Storia di un impiegato : “Per quanto voi vi crediate assolti..”

Tutto inizia con un colpo di campana, con un “bum!” e con un flauto alla Ennio Morricone, come in un film western; solo che questa volta alla regia non c’è Sergio Leone, ma Fabrizio De Andrè.

Inizia così lo spettacolo, con quel giro di pizzicato che verrà ripreso più volte nell’album. E così vi racconto una storia, la Storia di un impiegato (1972). *Se cliccate qui sotto, potete ascoltare l’intero album*

 

A cura di Roberto Testa

 

https://www.youtube.com/watch?v=X1FOWMvNQCM

Siamo nel ’68, iniziano le “rivoluzioni”, i giovani riprendono a sognare, il mondo vuole riaprirsi, mentre i “cuccioli del maggio”, ancora troppo piccoli per dar vita ad un cambiamento così radicale come lo si era concepito, portano con loro la “stessa rabbia”, lottando così come si gioca, rischiando la stessa vita.

Se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

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E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credevi assolti
siete lo stesso coinvolti.

(La canzone del maggio)

Tutti coinvolti”, non dimenticatelo. Perché, all’interno di un momento storico così complesso, siamo tutti coinvolti. Chi agisce e chi subisce, chi scende in piazza e chi sta a guardare, chi ha paura e chi lotta. Chi perde la vita e chi non perde nulla. Tutti. E i giovani vogliono farsi di nuovo valere, vogliono mostrare ai “grandi” del mondo che la voce degli esclusi e di chi non è integrato nel sistema è molto forte e non deve essere sottovalutata.

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Ma il protagonista della nostra storia è un impiegato, uomo ancora più “escluso” dal sistema, che pensa e riflette su quello che sta succedendo :

“Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev’essere rischiare
ma forse non voler più sopportare.

[…] Rischiare libertà strada per strada.

 

Il senso di oppressione all’interno dei giovani rivoluzionari è così forte che rischiano “la strada” e poi “la libertà strada per strada”, sopportando il continuo sanguinamento con lo scopo di riottenere libertà.

 

[…]

Ormai sono in ritardo per gli amici
per l’odio potrei farcela da solo
illuminando al tritolo
chi ha la faccia e mostra solo il viso
sempre gradevole, sempre più impreciso.

E l’esplosivo spacca, taglia, fruga
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
io mi sono invitato
a rilevar l’impronta
dietro ogni maschera che salta
e a non aver pietà per la mia prima volta.

(La bomba in testa)

 

L’uomo, escluso per l’età, per il ruolo sociale, per la paura e per il fatto che non comprende l’importanza, il significato e il contesto del momento storico in cui si ritrova, dopo aver detto tante volte “non vogliamoci del male”, è costretto a ricoprirsi di odio e a creare quell’ordigno capace di causare tante morti in un solo attimo.
Ma l’esitazione è presente in lui, perché è la prima volta che si accinge a creare una bomba, è la prima volta che si avvicina veramente a uno dei più grandi strumenti di sterminio; nonostante ciò, vuole scoprire le maschere che ognuno di noi indossa, nascondendosi lui stesso sotto una maschera, per la paura di essere poi giudicato :  vuole smascherare un’amara realtà, e, con questa, tutte le finzioni che lui vi ritrova per poi eliminarle. E’ una rabbia ancora più forte di quella che regna nei cuori dei giovani rivoluzionari, ed è alimentata dalla solitudine (è così solo e così poco considerato che si auto-invita al “ballo”). L’unico sfogo che ritiene possibile è il tritolo.

In una situazione un po’ scherzosa (resa vivace ed allegra da un violino abbastanza giocoso) ma, per il suo conto, intrisa di tristezza, l’impiegato smaschera tutti quei miti e tutti quei personaggi della storia (l’ammiraglio Nelson, noto per aver sconfitto Napoleone), della letteratura (Dante), della religione (Cristo e Maria) e dell’arte (Statua della libertà e la Pietà), che, secondo lui, sono completamente falsi, ma che sono – per l’opinione pubblica – istituzioni di ogni tipo (religioso, morale, politico, nazionale..), quasi inconfutabili e divine. Ovviamente lui sta sognando, perché da solo non potrebbe fare tutto ciò.!
Così facendo, sta provando a realizzare nella sua mente quel progetto “anarchico” : smascherare il potere e le istituzioni, eliminando e facendo saltare in aria tutto quello che c’è dentro. Con una bomba.

La bomba non ha una natura gentile
ma spinta da imparzialità
sconvolge l’improbabile intimità
di un’apparente statua della Pietà

(Al ballo mascherato)

Ad un certo punto, però, si accorge che tra le istituzioni ci sono anche i propri genitori : il padre, vecchio e stanco, ma consapevole del suo ruolo di guida, “pretende aspirina ed affetto e inciampa nella sua autorità, affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo”, viene fatto esplodere senza rimorso; la madre, invece, “si approva in frantumi di specchio, dovrebbe accettare la bomba con serenità, il martirio è il suo mestiere, la sua vanità, ma ora accetta di morire soltanto a metà, la sua parte ancora viva le fa tanta pietà, al ballo mascherato della celebrità”.

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L’impiegato si sveglia ma, deluso da una realtà lontana dalla sua tanto agognata dimensione onirica, torna a sognare..

E qui, dopo un giro prog degno dei Jethro Tull (arrangiamento di Nicola Piovani), viene la parte più terrificante dell’intero album : battiti a 2 a 2 di cassa, che ricordano le pulsazioni del cuore, e, sotto, una voce sentenziale e perentoria di Faber che “indossa” i panni del giudice, tirando le somme di tutto ciò che l’impiegato ha fatto fino a quel momento. Il giudice però, nonostante possa sembrare essere decisivo in una prima parte – di atmosfera fortemente orwelliana da 1984 (“noi ti abbiamo osservato dal primo battere del cuore fino ai ritmi più brevi dell’ultima emozione”) – in un secondo momento si concede all’impiegato, in quanto è l’impiegato stesso ad essere il Potere. Le parole del giudice sono chiare :  “uccidevi, favorendo il potere, i soci vitalizi del potere ammucchiati in discesa a difesa della loro celebrazione” (riferimento a quanto è accaduto nel sogno precedente) .. “E se tu la credevi vendetta, il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge, quello che non protegge : la parte del boia”. L’idea dell’impiegato è quella di vendicarsi contro chi detiene il potere e contro le istituzioni, ma, prendendo per mano la bomba – strumento che utilizza per rendersi giustizia da solo – ha non solo preso potere, ma anche avvertito quel bisogno di averne ancora di più, preso  dalla foga e dall’emozione per la vendetta). “Imputato” – prosegue – “il dito più lungo della tua mano è il medio” (il voler mandare a quel paese chi è al potere), “quello della mia è l’indice” (indice come dito che indica e giudica), “eppure anche tu hai giudicato. Hai assolto e hai condannato al di sopra di me, ma al di sopra di me, per quello che hai fatto, per come lo hai rinnovato, il potere ti è grato”.

Questo è il momento di crisi dell’intero album. E’ la consapevolezza dell’effettivo “fallimento” della rivoluzione : si voleva eliminare il vecchio sistema, ma si finisce soltanto per rinnovarlo, cambiando i protagonisti e i modi di fare (qui mi viene subito in mente Animal Farm). “Oggi, un giudice come me, lo chiede al potere se può giudicare. Tu sei il potere. Vuoi essere giudicato? Vuoi essere assolto o condannato?”. Qui l’impiegato ha completamente assunto il potere e si ritrova paradossalmente contro i suoi ideali di partenza, che erano di uguaglianza. Ora lui sta al di sopra della legge, al di sopra di tutto.
La sua presunta “onnipotenza” gli è stata conferita dalla bomba, che distrugge tutti e tutto. Ma era davvero questo ciò che lui desiderava?

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Con delle note di pianoforte che “rimbalzano” e tremano un po’, accompagnate da rapidi arpeggi di chitarra e da qualche sussulto di violino, si riapre il sogno : stavolta il nostro impiegato entra nel corpo di suo padre, stimolato dal giudice (La canzone del padre) : “C’è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre. Non dovrai che restare sul ponte e guardare le altre navi passare : le più piccole dirigile al fiume, le più grandi sanno già dove andare”. E inizia la narrazione : “Così son diventato mio padre, ucciso in un sogno precedente..”. Lui si ritrova con un lavoro e quindi può comandare i suoi dipendenti e mantenere la sua famiglia

Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure

ma poi si rende conto che la moglie si sta alienando anche da lui :

con mia moglie si discute l’amore
ci sono distanze, non ci sono paure,
ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n’è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.

E, di conseguenza, anche il figlio..

il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa di alzarsi, neppure quando è caduto

[…]Adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno svegliare.

 

E’ l’incubo. Il sogno è finito, il letto è invaso dalle fiamme e l’impiegato si rende conto che non può sfuggire alla realtà borghese e alla sua solitudine; non sapendo a chi dare la colpa per l’ulteriore dolore provato, se la prende con il giudice (“Vostro Onore sei un figlio di troia”), che gli aveva fatto la proposta di rivivere nel personaggio del padre minacciandolo “ora aspettami fuori dal sogno, ci vedremo davvero, io ricomincio da capo”.

Il voler riprendere tutto da capo è il solito tentativo di un uomo che si rende conto di aver fallito. Ma, questa volta, per il nostro impiegato non sarà semplice ricominciare..

Chi va dicendo in giro che odio il mio lavoro, non sa con quanto amore mi dedico al tritolo” : l’impiegato diventa bombarolo (Il bombarolo), realizza ciò che sognava da tempo; parla così dello Stato, paragonandolo ad un fragile artificio che può essere distrutto da una bomba : “il mio Pinocchio fragile, parente artigianale di ordigni costruiti su scala industriale”.
Per strada tante facce non hanno un bel colore, qui chi non terrorizza si ammala di terrore”. Riprende quella descrizione della realtà fatta di terrore e di paura : “chi non terrorizza” è consapevole di poter saltare in aria o di morire da un momento all’altro, quindi “si ammala di terrore”, perché la paura si impossessa della sua mente e del suo corpo. Il caso del bombarolo, però, è un altro (“io son d’un altro avviso, son bombarolo”).
Una forte critica è indirizzata agli “intellettuali d’oggi, idioti di domani”, le élites culturali che vogliono omologare il popolo comune ad una stessa cultura, ovviamente dettata dall’alto. L’invocazione è di riavere “il cervello che basta alle mie mani” : a lui non importa subire le lezioni di chi vuole inculcargli nella mente una determinata conoscenza, perché lui ha bisogno dell’ingegno per costruire la bomba. Se la prende in particolare con quelli che parlano tanto (“profeti molto acrobati della rivoluzione”) ma che non fanno niente per cambiare le cose..lui rivela che “oggi farò da me, senza lezione”, alludendo ad una rivoluzione dettata da lui : è un ritorno all’individualismo totale.
Il simbolo-obiettivo è ovviamente il Parlamento :

C’è chi lo vide ridere davanti al Parlamento,
aspettando l’esplosione che provasse il suo talento,
c’è chi lo vide piangere un torrente di vocali,
vedendo esplodere un chiosco di giornali

E’ un sorriso unito ad un pianto, è un attimo di gioia per quello che dovrebbe succedere e un altro attimo di pianto per il fallimento del suo piano, perché la bomba scoppia nel momento sbagliato e lui viene arrestato.
Qui si ritorna sul piano più personale ed intimo dell’uomo

Ma ciò che lo ferì profondamente nell’orgoglio, fu l’immagine di lei che si sporgeva da ogni foglio, lontano dal ridicolo in cui lo lasciò solo, ma in prima pagina col bombarolo.

Lei” vogliamo immaginarla come la sua donna, o comunque la persona che lui amava : ora si trova ad essere intervistata e presa di mira da tutti i giornalisti, perché probabilmente è l’unica persona vicina al bombarolo che può fornire informazioni e notizie su di lui ; i giornalisti, un po’ per gossip e un po’ per mestiere, la inseriscono in prima pagina, al fianco del fallito bombarolo.

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Fermato e catturato, il bombarolo viene portato in prigione, dalla quale osserva la propria donna parlare con altre persone. Qui arriva il momento più pieno di amore, quello che ti fa lacrimare gli occhi e riempire il cuore di compassione per il povero uomo. Bastano soltanto quei ripetuti accordi di pianoforte a farti venire la pelle d’oca.

Fabrizio – racconta il figlio Cristiano – alle 5 del mattino si alzò e portò la moglie Dori in una stanza si trovava il suo pianoforte. Lì si sedette ed iniziò a suonare la canzone e a cantarla, mentre lei piangeva per la commozione.

Il testo è il frutto di una condizione che spesso l’uomo vive, cioè lo stato di delusione e tristezza, ma nel contempo di amore e dedizione immensa per qualcuno o qualcosa che poi magari va via o non ricambia o che, come in questo caso, cambia di essere ciò che era stato fino a quel momento, o magari, si rivela essere altro..

 

 

[…]

Non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole,
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell’amore.
Dopo l’amore così sicure a rifugiarsi nei “sempre”,
nell’ipocrisia dei “mai”

Non sono riuscito a cambiarti,
non mi hai cambiato lo sai

[…]

Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre,
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre
I tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro,
i tuoi occhi assunti da tre anni,
i tuoi occhi per loro

[…]

Sono riusciti a cambiarci
ci son riusciti lo sai

Ma senza che gli altri non ne sappiano niente
dimmi, senza un programma, dimmi come, ci si sente?
Continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito?
Farai l’amore per amore
o per avercelo garantito?

[…]

Continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai?

 

 

E quindi lui resta la stessa persona : sempre solo, sempre “rivoluzionario”. Lei pure resta tale : resta borghese.
Due persone troppo diverse per poter continuare a stare insieme. E la storia finisce così, nel dubbio : la donna continuerà a farsi trasportare dal caso, dagli eventi o dalla moda? Prenderà in mano la situazione e prenderà la sua strada, facendo le sue scelte e le sue decisioni? Il bombarolo, che intanto è finito in prigione, non saprà più rispondere a questi suoi interrogativi e non avrà più alcun contatto con la donna.
Ed è qui che lui può riflettere bene e ripensare a tutta la sua vita; una cosa però alla quale rimane fedele è la propria libertà e la propria dignità : la prigione gli offre un’ora di libertà nel cortile, ma è comunque sorvegliato dal secondino, quindi lui preferisce rinunciare ad un’illusoria “aria di libertà”, che non vuole assolutamente condividere con chi lo tiene stretto in prigione.

 

Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare 
alla mia ora di libertà 
[…]

E così inizia a ripensare a tutto ciò che è successo : dal sogno del giudice a ciò che è successo con la donna che amava..si rende conto di non essere stato in grado di amministrare il potere e la giustizia, ma il suo resta comunque un duro attacco nei confronti di chi giudica :

[…]

non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto… 
ma al vostro posto non ci so stare 
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci sono stare.

[…]

tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera 
e poi lo sanno ma preferiscono 
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.

Anche qui ripensa alla sua solitudine e all’impossibilità da parte sua di cambiare le cose : fuori è primavera, fuori è la rivoluzione, e lui invece è in galera, costretto a restare lì ancora per tanto tempo, in una condizione di completa solitudine.

Ed è proprio ora che arriva il momento di maggior presa di coscienza da parte dell’uomo, che ha percorso quella strada che lo ha portato da un’obbedienza iniziale al sistema imposto dalla società e alla morale imposta dai genitori, al diventare uomo, a diventare se stesso e a separarsi da coloro che obbediscono sempre.
E’ duro però “capire che non ci sono poteri buoni”, che tutti i poteri sono corrotti o comunque in qualche modo lo saranno, anche quello etico-morale dei genitori.

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Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni 
da non riuscire più a capire 
che non ci sono poteri buoni 
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.

E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.

Lui apprende dagli altri tante cose dagli altri che ora si trovano nella sua stessa condizione, ma l’unico problema resta il fatto di non capire quale sia il crimine giusto per non passare da criminali, cioè il crimine che viene legalizzato e accettato come una cosa giusta da tutti pur restando una cosa che “non si dovrebbe fare”.

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Qui si parla di etica e del suo collegamento con la giustizia. E’ ingiusto rubare quando si sta morendo di fame? La proposta è appunto quella di abbandonare la vecchia morale e riprenderne una alternativa che metta prima i princìpi umani e quindi che metta l’uomo al primo posto tra le priorità della legge.
E poi, chi definisce cosa è giusto e cosa è sbagliato?

 

A un certo punto lui si rende conto di una cosa molto importante : non è solo. Ci sono anche molti altri che, come lui, hanno la stessa intenzione di uscire dalla prigione, e quindi, grazie alla coesione, alla collettività e all’unità degli intenti, fanno una rivoluzione e imprigionano i secondini, capovolgendo tutto il sistema..

“Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell’essere uguali, l’impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la realtà della parola <<collettivo>> e della parola <<potere>>” (Fabrizio De Andrè)

 

Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
e abbiamo deciso di imprigionarli
durante l’ora di libertà

E si riprende l’incipit iniziale, ora ancora più forte e graffiante :

 

venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

(Nella mia ora di libertà)

 

 

Voi non avete fermato il vento
Gli avete fatto perdere tempo.

Fabrizio De Andrè, 21/6/1973

 

One thought on “Storia di un impiegato : “Per quanto voi vi crediate assolti..”

  • 17 Ottobre 2017 alle 12:01
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    complimenti, f. de andrè è un altro grande a tutto tondo, il più profondo della nostra musica leggera; lucio nbattisti, e perchè no lucio dalla sono diversamente grandi come autori e strumentisti;
    non so quanto tempo avrò. torno a ripetere che sarebbe bello che i big: per ex, ligabue, biondi, fiorello, de gregori, baglioni, barbarossa, pappalardo, i pfm, i formula tre, lavezzi, r. cocciante, bennato, forse r. zero, a. venditti, altri che dimentico, molte interpreti donne, che non devo citare perché saranno conosciute a tutti voi, ma in qulache modo tutti quelli che forse hanno stimato l. battisti VOLESSERO fare qualcosa per ricordarlo; il silenzio, come la dimenticanza, uccidono, prima di tutto noi stessi; solo per questo instisto; io non sono nessuno; posso solo dare una disponibilità musicale e di passione. Spero questo mio messaggio, apparentemente malinconico, non sia frainteso.
    Grazie dell’ attenzione e della ospitalità.
    paolo

     

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