Jean Rouch: tra antropologia e sperimentazione filmica

Jean Rouch, pilastro del film etnografico e della Nouvelle Vague francese ebbe una formazione tutt’altro che cinematografica e antropologica; interessi che assume viaggiando: nel 1941 inizia il suo rapporto con l’Africa, dove lavorò come ingegnere per costruire un cantiere in Niger. Da qui in poi il suo legame con la cultura africana e con il cinema documentaristico diventerà sempre più stretto, soprattutto grazie ai suoi lavori sul film etnografico.

I film etnografici sono stati prodotti sin da quando gli sviluppi tecnologici del diciannovesimo secolo hanno permesso la registrazione visiva di altre culture. Sin da subito vi furono studiosi legati all’interesse antropologico della ricerca sul campo che, venuti a contatto con il nuovo media del cinema, hanno gettato le basi per un’antropologia filmica, come Felix-Louis Regnault e Alfred Cort Haddon, che intendeva documentare i dati religiosi, culturali e sociali dello Stretto di Torres.

Il momento più importante per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo del film etnografico, fu la creazione di Nanuk l’eschimese, di Robert Flaherty, dove il regista visse assieme a degli Inuit – tendenza sviluppata dopo le teorie di Malinowski secondo il vivere a contatto con una cultura – filmando alcuni momenti della loro vita quotidiana, segnando così la nascita del documentario.

Intorno al 1950, sotto la spinta delle 16 mm – molto più leggere delle 35 mm – fu possibile riprendere con la camera a mano, grazie anche alle sperimentazioni di Michel Brault , il quale, fece comprendere che con la registrazione in presa diretta dei suoni, dei dialoghi, delle musiche e dei rumori, aumentava in maniera sostanziale l’effetto di realtà ottenuto dai film. Jean Rouch fu tra i pionieri di questa nuova tecnica.

 

 

Si pensi al fatto che Rouch abbia viaggiato per la maggior parte della sua vita collezionando circa un centinaio di documentari. Spinto dai lavori di Flaherty e Brault, iniziò la sua attività cinematografica e antropologica una volta tornato nuovamente in Africa, dopo la Resistenza filmando la cultura presente attorno al Niger, dove creò il suo primo lavoro, il cortometraggio ‘Au pays des mages noirs’, nel 1947. Da qui in poi comincerà ad essere acclamato dalla società del posto, al tal punto da venir considerato il ‘padre del cinema nigeriano’.

Nel 1957, con la produzione di Jaguar – distribuito poi nel 1967 – Rouch dimostrò di poter creare pure lungometraggi etnografici, anche in assenza di una troupe corposa, e con pochi mezzi.

Oltre ad aver girato bellissimi film come ‘Moi, un noir’ e ‘La pyramide humaine’, Rouch ha anche filmato alcune usanze religiose molto singolari: mentre studiava la religione Songhai in Accra, nel 1953 Rouch venne invitato dai sacerdoti Hauka per documentare un rito di possessione.

Il risultato fu ‘Les maitres fous’: un potentissimo documentario in cui gli adepti Hauka vengono posseduti da spiriti, squartano un cane per mangiarlo, danzano, sbavano e si agitano in modo aggressivo. Il documentario, dal punto di vista antropologico, è molto interessante perché spiega come questa setta africana metta in atto questi rituali per sfogarsi contro la colonizzazione occidentale e per il desiderio di indipendenza totale.

Rouch filmò anche in altre occasioni riti e danze africane, ad esempio in: ‘Initiation à la danse des possédés’, ‘Les magicians de Wanzarbé e nel già citato ‘Au pays des mages noirs’; ‘Les maitres fous’ è di sicuro quello che ha fatto più scalpore.

Oltre alla grande spinta data al film etnografico e al documentario, Rouch è visto dalla storia del cinema come uno dei pionieri del cinéma vérité, molto simile al direct cinema americano.

Oltre ad avere un forte ruolo sociale e politico, questo genere di film ha alcune caratteristiche fondamentali: riprese sporche e appunto, dirette, accompagnate da una voce fuori campo che descrive la situazione filmata. Spesso e volentieri, inoltre, il regista comunica con i soggetti filmati, a differenza del puro direct cinema, in cui chi viene ripreso non deve venire a sapere del fatto che una macchina da presa sia accesa.

Nonostante queste due correnti abbiano moltissimi elementi in comune è necessario precisare che l’obiettivo finale risulta diverso: il direct cinema, infatti, ha come scopo quello di aspettare che le situazioni accadano davanti alla macchina da presa per poterlo filmare in tutta la sua realtà tutt’altro che finzionale; il cinéma vérité, invece, cerca di svelare allo spettatore qualcosa, uno spaccato di vita, con intenti ideologici o politici.

Nel manifesto del cinéma vérité, ‘Chronique d’un ètè’, Rouch, assieme al sociologo Edgar Morin, gira per le strade di Parigi per intervistarne i suoi abitanti,  con l’obiettivo di porre loro domande circa il loro grado di felicità e la loro vita. Questo film fu il primo grande esempio del genere, teorizzato da Morin come un’unione tra cinema “romanzesco” e cinema documentario

Come nel territorio africano Rouch venne considerato il padre del cinema nigeriano, anche in Francia il regista venne investito di molti complimenti ed elogi, sopratutto dal nascente movimento della Nouvelle Vague: il gruppo, composto da Francois Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol ed Eric Rohmer, tutti quanti collaboratori della nota rivista Chaiers du cinéma.

I rappresentanti del moviemnto, vedevano nel lavoro di Rouch una novità cinematografica, infatti, se si osserva bene ‘Moi, un noir’, si possono notare alcune caratteristiche proprie nella Nouvelle Vague, come: le riprese a mano, l’assenza di una sceneggiatura definita, l’uso di attori inesperti, voci fuori campo, dialoghi sincronizzati in post-produzione e un montaggio particolare che salva solo l’inizio o la fine di determinate azioni.

Tutti questi particolari verranno “rubati” da Godard – grande fan del film di Rouch – per la creazione del suo primissimo lungometraggio, ‘Fino all’ultimo respiro’, un film che non portò soltanto alla creazione della Nouvelle vague, ma cambiò radicalmente la storia del cinema.

Questo fa capire come la figura di Jean Rouch sia stata un ingranaggio perfetto per la settima arte che, grazie ai suoi documentari etnografici e alle sue sperimentazioni, fu fonte d’ispirazione per giovani registi destinati ad attuare, a loro volta, diversi punti di svolta per il linguaggio cinematografico.