Intervista a Simona Colarizi, l’Italia Repubblicana

In occasione della 30esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino (18-22 maggio 2017) abbiamo incontrato Simona Colarizi, docente universitaria dal 1970 (oggi “La Sapienza”, Roma) e autorevole storica italiana, allieva di Renzo De Felice e Rosario Romeo, esperta di Storia dell’Italia Repubblicana e di Storia dei movimenti e dei partiti politici.
Al termine della sua presentazione, “Storia d’Italia in 100 foto. 1946-1979” (la seconda parte, che va dal 1980 al 2013, è stata esposta dallo storico Giovanni De Luna), nella quale ha illustrato la storia politica, culturale e sociale del Bel Paese attraverso gli scatti più belli e significativi di diversi fotografi, siamo riusciti a fermarla per qualche domanda!

 

 

A cura di Roberto Testa

 



 

Professoressa, parlando di formazione della Repubblica, quali furono le principali ingerenze americane in Italia alla fine della seconda guerra mondiale e quanto pesarono politicamente ed economicamente?
E’ evidente che il peso dell’ingerenza americana è stato molto forte e si è molto discusso, a livello di storiografia, se noi italiani dobbiamo la costruzione della democrazia agli americani o se ce la siamo fatta noi. Gli USA sono ovviamente interessati a che l’Italia divenga una democrazia, soprattutto nella fase della guerra, perché hanno anche un problema di opinione pubblica, dato che la guerra è stata lanciata contro le dittature, per la libertà, per un’Europa libera. Però va tenuto conto che poi scoppia la guerra fredda, quindi a questo punto bisogna chiedersi : cosa era più importante per gli americani? La democrazia o la fedeltà dell’Italia all’alleato americano? Truman considerava l’Italia la portaerei americana nel Mediterraneo; se però una vera democrazia si è consolidata, lo si deve alla classe dirigente italiana. Poi gli americani erano contenti di poter dire che l’Italia fosse una democrazia, ma le loro basi (militari ed economiche) le hanno messe anche in Spagna e in Grecia, dove erano davvero disinteressati al fatto che ci potesse essere la democrazia. Economicamente è stato importante, ma è stato importante per tutta l’Europa : infatti, senza i capitali americani, il continente non si sarebbe ripreso così velocemente e con esso nemmeno l’Italia.
Quanto, invece, dall’altra parte, investiva l’URSS in Italia e quali erano le speranze di Stalin?
L’URSS investiva molto sull’Italia, sul grande Partito Comunista Italiano, però si ricordi che la Svolta di Salerno (quando Togliatti nel ’44 torna in Italia e rilancia il PCI) è concordata tra Togliatti e Stalin : l’URSS sa benissimo che l’Italia appartiene alla sfera d’influenza americana; l’accordo è che là dove arrivano gli eserciti, là arriva il sistema politico della nazione che ha mandato il suo esercito. In fondo, importa a Stalin che il PCI si rafforzi più possibile, in modo da condizionare l’esistenza del sistema politico italiano : che ci sia una rivoluzione in Italia, insomma… sapeva cosa era successo in Grecia nel ’44-45; certo, può sempre succedere qualcosa, la guerra fredda può finire…

 

 

Rimanendo sul tema della rivoluzione, cosa è mancato ai movimenti del ’68 per raggiungere un vero cambiamento? Molti storici parlano del ’68, soprattutto riferendosi all’Italia, come di una “rivoluzione fallita”..
Non credo sia così.. Lo schema di una rivoluzione proletaria, lo schema BR (Brigate Rosse, ndr.), era impossibile; le BR si illudono di avere dalla loro parte la classe lavoratrice, ma la maggior parte di essa è costituita giovani, che vogliono le riforme e non la rivoluzione. È una rivoluzione che non è nemmeno una rivoluzione, perché la rivoluzione c’è già stata. Quella che non vogliono i giovani è la cautela, la lentezza… Gli anni ’60 e gli anni ’70 sono di una crescita straordinaria! Le altre poi sono utopie, perché la realtà è una realtà che deve andare gradualmente. Certo, il regime della Democrazia Cristiana, anche quando i socialisti entrano, è di cautela, passismo…infatti arriviamo al ’75 che c’è ancora il Codice Rocco. Però qualche passo si fa avanti, perché la condizione degli italiani nel ’45 non è uguale a quella di oggi. In 10 anni si può pretendere di rivoluzionare un paese pieno di toppe, con i contadini, e sperare che diventi la Norvegia? I tempi storici sono i tempi storici, anzi, abbiamo fatto un’accelerazione straordinaria.

Certo, magari le pretese erano un po’ più alte e non si è raggiunto quello che si sperava…
Sì, certamente, e avevano ragione ad avere delle pretese, perché solo se tu chiedi tanto poi puoi ottenere… del resto, anche noi oggi speriamo che succedano cose che magari non accadranno mai..!