Ma è volgare?

“Gianluca, dai ca…”

Par che non vi sia modo migliore per iniziare questo articolo giornalistico, se non usando la frase topos de “I soliti Idioti”, duo comico bollato dai più (o, perlomeno, i moralisti) come volgare, ineccepibile, sconsiderato.

Le parolacce non si dicono, punto 1.
E si devono vietare i film volgari, punto 2.
Se no come ce la ritroviamo un domani questa massa di giovani già corrotta (chissà quanti roghi, Savonarola ne sarebbe stato entusiasta)?
E soprattutto, punto 3, niente opere letterarie volga..

E qui il dibattito.

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Niente Moccia, questo è poco ma sicuro.
Ma c’è una rinuncia ancor più drammatica di quella sopracitata.
Omero (o chi per lui), per esempio.
Eggià, il buon caro e vecchio Omero, sì, quello del cavallo di Troia e di Elena, che cavallo non era, ma il resto si, quello di Achille e del suo Patroclo, quello del commovente saluto tra Ettore e Andromaca (“tu sei per me padre, mare, fratello, amico, sposo fedele” e via dicendo”), non manca di epiteti forti.
E cagna, e vai ai corvi, sarai cibo per i cani, puttana.

E da Omero in poi i lirici greci non si sono certo mostrati riprovevoli verso quel linguaggio scurrile, ma hanno piuttosto mostrato una certa propensione nel continuare la piccola tradizione inaugurata dal più grande. Anzi, sembrerebbe che si siano proprio divertiti, a condire un po’ di qua e un po’ di là le loro opere con frasi sconce, brutali, e diciamocelo, porche, senza mancare di dissacrazione linguistica.
Eschilo, Sofocle, Archiloco, e poi Aristofane, un nome un programma (“Tu che al culo focoso il pelo radi, tanta barba, o scimmiotto, al mento avendo, cammuffato da eunuco ti presenti?”)

E poi ci sono i Romani.
I rigorosi Romani, si, quelli del mos maiorum, degli avi, del rispetto, della venerazione per gli dei.
Si, quelli del Cicerone (che nemmeno lui si è risparmiato certe espressioncine colorite), quelli di..
Beh quelli di Giovenale.
Il quale intorno al 100 d.C ci ha donato con le sue Satire veri esempi di uomini politicamente scorretti:

O acora quando t’impone di farti in là gente che si guadagna i testamenti ogni notte, gente che la via più sicura oggi a far fortuna, la vulva d’una vecchia danarosa, porta alle stelle.

Per poi dir:

Non fidarti dell’apparenza: le strade sono piene di viziosi in cattedra. Condanni l’immortalità, tu, proprio tu, che degli efebi di Socrate sei il buco più noto? Il corpo rozzo e le braccia irte di setole prometterebbero un animo fiero, ma dal tuo culo depilato, con un ghigno, il medico taglia escrescenze grosse come fichi.

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Facciamo un piccolo salto.
Dai lirici greci, alla Roma antica, ove era il latinorum il padrone, all’Italia del 1200.

Il Volgare. Nel volgare.
Fiorentino, con due dei tre pilastri e colonne.
Boccaccio il primo, il cui nome è davvero tutto un programma (basti pensare che da lui deriva l’aggettivo “boccaccesco”…).
E il suo Decamerone, con novelle su uccelli dotati di più vita del solito e altre cosucce simili, di volgare è pieno zeppo, in entrambi i sensi.

“Col malanno possa egli essere oggimai, se tu dei stare al fracidume delle parole di un mercantuzzo di feccia d’asino, che venutici di contadi e usciti delle troiate, vestiti di romagnuolo, con le calze a campanile e con la penna in culo..”

E poi Dante, la colonna delle colonne, il nostro Dante, orgoglio dell’orgoglio italiano, quello che studiamo nelle scuole, quello che “quante notti su quella Commedia”.
Quello che, nel canto XVII dell’Inferno “sozza e scapagliata Taide, puttana che là (si si, là) si graffia con le unghie merdose”, per poi proseguire le danze “ed elli avea del cul fatto trombetta”.
Qualche libro dopo :

“Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com’io vidi un (…) rotto dal mento infin dove si trulla (già). La corata pareva e’l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia”.

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E dal mangiar merda altra tradizione.
Tommaso Stigliani, ad esempio, dona al mondo la sua

“Merdeide, stanze in lode delli stronzi della Real villa di Madrid”

E poi Pietro Aretino, che, diciamocelo, è tutto “cazzo” e fica”, il Benigni di un tempo.
A lui piaceva molto il secondo dei due oggetti, mentre del primo non manca di scrivere, nei suoi Sonetti lussuriosi :

“Fottiamoci, anima mia, fottiamoci presto, perché tutti per fotter nati siamo; e se tu il cazzo adori, io la potta amo, e sarìa il mondo un cazzo senza questo”.

Per poi..

“Mettimi un dito in cul, caro vecchione, e spinge il cazzo dentro a poco a poco; alza ben questa gamba a far buon fioco, poi mena senza far reputazione”

NB: ho accuratamente scelto i passi migliori di tali sonetti.

Potremmo continuare con Hugo, Shakespeare, Baudelaire, Artaud, senza mancare del Leopardi (poche parolacce e niente doppi sensi, a dire il vero, ma smettiamola di pensarlo come un depresso in croce, e vediamolo nel suo lato umano, il che mai non guasta, anzi).
E allora che si fa? Si censura?

No.

No perché la lingua (sono finiti i doppi sensi) è bella a seconda di chi la usa.
Volgari non sono mai le parole stesse.
Cioè, possono esserlo, ma dipende dall’eleganza, dalla maestria, dall’intelligenza e dalla cultura con la quale vengono usate.

Il caro Cesare Pavese disse che :

Nulla è volgare di per sé, ma siamo noi che facciamo volgarità secondo che parliamo o pensiamo.

Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...