Maturità 2016 – Prima prova – Il rapporto padre-figlio.. (Saggio breve)

Secondo appuntamento della rubrica : esami di maturità – prima prova – come l’avremmo impostata?
Stavolta è una futura maturanda che si cimenta in questa sfida, prendendo il saggio breve di tipologia artistico-letteraria dal titolo :  Il rapporto padre-figlio nelle arti e nella letteratura del Novecento.

Ecco i documenti :

Mio padre è stato per me “l’assassino” Mio padre è stato per me “l’assassino”, fino ai vent’anni che l’ho conosciuto. Allora ho visto ch’egli era un bambino, e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, un sorriso, in miseria, dolce e astuto. Andò sempre pel mondo pellegrino; più d’una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre tutti sentiva della vita i pesi. Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”. Ed io più tardi in me stesso lo intesi: eran due razze in antica tenzone.
Umberto Saba, Il canzoniere sezione Autobiografia, Einaudi, Torino 1978

 

«Dei primi anni ricordo bene solo un episodio. Forse anche tu lo ricordi. Una notte piagnucolavo incessantemente per avere dell’acqua, certo non a causa della sete, ma in parte probabilmente per infastidire, in parte per divertirmi. Visto che alcune pesanti minacce non erano servite, mi sollevasti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi lasciasti là per un poco da solo, davanti alla porta chiusa, in camiciola. Non voglio dire che non fosse giusto, forse quella volta non c’era davvero altro mezzo per ristabilire la pace notturna, voglio soltanto descrivere i tuoi metodi educativi e l’effetto che ebbero su di me. Quella punizione mi fece sì tornare obbediente, ma ne riportai un danno interiore. L’assurda insistenza nel chiedere acqua, che trovavo tanto ovvia, e lo spavento smisurato nell’essere chiuso fuori, non sono mai riuscito a porli nella giusta relazione. Ancora dopo anni mi impauriva la tormentosa fantasia che l’uomo gigantesco, mio padre, l’ultima istanza, potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità.» Franz KAFKA, Lettera al padre, traduzione di C. GROFF, Feltrinelli, Milano 2013

 

«Pietro, gracile e sovente malato, aveva sempre fatto a Domenico un senso d’avversione: ora lo considerava, magro e pallido, inutile agli interessi; come un idiota qualunque! Toccava il suo collo esile, con un dito sopra le venature troppo visibili e lisce; e Pietro abbassava gli occhi, credendo di dovergliene chiedere perdono come di una colpa. Ma questa docilità, che sfuggiva alla sua violenza, irritava di più Domenico. E gli veniva voglia di canzonarlo. […] Pietro stava zitto e dimesso; ma non gli obbediva. Si tratteneva meno che gli fosse possibile in casa; e, quando per la scuola aveva bisogno di soldi, aspettava che ci fosse qualche avventore di quelli più ragguardevoli; dinanzi al quale Domenico non diceva di no. Aveva trovato modo di resistere, subendo tutto senza mai fiatare. E la scuola allora gli parve più che altro un pretesto, per star lontano dalla trattoria. Trovando negli occhi del padre un’ostilità ironica, non si provava né meno a chiedergli un poco d’affetto. Ma come avrebbe potuto sottrarsi a lui? Bastava uno sguardo meno impaurito, perché gli mettesse un pugno su la faccia, un pugno capace d’alzare un barile. E siccome alcune volte Pietro sorrideva tremando e diceva: – Ma io sarò forte quanto te!- Domenico gli gridava con una voce, che nessun altro aveva: – Tu?- Pietro, piegando la testa, allontanava pian piano quel pugno, con ribrezzo ed ammirazione.» Federigo TOZZI, Con gli occhi chiusi, BUR Bibl. Univ., Rizzoli, Milano 1986

 

 

“Perché leggere o studiare le biografie, le vite dei grandi? Le giornate di Foscolo, Leopardi, Petrarca, possono essere di nostro interesse?”
La risposta è sì, sono di nostro interesse perché i loro giorni stessi, ogni loro attimo, gesto, avvento è arte, poesia, letteratura.
Credo fermamente che Foscolo non avrebbe potuto scrivere “In morte del fratello Giovanni” se non segnato dalla grave perdita, che sia stato un amore reale a movere Dante alla poesia, una delusione amara a portare Machiavelli alla penna.
Vita e arte vanno di pari passo, e a volte c’è più vita nell’arte, così come c’è più arte nella vita.

Così anche le stesse relazioni dei grandi con amici, colleghi, famigliari, possono diventare chiavi interpretative di un testo, una lente d’analisi e d’ingrandimento, lo sblocco per capire, da sempre, un messaggio celato del poeta.

E’ così fin dal Leopardi, profondamente influenzato sia dalla figura materna (“Lo sguardo di nostra madre ci accompagnava sempre: era l’unica sua carezza” scrive il fratello Carlo, e ancora “non vuol soffrire che io faccia amicizia con alcuno, perché, dice essa, ciò distoglie dall’amore di Dio. Quello che io posso vedere dalla finestra è sempre sorvegliato da mia madre la quale gira per tutta la casa, si trova per tutto e a tutte le ore”) che dalla paterna, ossessionato dall’affetto per il figlio, dominatore dell’intero epistolario leopardiano, ostacolo verso ogni viaggio di Giacomo, il quale lo rimprovererà per la sua troppa prudenza, “Che ci agghiaccia, ci lega, ci rende impossibile ogni grande azione, padre!”

I rapporto travagliati e fuori dal comune non mancarono nemmeno, nello stesso secolo, al Manzoni, figlio di Pietro Manzoni e Giulia Beccaria, due poli opposti.
Il matrimonio tra i due era stato concordato e oltremodo fallimentare: lei figlia di un grande tra i primi illuministi Italiani, i capelli rossi, occhi verdi, “robusta e bellissima”,  di vedute larghe e aperte. Lui “all’antica”, circondato da nubili sorelle, vecchio e insofferente. Pietro vedrà sempre il figlio come un peso scomodo fino alla sua partenza a Parigi, dove raggiungerà la madre, che influenzerà invece, con le sue idee e la sua vita, gran parte della produzione e degli ideali figliali.
Due razze diverse, su cui prevalse quella materna.

Due razze in antica tenzone, come scrisse un secolo dopo Umberto Saba in “Mio padre è stato per me l’assassino”, raccolto ne “Il Canzoniere” nel 1978, parlando del rapporto tormentato con il padre.
Una visione assolutamente negativa del Poeta, almeno fino al loro incontro avvenuto nei vent’anni di Saba, in cui il Poeta si rende conto che i loro mondi non sono tanto diversi: gli occhi azzurri, il sorriso dolce e furbo, anche nella mestizia. Eppure la sua lontananza, non solo dal suo mondo, ma da quello materno: lui amato e svezzato da molte donne, gaio e frivolo, la madre carica di entrambi i pesi, di responsabilità famigliare, l’incapacità di essere riuscita a tenere a sé il marito, la speranza vivida che il figlio non sia come lui.
Dopo vent’anni il Poeta comprende la polarità dei due mondi, inconciliabili e tuttavia necessari e presenti nella sua esistenza.

Questi rapporti emblematici e Kafkiani con i genitori, ed in particolare con il padre, non mancano nello stesso Franz Kafka.
Il rapporto con la figura paterna è uno dei nodi più controversi nella vita dello scrittore. Le figure dei padri che compaiono nelle sue opere sono spessi negativi e presentano conseguenze nefaste sulla vita dei loro figli. La sua stessa “Lettera al padre”, accusa contro il genitore mai consegnata, fa emergere di quest’ultimo un’immagine volitica, energica, con senso pratico e senza raffinatezze intellettuali, sensibilità e timidezze tipiche invece del figlio.
La Lettera è uno sguardo al passato da parte di un uomo che sa che la sua vita volge al termine. Essa infatti ripropone le domande che furono centrali nella sua vita, e da lui sempre formulate attraverso l’opera letteraria, i molti perché della sua esistenza rimasti insoluti: il senso di fallimento della sua vita, l’impossibilità di ripercorrere le orme del padre (base del relativo senso d’inferiorità nei suoi confronti – senso d’inferiorità quindi su base emozionale e non reale), il senso di vuoto e di nullità, l’inadeguatezza al matrimonio… Sono le domande che Kafka ha sempre rivolto (a se stesso) attraverso il ‘discorso’ sotteso alla sua scrittura, che qui trovano un termine di confronto (il padre) ‘concreto’ – ma non necessariamente giustificato.

Lo stesso Italo Svevo attribuisce al padre del protagonista ne “La coscienza di Zeno” un ruolo fondamentale, così come fondamentale e tragico appare il suo estremo gesto: la sua mano che, nel momento della morte, cade sfiorando la gota del figlio, il quale rimarrà sempre con l’eterno ed amletico dubbio:
“Carezza o schiaffo?”

Ogni cosa dunque influenza i grandi, nonché le loro arti, le loro opere, le lettere.
Ogni loro arte nasce dalla vita, che spesso si rivela formata da intrighi, rapporti, sofferenze e da un padre, presente o assente, carezzevole o superiore, ma sempre e comunque figura di rilievo per delle personalità perlopiù così sensibili.

 

A cura di Arianna Mariolini

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...