Quella tanto dolce “Amara terra mia”

Ora come ora sto leggendo Barnum, che è un libro, e tuttavia “libro” è termine riduttivo o errato, come preferite.
E’ piuttosto una raccolta di articoli nati da anni dalla penna di uno scrittore che io considero un po’ un genio-altri lo considerano un esaltato e basta, io lo considero un genio oserei dire consapevole- che è Alessandro Baricco.

Mi piace l’idea di Baricco.
Vedere la molteplicità del reale come metafora di uno spettacolo circense di cui noi siamo spettatori e tuttavia protagonisti.
Baricco è riuscito a togliersi dalla moltitudine di acrobati.
E a metterli un po’ su carta, tutti quei domatori, quelle ballerine e quei nastri, che poi alla fine siamo un po’ noi.

La vita, dopotutto, è circo.
Ancora sto cercando di capire ad esempio il mio ruolo, e sono arrivata alla conclusione che credo di non essere un equilibrista.
Il che è già un qualcosa; quando non sai chi sei, devi sempre partire da cosa non sei.

Non era di Baricco comunque che volevo parlare, ecco.
Il fatto è, molto semplicemente, questo: a me piace il festival di Sanremo.
Mi sembra un po’ un antestetizzante. Come la pizza il sabato sera, l’Ikea nei weekend con i genitori, quando non si ha da studiare, la consapevolezza di tutti i libri che al mondo ti rimangono da leggere, e allora necessaria e conseguente felicità.
E’ un’illusione dolcissima, ma barbarica, perchè da tale ti sottrare al viver comune, al male, agli scorni, ai pensieri piccoli da ragazzetta qual son io.
Per 5 sere assisti a questa sfilata di arte, e che sia apprezzata o no, ti senti un po’ più perfetto, dentro. Assisti un po’ a quella macchina straordinaria con quella tua imperfezione, ed è fantastico.
Poi dopo 5 sere la bolla scoppia e ti ritrovi col culo per terra, perchè crolla tutto in un giorno, e tu ti ritrovi tutte quelle schifezze che le illusioni coprono per un po’, i ritardi, le incazzature, la rabbia. Crolla. Bum. Terribile clemenza mancata.

Quest’anno l’illusione è stata un po’ più grande, un po’ più forte, molto più sentita e dolorosa.
Terza serata, questo ragazzetto che in realtà è un uomo ma sembra un ragazzetto, che canta Modugno e lo fa in un modo che ti immobilizza, e pensi che quello non è un ragazzetto, ma un intero disco di Battisti.
O qualcosa del genere. Pazzesco.
E ho pensato che se fossi stato quel Baricco del Barnum un pezzo sull’ uomo-ragazzetto lo avrei scritto, ma proprio così, in prima pagina, perchè ritrae tutta quella meraviglia che ti incolla al muro. Ma nemmeno con garbo, senza dolcezza, all’improvviso e senza lasciarti spazio.

Poi ho pensato che questo blog in cui scrivo da più di un anno è un po’ il mio circo-Barnum. Non ho mai scritto assolutamente nulla che non mi meravigliasse, atterrisse, sollevasse. Là dove la meraviglia mi ha colpito, là ho raccontato, nella speranza di far tramortire un po’ anche voi, di scuotervi, ma per bellezza.

E per questo ho deciso di parlarvi dell’uomo che l’altra sera è stato bellezza,
che è Ermal Meta.

Ho adorato la sua canzone fin dalla prima sera, ho votato e rivotato l’uomo magico e ho saltellato sulla sedia come una ragazzina ormonata per il suo brano, ma non è di questo ora che vorrei parlare, ma, appunto
terza sera.
Quella delle cover.

Prima tal Chiara, con Diamante di Zucchero.
E’ okay, nulla di eccezionale, canzone pulita, una ninna nanna, per dirvi.
Ospiti, qualche scenetta e poi il secondo concorrente.
E ti entra nello schermo questo ragazzino di 35 anni, che più che cantante di Sanremo sembra essere uscito da un film di Tim Burton, con la pelle bianca bianca, magro, il sorriso appena accennato e raro, quei capelli che sono la versione primaria di Edward Mani di Forbice.
Quella timidezza dolce, a modo suo, quella bellezza che non è che un miscuglio perfetto tra armonia ed equilibrio composto e l’animale da palcoscenico.
Pazzesco.
E’ nella mia top 3 (esistono le top 3, vero?), per cui mi accoccolo nel letto, alzo il volume e ripongo molte aspettative in quella che sarà la sua interpretazione di “Amara terra mia”, canzone sublime perchè densa di malinconia, e la malinconia è il respiro del mondo.

 

http://www.televisionando.it/articolo/festival-di-sanremo-2017-serata-cover-il-vincitore-e-ermal-meta/181669/

Inizia a cantare, e sbam, non ce n’è per nessuno.
Gli occhi socchiusi, animale gentile, quel ciuffo che glieli copre.
La voce che è una nennia dolcissima, bassa, e ti sembra di essere cullato.

“Sole alla valle
e sole alla collina
per le campagne
non c’è più nessuno
Addio addio amore
Io vado via
Amara terra mia
Amara e bella”

Le prime parole come un pugno di sale in faccia, il sale dell’amarezza e un po’ di quelle lacrime piante nel lasciare la propria terra che è tanto bella, e forse proprio nella bellezza che va perdendosi nell’abbandono diventa amara. Perchè se fosse stata brutta sarebbe stata anche più dolce. Clemente, a modo suo.
“Io vado via”. Non si sa come nè perchè, la canzone non lo dice. Ma il tema dell’abbandono e del buttarsi nell’incertezza quasi con tono di inevitabilità è presente in tutto il testo della canzone.

E sa muoverle, il ragazzo, le mani, la bocca, gli occhi, sa farle vivere quelle parole con gestualità di dita, geometria abbozzata e perfetta, e ci sei dentro con lui, in quella terra amara.
Non puoi non amare un uomo che non solo pensa ai colori, ma te li mostra così.

“Cieli infiniti
e volti come pietra
mani incallite ormai
senza speranza
Addio Addio Amore
Io vado via
Amara terra Mia
Amara e bella”

 

La resa dell’iperbole nei cieli infiniti, quell’antitesi che è anche un po’ sinestesia, amara e bella, e lui ti mostra tutto, ma proprio tutto, e lo fa con una dolcezza che diventa dolore, perchè l’illusione Sanremese cresce e cresce e cresce, e ti chiedi come potrai mai uscire dai colori, da quelle note, a tornare alla normalità dopo quello che hai sentito.
Pazzesco.
C’ha poi sto modo di dondolare da un piede all’altro, lui, la berceuse del mondo, e tu la senti tutta quella malinconia addosso-impossibile da togliere, questo il problema-e quello che avevi prima pensato o scritto in prosa te lo ritrovi lì, semplice, cantato da questo ragazzo che di uomo ha tutto, e di poeta anche, perchè da sale e dignità alla bellezza.
Alla melanconia, appunto.

E poi non è finita, che credete.
Occhi sempre dolci e chini, nel mezzo della canzone sussurra
“Maria, dai, vieni a cantare Maria.”
Che non è un riferimento alla De Filippi, ma un espediente.
Perchè poi inizia a cantare in falsetto, diventa donna.
Per cantare solo ciò che la dolcezza di una madre può intonare.

“Tra gli uliveti è nata
già  la luna
Un bimbo piange allatta
un seno magro
Addio Addio Amore
Io vado via
Amara Terra mia
Amara e bella.
Amara e bella.”

 

http://www.lapresse.it/sites/default/files/styles/960×540/public/damiel_images/ermalmetasanremo532_5.jpg?itok=EoMz9CAT

E rimani così, lì, inchiodata immobile alla parete.
E ti chiedi dove cazzo la tenesse questa voce.
Non può essere lui.
Nasconde una donna da qualche parte.
E’ fantastico, sublime.
Raggiunge le note più alte sempre con quel dondolio da un piede all’altro, ma la testa alta, e un sorriso, gli occhi chiusi.
Un canto femminile da uomo, di dolore e rabbia per l’abbandono di quella terra, o forse di un amore, ormai non si capisce più, è oppio, è oppio puro, e vedi solo colori, caldissimi, l’ocra, la terra senape, questo cielo che non è cielo.

Finisce che è un lamento cantato spiazzante, si mette una mano sul petto come fa spesso, come a dire “io bravo? No, davvero, non dovete applaudire così”.
Dalla terra amara nostra io non ci sono ancora tornata, quando lui con una voce ora bassa e tutta piena di sorrisi dice “Grazie”.
Ed Edward Mani di forbice abbandona il palco.

A parte che il grazie te lo dovremmo dire noi per tutto questo circo che ci hai regalato con una sola canzone
A parte che rimango con la bocca aperta davanti alla tv fino alla successiva perfomance.
A parte che mi sono innamorata di un uomo che ti porta a vedere i colori.

 

 

http://www.deejay.it/news/ermal-meta-paola-turci-e-marco-masini-ascolta-le-cover-vincenti-nella-3a-serata-di-sanremo/512033/

A parte tutto, proprio per una cosa come questa, Sanremo quando finisce ti lascia ancor di più con il culo per terra.
Magari non mi rialzo, questa volta.
Magari.

Per ascoltare il brano: https://www.youtube.com/watch?v=y3rQHsOfzvU

Arianna Mariolini

 

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...