Pensando al suo Requiem

Continuava ad enfiare le gote, e muoveva la bocca come per imitare la percussione dei timpani, pensando al suo Requiem.
Era mezzanotte quando si rizzò a sedere, di scatto, gli occhi sbarrati nel vuoto.
Cadde riverso, il capo reclino, e s’assopì.
L’ultimo respiro lo esalò alle 00.45 del 5 dicembre 1791.
Solo la cognata Sophia Weber era presente, quando l’anima lasciò il corpo del compositore di Salisburgo.
Scordatevi un funerale suntuoso, una lapide degna di un tal genio, una camera mortuaria pullula di gente, onori e doni degni del Dio della musica.
Provate invece ad immaginarvi una fossa comune, il più misero dei funerali, un alone di mistero sulla morte, ultime ore cariche di agonia e sofferenza, una cassa di legno e una tomba profanata.
Solo quando avrete pensato a tutto ciò nei minimi dettagli, tutto ciò carico di crudo realismo, solo allora, associatelo a

 Wolfgang Amadeus Mozart

 

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Il male di Mozart ebbe inizio ad ottobre, pochi giorni dopo la rappresentazione del Flauto Magico, a cui il compositore aveva assistito in compagnia degli estasiati Antonio Salieri e Cavalieri (“dissero che era un’opera degna di essere eseguita dinanzi ai più grandi monarchi, mia cara!”). Tornò a Vienna in seguito all’opera la moglie Costance, a cui non sfuggì il pallore e un certo dolore fisico che attanagliava il marito. Pensando che la causa di ciò fosse lo stress da lavoro, Costance si sforzò di convincere Wolfgang a fare lunghe passeggiate o escursioni in carrozza, a chiacchiere tra amici, a circondarsi d’amore e affetto. Tutto ben voluto e apprezzato dal Maestro, che rimaneva tuttavia costantemente assorto, sempre proiettato con la mente nella musica, nel pensiero dei progetti, del lavoro, delle note che ancora giacevano lì, fuori dal pentagramma, prive ancora di vita. un’ombra che non lo lascerà mai, fino all’ultimo istante.
Vi era però un secondo tormento che Mozart confidò alla moglie, durante una passeggiata pomeridiana al Prater, il volto tetro, le lacrime agli occhi.

“Lo sento, lo sento, non ne ho più per molto, certamente mi hanno avvelenato, non riesco ad allontanarmi da tale pensiero!”

Nonostante inizialmente Costance cercasse di distoglierlo da questa terribile convinzione, in seguito alla morte del marito diede ampio adito a tale credenza, portando a leggende e voci: si arrivò a credere che Mozart si disse avvelenato anche sul punto di morte, che il responsabile fosse l’invidioso Salieri (il cui dolore per tale accusa lo accompagnò fino alla tomba), che fosse stato un compagno massone. Ancora oggi, comunque, la morte di Mozart rimane un mistero, e l’avvelentamento è una delle ipotesi maggiormente attestate.
In seguito ad un improvviso peggioramento, venne allertato il dottor Nikolaus Closset, che altro non consigliò se non riposo e svago, e niente composizioni.
Pare che “il sequestro” del Requiem da parte della moglie fu di buon auspicio: Mozart si riprese tanto da comporre la “Piccola cantata massonica” e da dirigerla egli stesso nella Loggia il 18 novembre. La moglie acconsentì a restituirgli quel lavoro tanto sudato e ricamato.
Il Requiem, per l’appunto.
Ma spesso basta un attimo, e tutto crolla.
19 ottobre 1791: Mozart si reca al “Serpente d’argento”, dove scambia quattro chiacchiere con l’amico Joseph Deiner. Una cena orribile.
“Sento che presto la mia musica sarà bell’è finita. Mi assale un freddo che non so spiegare, Deiner, finite di bere il mio vino e domani venite da me. L’inverno si avvicina e abbiamo bisogno di legna”, dichiara.
20 ottobre 1791: Deiner si reca da Wolfgang. Mai potrebbe pensare di trovarselo a letto, del tutto incapace di reggersi in piedi.
La sua voce altro non è che un lieve sussurro:
“Joseph, niente per oggi : ora abbiamo a che fare con farmacisti e dottori.”
Arrivò il gonfiore agli arti, arrivarono conati di vomito improvvisi e frequenti.

Ma Wolfgang resisteva: con tenacia sudava sul Requiem, un pezzo, lo cantava, lo accompagnava al pianoforte, un altro pezzo e via così.
Con pazienza, tranquillità, tenacia riusciva a sopportare il dolore, apparendo lo stesso Mozart affabile, gentile e cordiale di sempre.
Ma una nota di nera malinconia accompagnava quelle ore: una vita che ora, nei suoi 36 anni lo stava ripagando dei suoi sforzi; un successo mai visto prima per il Flauto Magico, che gli avrebbe garantito una vita più agiata, un’offerta dall’Olanda, mentre questa malattia invece lo portava via via al baratro.
Nonostante le amorevoli cura della cognata Sophie, la più piccola delle Weber, la salute di Mozart peggiorò ulteriormente.

 

 

28 novembre 1791: il medico curante, allarmato, chiede il consulto del dottor Sallaba.
“Febbre miliare acuta. Il suo organismo non è più in grado di reggerla”, il responso.
Sempre più debole di corpo, più forte di spirito e fantasia.
Il canto dell’usignolo in camera sua lo straziava, ma oppose a lungo resistenza prima che venisse portato via. Le mani non gli obbedivano più, ma la sua mente ancora lavorava al Requiem, e non mancava di dettarlo. Ogni sera volava con la mente alla rappresentazine del suo Flauto Magico.
Orologio alla mano, dal suo letto sussurrava :

“Ora finisce il primo atto! Ecco, adesso siamo al Dir. grosse Konigin der Nacht!”
“Eppure, una volta ancora vorrei sentirlo il mio Flauto Magico!”, sussurrò il 4 dicembre.

14.00 del 4 dicembre: Mozart si fa riporre sul letto le partiture del Requiem. Il tenore Schack prende la parte del soprano, Hofer quella del tenore, Gerl del basso, Mozart tenta con una voce tenorile di accennare la parte del contralto.
Fin dalle prime battute lo sopraffece la certezza che non avrebbe mai portato a termine l’ambita opera. Scoppiò in lacrime, a nulla valsero le consolazioni: il dolore lo vinse tutto il dì.
Notte del 4 dicembre: si manifestarono tutti i sintomi pre-morte, ma Mozart era ancora lì, nonostante il corpo minuto ed esile.
Ancora lì, a sorridere cordiale alla cognata Sophie, la sera del 5 dicembre :

“Menomale che siete qui, cara Sophie. Dovete rimanere stanotte! Dovete vedermi morire! Ho già il sapore della morte sulla lingua! Se non rimanete voi, chi assisterà la mia carissima Costanza?”

Sophie si allontanò solo per avveritre la madre e, su richiesta di Costanza, per chiamare un prete.
Non si sa ancora tuttavia se il Maestro ricevette i sacramenti.
Al ritorno, trovò Mozart e Sussmayr immersi nelle partiture del Requiem.
“Non l’avevo detto che lo scrivevo per me?”, le lacrime agli occhi.
Il dottore fu trovato solo dopo un lungo lasso di tempo, mentre assisteva al “Flauto magico”.
Promise che sarebbe andato dal moribondo solamente dopo la fine dell’opera, soggiungendo che “comunque, non c’è più niente che si possa fare.”
Altro non prescrisse se non impacchi di ghiaccio sulla fronte (cosa tra l’altro strana per febbre miliare e per i problemi renali di cui il compositore soffriva).
Il rimedio, comunque, scosse così tanto Mozart che perse quasi subito conoscenza.
Morì, sempre pensando al suo Requiem.
Alle note.
Alla musica, la sua.
Solo Sophie era presente, piegata dal dolore.

 

 

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Alle prime luci dell’alba si presentò il Conte Deym, proprietario della galleria Muller, per ricavare la maschera di cera del Maestro, per l’esposizione. La maschera del volto segnato e sofferente di Mozart è andata però perduta.
La salma, vesista con una tonica nera della confraternita, rimase esposta dal 5 al 6 dicembre, vicino al pianoforte. Oltre ai numerosi curiosi e viennesi, fecero la loro comparsa il fedele Deiner, Albrechtsberger, Sussmayr e Van Swieten, il quale consigliò a Costanza un funerale povero al fine di evitare spese del tutto inutili.
La moglie ebbe una crisi isterica, e si gettò sul letto, accanto al coniuge, rannicchiandosi sul suo petto.
“Voglio morire, voglio morire con lui!”
Sempre Van Swieten la scortò nella casa di un’amica, motivo per cui Costance non partecipò ai funerali nè dunque era a conoscenza del luogo dove giacevano le spoglie funebri.
I funerali si ternnerò il 6 dicembre, alle ore 15.
Il feretro di abete fu portati davanti alla cappella del Crocifisso, nella chiesa di Santo Stefano, nei pressi del “pulpito Capistran”, dove la benedizione, secondo i funerali più modesti, avveniva all’aperto.
Pochi i presenti e gli amici, i quali attorniavano il feretro. Forse solo alcuni di essi accompagnarono il carro alla Stubentor, ma da lì si dispersero.
Nessuno a gettare una manciata di terra nella fossa dell’artista, nel cimitero di San Marco.
La leggenda della giornata tempestosa appare falsa. Per tutto il pomeriggio non vi fu un alito di vento, solo nebbia e temperatura mite per la stagione (intorno ai tre gradi).

 

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Il fatto che Mozart venne sepolto in una fossa comune rese impossibile in seguito rendere un degno omaggio all’artista.
Deiner consigliò a Costance di porre una croce di legno, ma ella ribattè che doveva averci già pensato il prete che aveva benedetto le esequie.
17 anni dopo la moglie si mise alla ricerca, invano, del luogo di riposo del marito.
Non riuscì a rintracciarla nemmeno Vincent Novello, intorno al 1829.
Dal 1855 molti risultarono essere però i “pellegrinaggi” presso la lapide funeraria posta nella posizione in cui si supponeva essere il corpo di Mozart. Più tardi venne trasferita nel gruppo di lapidi di famosi musicisti allo Zentralfriedhof.
E, tuttavia, credo esista un ulteriore e senz’altro migliore pellegrinaggio, per ricordare il genio di Wolfgang Amadeus Mozart : quello che le dita compiono, su tasti d’avorio, madeperla, su corde o pistoni, per rendergli (e renderci) omaggio e vita, ogni volta, con la sua musica.

 

 

Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...