The Cure: alfieri della musica Dark

The Cure sono uno dei gruppi più influenti della scena Dark/New Wave. Cominciarono la loro carriera ufficialmente con Killing an Arab nel 1978, quindi quest’anno compiranno 40 anni e lo festeggeranno con un grande concerto all’Hyde Park di Londra il prossimo 7 luglio. Il suo leader, immagine iconica della musica inglese, ha un nome comune da quelle parti: Robert Smith.

A cura di Marco Cingottini

In realtà il suono della band non sempre è stato vicino alle sonorità dark, anche se è vero che gli album più importanti, Pornography e Disintegration, rispecchiavano in pieno queste caratteristiche. Il percorso di Robert Smith e i vari componenti che si sono succeduti nel tempo è stato abbastanza vario.

Il primo album “Three Imaginary Boys” è un lavoro ancora incerto sulla strada da intraprendere, tra punk, art rock e i primi segnali di composizioni oscure. In più, poco dopo l’uscita del disco, la band pubblica un singolo molto 60’s “Boys don’t cry”, brano ancora oggi molto popolare.

E’ dal secondo lavoro, “Seventeen Seconds”, che Robert Smith comincia a sviluppare quel suono minimalista e dark che caratterizzerà soprattutto il primo periodo dei Cure. Le atmosfere sono molto cupe, sottolineate da linee di batteria elettronica su cui chitarra, basso e piano disegnano immagini inquietanti: “Play for today”, “In Your House” ma soprattutto “A Forest”, brano che per anni ha fatto parte del loro live set e uno dei più amati dai loro fans, danno un quadro chiaro del sound del disco.

Questa discesa verso la cupa disperazione passerà attraverso l’album successivo “Faith”, per arrivare al suo compimento nel già citato “Pornography”, lavoro fondamentale nella storia della band e caposaldo del genere dark/gothic. Testi nichilisti uniti a ritmi ossessivi e linee di basso molto forti, le chitarre e le tastiere accompagnano disegnando quasi dei tappeti sonori, e la voce di Smith a completare il tutto.

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Qui, improvvisamente, la carriera della band subisce uno stop: già ridotti in tre – insieme a Smith erano rimasti solamente Simon Gallup al basso e Laurence Tolhurst alla batteria – alla fine del tour di Pornography anche Gallup lascia il gruppo. A quel punto, Robert Smith, dopo aver inciso con il superstite Tolhurst il singolo pop “Let’s go to bed”, lontano anni luce dalle atmosfere inquietanti che avevano caratterizzato il suono dei Cure, decide di fare altre cose. Si unisce per un periodo ai Siouxsie and The Banshees, poi con il loro bassista, Steve Severin, forma i “The Glove”, con cui incide un album “Blue Sunshine”.

E’ un periodo molto confuso: Smith torna a lavorare con Tolhurst, che oltre alla batteria si dedica ora anche alle tastiere, ed incide altri due singoli dal suono ancora abbastanza leggero, “The Walk” e la divertente “The Lovecats”.

E’ comunque un nuovo inizio: “The Top”, il nuovo album che arriva dopo due anni da “Pornography”,  presenta un suono molto eclettico, rappresentando un ponte ideale tra il primo ed il secondo periodo della loro carriera.

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Il grande successo arriva con il successivo “The Head on the Door” e con una formazione rinnovata potente e compatta, che accompagnerà Smith nel periodo d’oro della band. L’album, sicuramente più accessibile del precedente, presenta i primi segnali di quello che sarà il suono della band nei lavori successivi con una presenza più marcata delle chitarre.

I singoli estratti come “In Between Days” e soprattutto “Close to me”, con il suo video surreale, catapultano i Cure nell’olimpo delle classifiche e danno una grossa spinta positiva a Smith e compagni.

Qui parte un trittico di album micidiale in cui la band sviluppa ulteriormente i nuovi suoni riavvicinandosi ad atmosfere più scure, non disdegnando episodi più leggeri: ne sono testimoni nel primo lavoro di questa trilogia, il doppio“Kiss Me Kiss Me Kiss Me”, brani come “The Kiss”, “If Only Tonight We Could Sleep”, “Why Can’t I Be You” e “Just Like Heaven”. Il risultato è veramente notevole.

Il disco che segue, “Disintegration”, è uno dei migliori della loro produzione, Smith stesso lo considera insieme a Pornography e a Bloodflowers come una della colonne portanti nella storia dei Cure,  e conferma lo stato di grazia compositivo in un lavoro ricco di brani memorabili. L’evoluzione sonora dove Pop, Dark e psicheldelia si mischiano insieme, raggiunge il picco maggiore e consegna definitivamente la band ed il suo leader carismatico all’Olimpo delle più grandi band mondiali.

 

Il successivo “Wish” segue e conclude degnamente questo trittico, ma un gradino al di sotto del precedente dal punto di vista compositivo, e rappresenterà la fine della line up di questo periodo d’oro.

Segue, quattro anni dopo, il mediocre “Wild Mood Swings” che rivela un certa stanchezza creativa. L’ultimo album di valore dei Cure è il già citato “Bloodflowers”, che nelle intenzioni di Smith doveva concludere degnamente la loro carriera, e che ci consegna dei brani ispirati, forse non all’altezza dei loro lavori migliori ma degni del nome della band.

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I due album successivi, che concludono attualmente la discografia del gruppo, sono appena sufficienti. Rimane la loro potenza live, che si può ammirare ancora oggi, e un leader carismatico e amatissimo che ci regala ancora una forte emozione ogni volta che lo vediamo salire su quel palco.

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..