianco”, che nel frattempo si interessa a nuove sonorità come il Kraut Rock tedesco e inizia una proficua collaborazione con Brian Eno. Già componente dei primi Roxy Music, e successivamente produttore di band come Ultravox!, Talking Heads e U2, Eno aveva da poco pubblicato “Discreet Music” un lavoro di musica ambient sperimentale che aveva colpito molto Bowie. Insieme a loro, al banco di produzione, è presente Tony Visconti, che sarà con lui anche nei suoi ultimi lavori “The Next Day” e “Blackstar”.

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Il primo disco, come detto, si intitola “Low” e presenta un sound che risente molto di questi suoi nuovi interessi. In particolare la seconda parte, che vede la presenza di brani suggestivi come “Warzawa”e “Art Decade”,  è quasi completamente strumentale e composta da tracce in cui la fa da padrona l’elettronica e la sperimentazione. Il tutto rappresenta un inedito, e per certi versi un azzardo, che dimostra come l’artista inglese fosse sempre all’avanguardia nella ricerca di nuove sonorità. La prima parte del lavoro è costituita, invece, di canzoni che si avvicinano ad un pop d’avanguardia, quasi dei brevi flash. Da sottolineare, proprio nella parte più sperimentale, il grande lavoro di Brian Eno che registra da solo quasi interamente la già citata Warzawa, vero capolavoro dell’album.

Il disco ebbe un impatto difficile sia con la casa discografica, non proprio convinta della sua riuscita commerciale, che a livello di pubblico: infatti è un lavoro che ha acquisito sempre più apprezzamenti nel corso degli anni a venire, e oggi è considerato uno dei suoi album più influenti.

Disegno di Adele Bilotta

L’anno successivo (1977) è quello di “Heroes”, progetto centrale di questa trilogia. Caratterizzato anch’esso da una seconda parte quasi completamente strumentale con suoni minimali, è arricchita, nella prima, da brani come “Beauty and the Beast” e soprattutto la meravigliosa title track: qui su un muro di suono in cui lavora molto la chitarra di quel genio di Robert Fripp, leader dei King Crimson e vera novità di questo album, emerge la splendida voce di Bowie. Il testo racconta di un amore travagliato sotto il famigerato muro di Berlino, che divideva in due parti distinte la città e che verrà abbattuto nel 1989. L’atmosfera decadente ci trasporta in maniera magica in quel periodo buio della capitale tedesca.

Il brano trascina l’intero album al successo in tutto il mondo. Heroes ancora oggi, a 40 anni dalla sua pubblicazione, suscita un fascino e una suggestione straordinaria. Ma è tutto il lavoro, come il precedente Low, che dimostra lo stato di grazia di Bowie, perfettamente a suo agio in queste atmosfere in alcuni momenti anche oscure. C’era il Punk che stava impazzando nel 1977, ma lui dimostra che la musica sa essere anche altro, non fermandosi a vivere di rendita sui successi di Space Oddity o Ziggy Stardust.

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Prima della registrazione del terzo e ultimo capitolo della trilogia, inevitabile la pubblicazione del suo secondo disco live “Stage”, quasi a celebrare il trionfo definitivo di Heroes.

Nel 1979 pubblica “Lodger” a chiusura di questo periodo. L’album, a differenza dei precedenti registrato tra Montreaux e New York, vede un ritorno ad una forma più tradizionale delle composizioni, che sembrano riportare Bowie al periodo pre-berlinese. L’ascolto del disco, invece, ci sorprende ad ascoltare riferimenti alla new wave e alla world music, grazie a composizioni come “African Night Flight” e “Yassassin”, che lo collocano perfettamente nel contesto storico musicale. “D.J.”, “Look Back in Anger” e “Boys Keep Swinging” sono altri esempi dell’ispirazione che vive Bowie, coadiuvato anche qui da Eno. “Lodger”, sicuramente più accessibile dei due precedenti, chiude in maniera splendida la trilogia berlinese.

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Nel 1980 Bowie pubblicherà l’ultimo suo grande capolavoro, “Scary Monsters”, dove continuerà a lavorare con Robert Fripp. Ma Berlino, la città che ha assistito al periodo, forse, più ispirato di tutta la sua carriera, è ormai alle spalle.

 

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..