Robert Plant, la fiamma che non si spegne mai

Sono passati 36 anni dallo scioglimento del gruppo, e 36 anni sono tanti.
In 36 anni, ad esempio, tu nasci, cresci, maturi, ti sposi e fai anche dei figli. In 36 anni conosci una marea di posti, impari diverse lingue, incontri milioni e milioni di persone.. Insomma, 36 anni sono un arco abbastanza grande di vita.
Ma c’è chi dopo 36 anni ancora non è invecchiato. Forse qualche ruga sul volto, ma nulla di più, e non sono le rughe che contano.

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Robert Plant è il solito giovincello che negli anni ’70 faceva la strage di donne. E’ il solito ragazzo che con la sua voce graffiante e calda allo stesso tempo, ti riesce ad entrare dentro e a toccare le parti più profonde del cuore. Robert è ancora lui, e non molla. Nemmeno a 67 anni, nemmeno dopo una carriera travagliata e dura, nemmeno dopo i problemi fisici e tanti altri disagi. Nemmeno dopo la morte del grande amico e compagno di gruppo John Bonham.

 

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Robert non è solo una rockstar. E’ un vero artista. Un poeta, un uomo di sensibilità e gusto, di raffinatezza ma allo stesso tempo di oscenità, di trasgressione e di provocazione. Non si è ancora tolto il vizio di far passare l’asta del microfono nella zona del suo bacino, non si è ancora tolto il vizio di fare swish con i suoi capelli e di toccarli sempre, quei capelli che resistono ancora a tutto, lunghi e perfettamente ricci come pochi. Certo, l’età non gli permette più di fare determinate cose con la voce, ma a Rob piace azzardare, e allora si butta, con un po’ di coscienza, e ci prova. Stecca? Che importa, ci ha messo l’anima per buttare giù quella parola o quella nota o quel vocalizzo. E lo si apprezza per questo, per la grande passione che prova per la musica e per quello che fa da sempre.

I suoi Babe restano impressi nella mente degli ascoltatori per tantissimo tempo. Trovatemi qualcuno che sappia dire meglio di lui babe. E lo mette ovunque, anche nei momenti più improbabili, proprio quando meno te l’aspetti.

Rob, oggi, però, non si accontenta di ricopiare i pezzi che suonava con i Led, no, non si accontenta proprio. Avrebbe potuto fare, come altri fanno (quali David Gilmour o Paul McCartney, dei grandissimi musicisti che forse hanno segnato la storia della musica più dello stesso Plant), e quindi portare sul palco con un semplice “copia e incolla” le più belle hit così che la gente canti con lui, perché alla fine si sa, Robert Plant è famoso perché è stato il cantante dei Led Zeppelin, Gilmour perché è stato il chitarrista dei Pink Floyd, etc…

 

GLASTONBURY, ENGLAND - JUNE 28: Robert Plant performs on the Pyramid Stage during day 2 of the Glastonbury Festival at Worthy Farm on June 28, 2014 in Glastonbury, England. (Photo by Ian Gavan/Getty Images)
GLASTONBURY, ENGLAND – JUNE 28: Robert Plant performs on the Pyramid Stage during day 2 of the Glastonbury Festival at Worthy Farm on June 28, 2014 in Glastonbury, England. (Photo by Ian Gavan/Getty Images)

 

E invece no. Rob, nella sua pur breve scaletta, non inserisce mai un pezzo dei Led Zeppelin tale e quale. Perché li stravolge, li cambia, aggiunge altre parti, trasforma i riff..insomma, li rende ancor più suoi!
Così mantiene il rispetto nei confronti degli altri tre mostri sacri non toccando le loro parti e crea un qualcosa di innovativo e di interessante sia per i musicisti che per il pubblico. La chiave è quella del blues americano, ma anche i richiami asiatici non tardano a farsi sentire. Un’atmosfera variegata, strana e bella allo stesso tempo. Roba per pochi, insomma.

E l’atmosfera che si viveva il 24 luglio al Teatro Greco-Romano di Taormina era particolare. Persone di tutte le età, di tutte le generazioni (il primo album dei Led risale al 1969, quindi i fan che allora erano i più giovani oggi sono pressoché ultrasessantenni), anche provenienti da paesi diversi, come ad esempio la Germania o la Svizzera, l’UK o la Francia (per non parlare dei fan più sfegatati che venivano da tutto il sud Italia e addirittura dalla Sardegna), erano radunati in quel magnifico tempio, tutti uniti dalla passione per il gruppo che ha scritto buona parte della storia del rock.

 

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La location è da brividi ogni volta. Non era la prima volta che andavo a sentire un concerto lì, ma le emozioni ogni volta sono sempre nuove e sempre meravigliose. Vedere l’Etna, il grandissimo vulcano nello sfondo e il mare al suo fianco, soprattutto quando inizia a fare buio, che la costa è tutta illuminata, è davvero suggestivo. Molti artisti si sono legati a questo posto e spesso ci fanno ritorno. Ricordo un concerto di Giovanni Allevi ma anche un altro di Cesare Cremonini, in cui loro, parlando del più e del meno, sottolineavano la bellezza di quel posto, un patrimonio mondiale da tutelare. E al contempo, per i musicisti, la “responsabilità” di quel palco, dove si sono esibiti grandissimi artisti di fama internazionale come Deep Purple, Carlos Santana, Patti Smith o Mark Knopfler per citare i casi più recenti. Un palcoscenico di tutto rispetto che non ha nulla da invidiare agli altri grandi teatri all’aperto come ad esempio l’Arena di Verona.

 

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E poi, che dire, un concerto stratosferico, non molto lungo (poco più di un’ora e mezza) ma essenziale. Del resto stiamo parlando di Robert Plant, non di un pinco pallino qualsiasi. Oltre 50 anni di carriera musicale alle spalle significano tanto : significano sacrificio, impegno, dedizione ma anche fortuna e talento. E sono sicuro che Rob ci ha messo tutto di questo e continuerà a farlo, così come ha fatto ieri sera.

Un po’ di tristezza sopraggiunge quando lui presenta i musicisti che lo accompagnano e dice : we are The Sensational Space Shifters. E’ una frase che pesa, è una frase che un amante dei Led Zeppelin non può digerire facilmente. E’ la constatazione che Robert Plant non è più Led Zeppelin, è la constatazione che ormai quella storia è finita e che difficilmente si sentirà nuovamente “Led Zeppelin in concerto” (l’ultima reunion è stata nel 2007 alla O2 Arena). Robert ha creato un nuovo gruppo, con il quale gira il mondo portando avanti i suoi pezzi e il suo progetto, pur consapevole che deve molto ai Led Zeppelin, e per questo li omaggia e li ricorda con alcuni brani. Ma quella storia è finita, ramble on, now It’s the time, time to sing my song, I’m goin’ round the world…[…] on my way.

 

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Ma è così che deve andare, è così che è andata, tutto ha un inizio, un crescere e una fine, e così anche la vita musicale di Robert Plant che, comunque vada a finire, sarà degna di essere ricordata come una stairway to heaven dalle tante e tante generazioni che verranno.

 

 

Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..