Sporchi come calzini

Data: indefinita.

Sfoggio stupido di cultura non presente, ovvero: un Barnum che è inutile matassa di erudizione amorosa.

Mi chiamo Arianna.
Che diciamocelo, è un nome un po’ da sfigate.
Mia mamma mi immaginava un po’ come Clarissa, ma la cosa le ricordava un po’ “Il silenzio degli innocenti”.
Beata lei che non pensa all’eroina greca che presa dal furor amoris aiutò l’amato ad uccidere suo fratello, ad ingannare suo padre, e ad uscire da un labirinto che altrimenti non avrebbe lasciato via di scampo.
E che poi fu giustamente piantata nell’isola di Nasso proprio da lui, Teseo.
Beata lei poi che non crede nell nomen omen.
Se poi consideriamo l’elegia Cattuliana secondo cui Arianna avrebbe poi trovato conforto in Bacco, dio del vino, ne esce comunque il quadro di una single depressa, abbandonata da un uomo scultoreo greco ed alcolizzata.
Non è propriamente quello che si potrebbe definire un quadretto idiliaco, ecco.

Ma non è questo il punto.
Mi chiamo Arianna, ho 19 anni (età che non mi sarei mai vista indosso, ma che credo mi si addica, insomma, nè carne nè pesce) e un sacco di domande, cosa forse consueta data appunto la giovinezza.
E la domanda principale: “cos’è l’amore.”
E il difficile è che non credo ci sia una risposta che sia una, ma piuttosto mille, o 7 miliardi, se prendiamo in considerazione che “ogni testa è un mondo”.
Il difficile è proprio la mancanza di facilità. Non è una domanda da porgere ad un adulto, o meglio, non è un fatto necessario e dato per certo che un adulto possa conoscere la risposta di un quesito del genere.
E non parlo di ineffabilità, ma di mancanza di risposte, tutto qui.
Non è la forma che manca, ma il contenuto, il nocciolo e non la polpa.
Magari voi delle risposte le avete, ed in questo caso le accetto volentieri, perchè ho 19 anni, e si sa, a 19 anni c’è la bellezza del cercare risposte a domande che ormai nessuno ricerca più.

Io una certa idea d’amore me la sono fatta, o per meglio dire, ho pensato a dei pensieri a riguardo che sono andati a costituire una sorta di base, se così si può dire.
Ma manca la colonna.
E’ questo il problema, non riesco a far convergere i miei pensieri a riguardo in costellazioni.

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Quello che penso, è che vi è un problema di fondo: non riusciamo a distaccarci dalla concezione dell’etica Hegeliana, per cui ci riteniamo portatori di una sorta di “abito morale” (etica deriva appunto dal greco “ethos”, costume) e cuciamo le nostre volontà, i nostri desideri, le nostre inclinazioni al contesto sociale in cui siamo stati posti, per cui viene ad emergere una terrificante ed inconsapevole identificazione tra l’io e il reale, andando inconsciamente verso ciò che è bene, e non verso ciò che è la nostra felicità.
Perchè diciamocelo, raramente a 19 anni (e anche post) quello che è per te felicità è anche bene.
Ci capita di ritrovarci addosso dei desideri sporchi, inadeguati, e allora li scacciamo, notte dopo notte dopo notte, con il solo desiderio di rimanere puliti.
Il problema è che noi non siamo calzini, ma persone, ed il nostro fine non può e non deve essere quello di rimanere puliti.
Ma anzi sporcarci, e farsi male, e farlo un po’ sto mestiere gramo del vivere.
I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire per star dietro ad un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi si paga. E’ solo questo davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. Solo questo è importante.

Vedo l’egemonia di una cultura dell’aidòs greco (ovvero “pudore”), dove individuo e società sono una cosa sola, dove Didone (modello: Medea, quindi mondo greco, seppur le scelte delle due eroine confluiscano in due mari diversi) si suicida per esser venuta meno alla pudicitia, dove Aiace si toglie la vita per un errore che gli toglierà la doxa, (la “gloria” greca), e quindi un amore ordinario, che rientri nei valori e nelle giuste incanalazioni predestinate, senza far rumore, senza essere esuberante.
E così la passione, l‘imeros, viene schiacciato da un soffocante gioco.

Ma io ho deciso che questa cosa non fa per me.
Ci ho provato, davvero.
Ho preso scelte giuste finchè ho potuto, ho provato ad accontentarmi, a creare e a non infuocare, ad adeguarmi, a viverla come veniva, ma la verità è che a 19 anni non si può essere tiepidi.
A 19 anni o si è ghiaccio o si è fuoco.
Io mi sento un po’ un cubetto pieno di rosso nascosto, così.

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A 19 anni non si può, come diceva Freud, barattare un po’ di felicità per un po’ di sicurezza.
Io non voglio essere sicura, non voglio fare ciò che è giusto e socialmente accettabile, voglio fare errori se questo potrebbe portare a un sollievo, voglio farmi male perchè devo farmi male, e voglio ripugnare dalla felicità, solo perchè gli altri non ne hanno avuto il coraggio, o forse solo l’idea.
Un punto da lontano per ogni errore, ed il corpo come volta celeste.
E pensare questo, il non accontentarmi, la ribellione Baudeleiriana, la rabbia, questo furor Virgiliano, porta davvero a un labirinto, perchè si cade nella cristallizzazione di Stendhal.
E io ci sono caduta così tante volte, che mi pare l’unica forma di amore possibile, sbagliata, forse superficiale e perversa, ma l’unica, davvero, l’unica.
E allora mi rifiuto, rifiuto che l’amore sia ordinario per ordinario,
e quindi
è la ribellione nell’ordinario
o quel poco di sicurezza “freudianamente” necessaria in un’anima ribelle e indomita?

Nescio, et excrucior.

 

Arianna Mariolini

 

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...