Queen: Anyway the wind blows..

A cura di Marco Cingottini

“Mama, just killed a man, put a gun against his head, pulled my trigger, now he’s dead…Mama, oooh I don’t want to die, I sometimes wish I’d never been born at all..”

Con questa confessione e questo grido di dolore conobbi nell’estate del 1976 quello che sarebbe stato “il” gruppo della mia adolescenza; tutti gli appassionati di musica hanno avuto un artista o una band che hanno segnato indelebilmente quel periodo particolare della loro vita, e per me sono stati i Queen.

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Il brano in questione, per chi non lo avesse riconosciuto, è la celeberrima “Bohemian Rhapsody”, che io ascoltai in maniera fortuita, perché mio cognato, che aveva chiesto consiglio al negozio di dischi su alcuni singoli di successo, si era visto consegnare tra gli altri proprio quello dei Queen, e io, che non conoscevo la loro esistenza, affascinato dalla copertina – una foto con lo sfondo nero e i volti dei quattro componenti della band in evidenza – misi il 45 giri sul piatto, la puntina sul disco e partì quella che per me fu un’esperienza nuova : non avevo mai sentito fino ad allora una canzone scelta come singolo di lancio di un 33 giri composta in quella maniera, non era per la lunghezza, 6 minuti scarsi, perché c’erano già state “Like a rolling stone” di Dylan e “Hey Jude” di Beatles che avevano una durata fuori dalla norma, ma era la struttura del brano che era complessa : un coro a cappella introduce una ballad al piano che sfocia in un assolo di chitarra preciso con un suono che da allora in poi avrei riconosciuto al volo, poi improvvisamente un pezzo di operetta a più voci che conteneva talmente tante sovraincisioni che i Queen dal vivo mandavano la base registrata mentre il cantante e il chitarrista si cambiavano d’abito, e poi il finale hard rock “so you think you can stone me and spit in my eye – so you think you can love me and leave me to die” fino a sfumare in un finale dolce “Nothing really matters to me, anyway the wind blows” e un gong a chiudere il pezzo.

Devo dire che per un attimo ebbi il dubbio che ci fosse stato un errore sull’etichetta del disco e avessi ascoltato in realtà il lato b…e invece no : quel capolavoro era proprio il lato A del singolo che aveva imposto definitivamente il gruppo britannico all’attenzione del grande pubblico.

Già, ma chi erano i Queen? Bohemian Rhapsody era il brano di lancio del loro quarto album “A night at the opera”, ma prima cosa era successo? Bisogna risalire al 1970 quando dalle ceneri di un gruppo semi-sconosciuto, gli Smile nasce l’idea di un nuovo progetto; di quella band  rimangono il chitarrista Brian May, che suonava una chitarra di sua costruzione e che ancora oggi lo accompagna in ogni sua esecuzione, e il batterista Roger Taylor, anche valente cantante con un notevole falsetto che caratterizzerà soprattutto nei primi anni diversi brani della band. A questi si aggiunge Freddie Mercury, cantante di origine indiane (infatti il suo vero nome è Farrokh Bulsara) con una voce potente che va oltre la musica rock e che sarà insieme alla chitarra di May il segno distintivo dei Queen; a loro si aggiungerà in un secondo tempo il bassista John Deacon formando con Taylor una base ritmica sempre solida ed efficace.

Bisogna aspettare il 1973 per la pubblicazione del primo album che porta semplicemente il nome “Queen” : il sound riflette molto quel periodo storico, un hard rock venato di blues (Son and Daughter) unito a composizioni più complesse (Liar, Great king rat) che anticiperanno quello che sarà l’evoluzione della band da lì a poco. Il secondo lavoro “Queen II” pubblicato all’inizio del 1974 mantiene lo stesso sound ma è diviso in due parti distinte quasi un concept album: il lato A indicato come “White side” scritta quasi completamente da May a parte l’ultimo brano scritto e cantato da Roger Taylor, disegna scenari più rilassati (White Queen e Someday One Day) mentre il lato B chiamato “Black side” è ad appannaggio di Mercury e descrive atmosfere aggressive e testi cupi tra orchi (Ogre Battle) e regine nere (The march of the black Queen).

Il gruppo nel frattempo ha cominciato ad avere un certo seguito testimoniato dal live al Rainbow Theatre di Londra pubblicato eccezionalmente due anni fa che si riferisce proprio a due concerti che la band inglese terrà nel teatro londinese a supporto dei tour del secondo album e del terzo “Sheer Heart Attack” che uscirà a novembre dello stesso anno e che porterà alcune novità nel sound dei Queen. Quello che emerge nell’ascolto e nella visione dei concerti del 1974 è il sound compatto, la forza d’urto di una band in stato di grazia, con Mercury in grandissima forma ed una voce potentissima, la chitarra di May aggressiva e puntuale e la base ritmica che sorregge alla grande tutto il complesso. Una forza d’urto che inevitabilmente si affievolirà negli anni 80 quando i Queen alleggeriranno il loro repertorio passando ad un suono più Pop.

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Ma torniamo al terzo album (Sheer Heart Attack), che porta dei primi significativi cambiamenti nel sound della band con l’introduzione di composizioni old style (Killer Queen, primo singolo di successo dei Queen, Bring Back That Leroy Brown, dove farà la sua comparsa addirittura un Banjo) e pop (Misfire, scritta da Deacon)  e dove il repertorio si affranca dal suono Hard dei lavori precedenti, con qualche eccezione (Brighton Rock, che diventerà per alcuni anni la base per il celebre assolo di May, Now I’m Here, che entrerà a far parte in maniera stabile del loro live act, Stone Cold Crazy, che sarà coverizzata magnificamente anni dopo dalla band americana dei Metallica).

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E arriviamo a “A Night at the Opera”, titolo preso da un film dei fratelli Marx, in cui esplode in tutta la sua magnificenza il sound dei Queen : il gruppo ormai ha preso una sicurezza assoluta e incide un album in cui immette tutte le sue varie anime, dall’ Hard Rock di Sweet Lady, al gusto retrò di Seaside Rendezvous e Good Company, al pop di You’re My Best Friend, al folk di ’39, al romanticismo di Love of My Life, altro brano entrato in pianta stabile nei concerti della band in una splendida versione acustica, fino all’apoteosi dell’ oscura ed intrigante The Prophet’s Song e della citata Bohemian Rhapsody, insomma incidono di fatto il loro disco definitivo, sì perché la band di Mercury non si evolverà ulteriormente e dopo aver inciso un album musicalmente fotocopia fin dal titolo “A Day at the Races” e dalla copertina, dal logo della band con sfondo bianco al logo con sfondo nero, si sposterà piano piano verso atmosfere più pop fino all’infausto Disco-Funk di “Another One Bites The Dust” che contenuto nell’album del 1980 “The Game” sancirà definitivamente la fine dei Queen che ancora oggi amo tantissimo, per passare ad essere una band pop-rock accessibile ad un pubblico più vasto con due soli sussulti : lo splendido brano “Who Wants To Live Forever” del 1986 e l’ultimo album “Innuendo”, pubblicato nel 1991 poco prima della morte di Mercury, vero canto del cigno della band che tornò per un attimo ad essere “il” gruppo della mia adolescenza.


 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..

4 thoughts on “Queen: Anyway the wind blows..

  • 3 Giugno 2017 alle 21:41
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    Grazie. Lo condivido sulla pagina della Comunità Queeniana Italiana !

     
    • 3 Giugno 2017 alle 21:48
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      Grazie veramente Claudio, è un onore per noi

       
  • 3 Giugno 2017 alle 14:36
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    Bellissima recensione, fatta proprio con amore…..li amissimo!!

     

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