Maniac – l’ordine e il caos nel dolore psichico

Emma Stone e Jonah Hill sono i protagonisti della nuova serie Maniac, prodotta da Netflix con la regia di Cary Fukunaga. Bastano queste poche informazioni per alzare le aspettative riguardo a una delle serie più attese non solo di questo autunno, ma dell’anno.
Ma la regia e il cast sono solo un piccola parte di questa scatola enigma che la produzione Netflix, senza sbagliare un colpo, ci propone.

A cura di Silvia Genovese

All’inizio è solo senso di disordine.
La storia è ambientata a New York, in un futuro prossimo che sembra voler trascinare tutto nel passato: l’atmosfera è quella distopica di tante serie futuriste, ma al suo interno si scorgono diversi e ricorrenti elementi del passato, in particolare degli anni ’80, che portano lo spettatore ad essere, inizialmente, confuso.

All’interno di questo caos si delineano le vite di due figure: da una parte c’è Annie (Emma Stone), dipendente da uno psicofarmaco sviluppato per cercare una soluzione chimica al dolore psichico, in modo da superare il primato della terapia. Annie è dura, scontrosa, chiusa in una patologia che non riconosce, e crede che tutta la vita sia governata dal caos e basta. Ricerca in continuazione il suo dolore, senza riuscire a superarlo.
Dall’altra troviamo Owen (Jonah Hill), alle prese con una schizofrenia che non intende curare e con una famiglia benestante in cui non si riconosce. Ha allucinazioni visive e uditive, che inondano il suo cervello, convincendolo che nella vita ci sia un pattern, una strada già pronta, uno schema da seguire.
I due sembrano non avere nulla a che fare l’una con l’altro. Finché non si trovano entrambi, per motivi diversi, a partecipare alla sperimentazione di un farmaco, nello specifico quello di cui Annie è dipendente.

L’obiettivo delle medicine sperimentate è chiaro: risolvere qualunque patologia e qualunque problema psichico senza l’uso della terapia.

All’inizio i soggetti si trovano a rivivere fisicamente il momento più traumatico della loro vita (pillola A). In seguito, con una seconda pillola (B), viene a galla la parte inconscia della mente dei pazienti, le difese si abbassano, e attraverso scenari diversi i soggetti si trovano catapultati in eventi simbolici manipolati da un computer, GRTA. La pillola C, somministrata dopo l’analisi dei risultati precedenti, è la pillola della guarigione.
Già dalla pillola B risulta chiaro come Annie e Owen siano, in realtà, collegati da qualcosa. Essi si ritrovano sempre insieme in scenari assurdi, con tempi diversi, ruoli diversi, relazioni diverse. Si trovano a vivere insieme una miriade di vite intere che non hanno mai vissuto. Vengono catapultati da una storia all’altra, da una vita all’altra, da un’epoca all’altra, in una varietà di generi che va dal fantasy, all’azione, al dramma, con tempi dilatati e sincopati, dove tutto sembra il caos.

Ma qui sta la genialità di Maniac: all’interno di ogni scena, di ogni luogo e di ogni tempo, le figure che si alternano sono le stesse. I personaggi che costellano le vite dei due protagonisti sono fantasmi delle loro realtà, facce già viste, già conosciute, declinate in ruoli diversi, ma sempre coerenti con quello che rappresentano. Nulla è
lasciato al caso. Guardando Maniac sembra di entrare nell’inconscio come descritto in psicoanalisi, con continui richiami ad oggetti della vita reale, a volte rimossi, a volte palesi.

Annie e Owen, prima sconosciuti, si trovano ad essere legati in modo stupefacente, senza poter fare niente per slegarsi, perché necessari l’uno per l’altra. Annie comincia a capire che la vita non è governata dal caos, ma che essa ha necessariamente degli schemi, e Owen capisce che ogni schema ha uno scopo ben preciso, e che essi non
sono solo frutto della sua schizofrenia.

La solitudine di due personaggi così feriti, il cui dolore è plastico e palpabile, è descritta con un’attenzione ai dettagli che la rende quasi dolorosa per chi guarda. Il male psicologico che provano rimane l’elemento concreto nel susseguirsi di ambientazioni fantasy, umoristiche, bizzarre e drammatiche. Mentre la realtà varia continuamente, perdendosi nel dedalo dell’inconscio, la connessione dei personaggi rimane sempre lì, vivida e straziante. Ogni dettaglio è finemente (e quasi ossessivamente) studiato, portando lo spettatore stesso nella condizione del disagio psichico: in questo modo tutta la serie dà una sensazione di empatia, in cui lo spettatore non può fare a meno che essere rapito dai personaggi.


Annie e Owen sono così feriti da risultare irresistibili: essi sono la prova che il dolore è naturale e umano, e che la chimica non può distruggerlo. E’ così che sono le scene in cui i due protagonisti sono più feriti quelle che incollano allo schermo lo spettatore, eliminando l’etichetta del “disturbo” dalla persona. Il filo che rende i due inseparabili è l’accettazione totale e senza riserve del male dell’altro, male che li rende opposti, ma anche necessariamente inscindibili e uguali.

Maniac è un grande quadro di scene di dolore intenso e di dolcezza straziante, di umanità, di empatia, per sottolineare che il dolore è inevitabile, ma anche squisitamente umano.

Qui il Trailer italiano ufficiale:


2 thoughts on “Maniac – l’ordine e il caos nel dolore psichico

  • 28 Settembre 2018 alle 12:24
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    Ciao!! Da come è molto ben descritto, sembra interessante. Grazie per la dritta, perché in mezzo a tante serie, ci si perde in Netflix

     

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