La calma osservatrice di Andrej Tarkovskij

A cura di Mattia Geraci

Senza ombra di dubbio, la maggior parte delle persone si diverte a guardare un film con una trama avvincente, un ritmo infuocato e dei personaggi ben caratterizzati. Vi sono un sacco di esempi nella filmografia degli ultimi anni: si pensi ai film di Fast and the Furious, dove una costante velocità divora ogni settore, montaggio, recitazione, narrazione, vicende e inquadrature. E non si può negare il fatto che lo spettatore medio, una volta tornato a casa da lavoro, da un ambiente dominato dalla fretta, sicuramente vuole vedere qualcosa di assurdo come Vin Diesel che spacca il mondo, perché è intrattenimento, perché vuole letteralmente spegnere il cervello e perché ormai è abituato alla velocità imposta dalla vita di tutti i giorni. Comprensibile.

Però succede una cosa, nel versante opposto: quando un film ha una narrazione lenta, esso viene considerato brutto e/o noioso. Gravissimo errore. Come ci sono film incentrati sulla velocità del tutto, esistono anche film costruiti proprio su ritmi lenti, e rifiutare ciò rappresenta un gesto di maleducazione nei confronti di queste opere d’arte. Molti dei più acclamati registi, infatti, concentrano i loro mondi cinematografici all’interno di lungometraggi aventi inquadrature lunghissime in cui, apparentemente, non succede nulla. Se ne potrebbero citare tantissimi, ma qui verrà presa in esame l’estetica della lentezza di un regista in particolare: Andrej Tarkovskij.

Già, al solo leggere il nome di questo regista i meno esperti potrebbero perdere il fiato, a causa del luogo comune “russo = lento”. Ma i cinefili lo conosceranno di sicuro come un regista che ha fatto della lentezza la sua formula vincente. Infatti, i film di Tarkovskij si devono guardare in relazione a questo elemento e, più che altro, verso quella che è la sua tecnica prediletta: il piano sequenza – una sequenza, appunto, continua, senza stacchi. Una volta presa coscienza di ciò, si potrà pure divorare tutta la sua filmografia in un giorno intero.

Quindi, a causa dell’uso del piano sequenza – che è la cosa che inietta nello spettatore il carattere della lentezza – è la durata delle inquadrature. Tarkovskij, infatti, evita ogni forma di découpage articolato, usando il montaggio solo per collegare le scene e il discorso filmico dei suoi lavori. La scena della casa incendiata de Lo Specchio rientra in questa concezione: la macchina da presa compie un piano sequenza in cui si passa dal riprendere un interno, l’esterno riflesso in uno specchio e infine l’esterno, che presenta la casa in fiamme. Tutti questi passaggi si potrebbero controllare con l’uso del montaggio, e quindi con più riprese, ma l’effetto apparirebbe diverso: grazie al piano sequenza Tarkovskij conferisce pathos in una scena in cui persino il cadere di una bottiglia diventa la lacrima di un angelo dimenticato, dato che lo spettatore ha tutto il tempo per osservare ciò che succede dentro una sequenza senza stacchi. La macchina da presa si mostra come uno spettro che, muovendosi, osserva il mistero della vita umana. Un po come in Nostalghia, solo che in quest’ultimo film il piano sequenza appare molto più statico, favorendo anche l’uso di una pronunciata profondità di campo – tutti gli oggetti di un’inquadratura vengono messi a fuoco – che rende ogni frame del film una vera e propria fotografia. Sarebbe impossibile citare tutte le scene relative a questo meccanismo, ma tra quelle più celebri vi è l’inquadratura fissa della camera da letto, in cui sembra quasi che la finestra e il bagno aperto rappresentino un mondo lontano e incomprensibile, di cui lo spettatore può dare solo un’interpretazione incompleta.

Tarkovskij, dentro il piano sequenza, riesce a dar valore anche alla parola. Molte sequenze di Stalker, il suo film più famoso, abbracciano questa mentalità, soprattutto quelle ambientate nella Zona, il posto misterioso in cui i protagonisti decidono di avventurarsi. Immersi nella natura, i personaggi scandiscono monologhi e dialoghi fortemente esistenziali, ma lo spettatore, grazie al piano sequenza, sente questi argomenti con una certa intensità, grazie all’uso di un’inquadratura continua, che permette di dar potenza non solo alle parole pronunciate, ma anche ad ogni movimento facciale. Sguardo e parola compiono un matrimonio perfetto.

E’ interessante notare anche la presenza di elementi fissati in secondo piano, rispetto ai personaggi, durante i loro dialoghi/monologhi: un uomo sfocato, la vegetazione, la nebbia, una ferrovia, col piano sequenza ogni dettaglio viene messo in evidenza, in modo tale che lo spettatore sia costretto a riflettere su ciò che ha davanti agli occhi. E anche in Sacrificio, suo ultimo film, Tarkovskij riesce a completare la sua estetica della “calma osservatrice”. Basti vedere il lungo piano sequenza iniziale per capire di essere davanti ad un capolavoro, dove lunghezza dell’inquadratura, oggetti, parole, personaggi e profondità di campo calibrano quello che sembra un vero e proprio quadro in movimento. Tutto si osserva, tutto ha un senso. L’albero nel fondo diventa un dettaglio enigmatico, proprio come l’uomo che stacca la corda che legava la sua bici ad un tronchetto.

Se i film di Tarkovskij, nonostante questa lentezza causata da continue riprese senza stacchi, appaiono di grande clamore, è grazie al fatto che egli sia riuscito a caratterizzare bene ogni oggetto, ogni personaggio e ogni atmosfera dentro le inquadrature dei suoi film. Il suo piano sequenza è uno strumento “trascendentale”, nel senso kantiano del termine: dando letteralmente tempo alle scene, senza interromperle col montaggio, lo spettatore si trova davanti a dei fenomeni da analizzare, di cui egli dovrà cogliere un significato, un senso. Di sicuro – tornando alla premessa iniziale – non si è davanti a una filmografia vivace e sorridente. Tarkovskij, sin da L’infanzia di Ivan, si impegnò totalmente nella creazione di opere senza compromessi, che abbracciano totalmente una lentezza stilistica in cui ci si deve immergere. Sì, perché i suoi film sono degli oceani di senso, e lo spettatore, accettando di contemplare l’esistenza di questi mari, eviterà di affogare nella velocità che la vita impone tutti i giorni.