La pazza della porta accanto: ritratto di Alda Merini

A cura di Claudia Balmamori

Non sono il poeta dell’infelicità, ma del sospiro, sospiro d’amore

Alda Merini nacque a Milano, città dove trascorse la sua intera vita, il 21 marzo 1931 e vi morí il 9 novembre del 2009, lasciandoci un patrimonio culturale e artistico inestimabile composto tra il 1950 ed il 2009.

Della sua infanzia si conosce quel poco che lei stessa scrisse nelle sue brevi note autobiografiche, nelle quali era solita definirsi come:

Una ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai genitori

Dopo aver terminato le scuole elementari con voti alti, cerca di entrare nel Liceo Manzoni dove peró non viene ammessa poiché non supera la prova di italiano.

Esordisce come giovanissima autrice a soli quindici anni, grazie al supporto della sua insegnante delle medie entra in contatto con Giacinto Spagnoletti, il quale ne esalterá le sue doti iniziandola nel mondo della letteratura, pubblicandola per primo nel 1950 nell’ Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949 con le liriche Il gobbo e Luce.

Avevo quindici anni quando tornai a casa con la prima recensione a una mia poesia. Non stavo piú nella pelle per l’emozione. La portai subito a mio padre, la persona che mi era piú cara, gridando “Guarda papà, che cosa scrive Spagnoletti di me.” Lui, senza fiatare, me la strappò dalle mani e la fece in mille pezzi. Poi mi fissò negli occhi: “Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane” , mi disse serio. Era un uomo di buon senso.

A diciasette anni, dopo essere stata internata per un mese nella clinica Villa Turro, le viene diagnosticato un disturbo bipolare che segnerá l’inizio del suo calvario, di quell’inferno malinconico che la accompagnerà per tutta la vita.

Le torture che io ho patito, che poi sono state anche rimosse dall’elettroshock, non potrei raccontarvele, neanche morendo (…) nel profondo soltanto la mia anima sa cosa ho patito.

Nel 1962 venne internata per i successivi dieci anni, per poi sottoporsi ad un’ennesima degenza nel 1986, ed un’ultima nel 2004, questo lungo periodo ospedaliero venne descritto amaramente nella raccolta di poesie  ‘La terra santa’ (1984 – Scheiwiller). Qui il periodo d’internamento della scrittrice, viene creativamente metaforizzato nella vicenda storica-religiosa che il popolo ebraico ha percorso durante l’esodo in terra santa; il manicomio viene individuato dall’autrice come un inferno, un inferno sacro.

I giorni trascorsi in manicomio vengono descritti come tante stazioni di sofferenza che convergono in quel “dolore senza nome, immotivato, che non ha lacrime in quanto non é umano” che é la clinica stessa.

“In manicomio non si piange, ci si abbandona al delirio.”

“In manicomio ho subito umiliazioni che mai cancelleró, che la gloria non potrá mai restituire.”

 

 

Nel 1953 sposó Ettore Carniti con il quale ebbe la prima figlia, Emanuela. Nei periodi di salute, Merini, trascorreva il tempo in famiglia, ebbe altre tre figlie. Dopo la morte del marito negli anni Ottanta si trasferí a Taranto, dove, dopo un corteggiamento telefonico durato tre anni, sposó Michele Pierri, in questo periodo scrisse ‘La pazza della porta accanto’ e ‘L’altra verità. Diario di una diversa’ , dove racconta l’esperienza del ricovero tarantino.

Del doloroso legame avuto con le quattro figlie abbiamo ricevuto testimonianza dalle sue poesie e interviste rilasciate nei suoi ultimi anni di vita. “Purtroppo non mi è stato permesso di essere una vera madre (…) il destino non me lo ha concesso.” I frequenti ricoveri non le permisero di prendersi cura delle figlie che vennero affidate a famiglie agiate ma estranee:  “Non mi hanno consentito di amarle, questa è la verità, l’orrenda verità.”

“Hanno preferito allontanarsi da me e hanno fatto bene. A me non resta che cercarne le tracce tra le mura di questa casa.”

 

Alla fine degli anni Novanta, Alda Merini produsse centinaia di aforismi che miravano alla brevità per trasmettere un pensiero o una sensazione fuggente; i migliori furono raccolti nel libro ‘Aforismi e magie

Il successo dell’autrice raggiunto durante gli anni Ottanta, sfoció con la vittoria del premio Librex Montale del 1992 per la Poesia.

Non le conserva le sue poesie?

No, le regalo, le do via, me ne libero proprio. Per me conservo i sentimenti che le hanno animate.

L’ultima parte della sua esistenza fu caratterizzata da una fase di misticismo, scaturito anch’esso dagli ultimi ricoveri psichiatrici, qui, la poetica meriniana, trova posto in quel bilico tra la follia e la lucidità, al limite dell’estasi che trova pace e conforto solo con l’approdo alla fede, con la rivelazione cristiana piú profonda.

Nel 2007 con ‘Alda e Io – Favole’ , scritto a quattro mani con il favolista Sabatino Scia, vince il premio “Elsa Morante Ragazzi”. Il 17 ottobre dello stesso anno la poetessa ottiene la laurea honoris causa presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Messina, tenendo una lectio magistralis sui meandri tortuosi del suo vissuto.

Il 1° novembre 2009, Alda Merini muore all’età di settantotto anni a causa di un tumore osseo.

Dal 2010, all’ingresso della sua casa sui Navigli una targa la ricorda: ” Ad Alda Merini, nell’intimità dei misteri del mondo”.

 

Alda Merini è stata una donna di grande sofferenza, un’anima di un’intensitá disarmante, quello stesso dolore l’ha resa la poetessa meravigliosa che fu e che oggi ricordiamo come ‘la pazza della porta accanto.’

Sono una donna molto facile, molto alla mano, hanno fatto una costruzione enorme su di me, ma in fondo sono una persona di tutti, sono proprio la pazza della porta accanto.

 

 

 

 

Fonti:

‘La pazza della porta accanto’ – Alda Merini (Bompiani, 1995)

‘La pazza della porta accanto – conversazione di Alda Merini’ – Antonietta De Lillo, 2013