Ritratto di un beduino crepuscolare

A cura di Arianna Mariolini

Vorrei rivederti così come forse non ti rivedrò mai, e tu lo sai, sì, tu lo sai. Vorrei giusto una foto tua di quelle che scatti nelle macchinette-come si chiamano, andavano così di moda, tutte quelle foto burocratiche in serie, una smorfia, due, tre, sorriso e te la porti nel portafoglio, destinata ad essere il fazzoletto annodato che annoda la gola. Vorrei ancora la certezza di un pomeriggio senza doverti pregare, vorrei capire il tuo segreto al di là degli occhi, vorrei capire che hai da dirmi, che hai da fare con me, se mi pensi, se a volte ti manco, se mi pensi mancandoti, chi sono ora io. Vorrei una cassetta registrata dove canti e ricanti e poi la riavvolgo e ricanti ancora, senza la maniacale solitudine da ragazza, ma con quella dolcezza da circo in note. Vorrei non dire sempre frasi banali con te, e molto da 14enne, chè ormai son grande sai, anche se di anni non me danno mai giusti, eppure mi vien da scrivere che non sarebbe forse male dormire così, in un letto sfatto d’albergo o sotto due stelle al neon o d’accendino qualunque, a cercare la tua pelle un po’ beduina, selvaggia, incontrollata e forse per questo mai mia. E sorrideresti ancora come fai, come sorridi come pochi, con quei denti che sporgono un poco in avanti, e quelle guance che si fanno scavate e la verità leggera negli occhi profondi? Leggera, che, poi, leggera, con te tutta la pesantezza del mondo si fa un niente, e anche quando fai male lo fai con dignità, con trasparenza, come se fosse giusto, come se fosse scritto nell’avversità delle stelle che dipingi rapido nel cielo di Bagdad, come se dovesse essere così questo libro che nella mia testa già c’è, nella tua,

nella tua..

http://366filmesdeaz.blogspot.it/2012/07/140-o-tigre-e-neve-la-tigre-e-la-neve.html

Vorrei ancora una parete di carta e vederti Don Chiosciotte della Mancia e fregartene degli altri, dei saluti e degli starnuti e del Canada ancora, per scegliere un inchiostro in cui avvolgermi, un inchiostro gramo e pungente clemente, per poi farci un imbuto per riempirmici le vene.
E ti giuro, lettore malinconico, che non perderei neppure più una goccia, nemmeno per gioco, nemmeno per rabbia o triste ribellione.
Sarà che ti sento nel mio sangue come vino, come un po’ dappertutto, con quel gusto un po’ amaro ma dolce, e quindi darling, potrei bere una cassa di te, e rimanere in piedi.
Oh, sì, continuare a reggermi in piedi.

Sono una scrittrice solitaria e vivo in una scatola senza buchi, ho paura del diavolo ed amo te che sei impavido nel tuo esser frale. Ho incontrato una donna una volta, con la tua stessa cattiveria, ma le labbra grossolane e gli occhi che non ci azzeccavano nulla, perchè erano occhi felici e un poco raccapriccianti. Conosceva bene le tue mosse, si diceva tua in modo selvaggio e carnale, e lei sapeva se ti piaceva il blu il rosso o l’indaco, se mentivi e se ti arrabbiavi e le parolacce che dici e se ti piace la politica, ti piace?
Mi ha guardata e ho capito che è da te che dovevo tornare, ma che dovevo esser pronta a sanguinare.

Ma potrei bere una cassa di te, e continuare a reggermi in piedi.
Tesoro, reggermi in piedi.

Avevi lo sguardo da cartina geografica e il polo nord era sempre nella tasca destra in alto, avevi poche certezze e nemmeno quelle solide e salde, sei la mia stella sempre al buio del crepuscolo e sono la briciola del pane, mi berresti per poi non smettere di sanguinare?

 

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Mi sapevi di cose sporche, e a me le cose sporche non smettono mai di piacere, soprattutto quando dovrebbero.
Mi ricordavi le notti a correre nelle vie di marzo nelle scarpe che pesavano, con una cicatrice che bruciava sul braccio destro, bugia, ma con quella voglia della sua pelle bianca e dei suoi nei- Dio quanti, su quella schiena.
Era un labirinto incomprensibile, ma io l’avevo capito.
Ma di te dicevano invece che eri perfetto, che per me non c’era persona più adatta, con quelle tue voglie e i tuoi desideri da artista strano, che tanto si allineavano ai miei.
E più erano molti a dirmelo, più pensavo di cambiare pista, di cambiarmi il cuore. Per una qualche controcorrente ostinata e libera.
Ma resistetti per la tua pelle di deserto.

E quando mi portasti a guardare le stelle su una calotta di paruqet, intimandomi di badare a non cadere ed anche un poco a te, mi ricordasti le chiese montanare, e quella pioggia salata, la felpa rossa che fingevo di mio padre e una frase, una, una giusta che è nella tasca in alto, a destra, la mia però… Ep

Eppure.. Eppure non mi viene, l’ho scordata, sarà l’inconscio di Freud, sara il super-io che ha un po’ consurato tutto, sarai tu che sei diventato altro, altrove, un po’ marmorizzato a mo’ di condanna. Sarà che cerco di dimenticare, e mi ritrovo a collezionare insuccessi e cicatrici indimenticabili, senza che mi abbandonino mai.
C’entrava con la bellezza, comunque. Come fai a piangere, che sei così bella? Come puoi piangere, bella come sei? Una cosa del genere. Ed è scappata via così. Però le tue mani non scappano, me le ricordo ancora. Erano bianche bianche, mentre tu, lettore del deserto, hai le mani da beduino un poco scure, con le unghie un poco lunghe per suonare, e giocano a far danzare quella sigaretta, la prima di una lunga serie.

E forse io e te davvero non potremmo andare bene mai. Tu che ti fingi pieno di malinconia e invece sei vivo da far paura. Io che sembro un po’ forte, un po’ a pezzi, e che a viver bene e senza malinconia reale e primitiva non riesco.
Io che sono la scrittrice e ti rendo un poco immortale, che cerca sensazioni e alla fine finisce per innamorarsi e ferirsi, e tu che sai un poco di stelle, ma quelle belle al neon. Entrambi con la notte negli occhi, ma il tuo è un poco più crepuscolo, ed è cosa che ti salva. E’ questione di luce. Nessuno sfiderebbe la notte, mentre i tramonti hanno quella luce particolare, sarà l’arancio o il rosa, ma è un’esplosione della natura.

Tutti amano il crepuscolo, pochi si addentrerebbero nelle tenebre sotto i cipressi, per cogliere le rose.
Tu sei tramonto, e io mi innamoro di te.
E si sa, la notte col tramonto non c’azzecca.

Eppure, quel filo

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Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...