Led Zeppelin : the Hammer of the Gods

The hammer of the gods will drive our ships to new lands,
To fight the horde, singing and crying: Valhalla, I am coming! (Immigrant Song, Led Zeppelin)

 

Siamo nel novembre 1970 quando per la prima volta, per le vie inglesi, echeggiano questi versi..

I Beatles si sono sciolti da qualche mese, i Pink Floyd non sono ancora sulle ali del successo (bisognerà attendere il 1973 e l’uscita del favoloso album The Dark Side of the Moon), Jimi Hendrix è andato da poco via, portando con sé tutto Woodstock e tutta la “rivoluzione” sessantottina, piena di sogni, di amori e di speranze. Nel Regno Unito, la terra dei pionieri del rock, è nata da appena due anni una nuova realtà, ancora una “sorpresa” (col botto, però) per tutti i grandi intenditori di musica di quel tempo, piena di una musica energetica, potente, sensuale ed aggressiva allo stesso tempo..insomma, una roba che non si era mai vista : erano appena nati i Led Zeppelin. E veramente il “martello degli dei” (hammer of the gods) ha guidato le loro navi verso le colonne d’Ercole, verso nuovi orizzonti inesplorati ed interminabili, dove la loro musica ha avuto modo di vivere e di far sognare intere generazioni.

 

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Nel 1969 pubblicarono il primo album : Led Zeppelin (I). Pochi mesi dopo, pubblicarono anche il secondo : Led Zeppelin II, e fin qui ci siamo. L’anno seguente (1970) pubblicarono il terzo album : Led Zeppelin III (nel 1971, per non spezzare la tradizione, pubblicheranno anche Led Zeppelin IV).
Ora, per quanto questo modello possa sembrare essere privo di originalità, se prendiamo i singoli album, ci accorgiamo che tutto è così diverso, tutto è eterogeneo, e la band che suonava nel primo sembra essere diversa da quella che suonava nel terzo, o nel quarto. Membri diversi? No. I Led Zeppelin sono uno dei pochissimi gruppi che ha mantenuto nella sua storia sempre gli stessi membri. Non era un gruppo normale, quello. Era una famiglia, tutti stavano insieme, si divertivano, suonavano, trovavano l’ispirazione e stupivano il mondo intero. E non è un caso che, alla morte del mitico batterista (a causa dell’alcool, nel 1980) John Bonham (detto “Bonzo”), i Led Zeppelin comunicarono lo scioglimento definitivo del gruppo.

Si evince, da un comunicato stampa del gruppo, pubblicato il 4 dicembre 1980 (Bonzo era morto il 25 settembre dello stesso anno), quanto segue :

 

Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere — in piena armonia tra noi e il nostro manager — che non possiamo più continuare come eravamo.

 

Scelta coraggiosa, perché i Led Zeppelin avevano già dato tutto al mondo della musica, erano divenuti già fonte principale di ispirazione per i giovani musicisti degli anni successivi, ed avevano in qualche modo contribuito, insieme ai contemporanei Deep Purple, alla nascita di un nuovo genere : l’hard rock.

 

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L’hard rock nasceva dalla fusione di rock n’ roll e blues rock, con chitarre perlopiù distorte, suoni raramente puliti, batteria a picchiare e a fare da metronomo, basso abbastanza pieno e più partecipe all’esecuzione dei pezzi; per quanto riguarda la voce, e comunque per il sound in generale, l’hard rock – in particolare quello dei Led Zeppelin – lasciava molto spazio all’improvvisazione, consentendo ai musicisti di divertirsi e di dare il loro meglio sul palco e in studio. Non è un caso che il chitarrista, Jimmy Page, nella maggior parte dei casi, non scriveva gli assoli di chitarra : si “limitava” ad improvvisare, facendo uscire dalla sua chitarra, e poi, dall’insieme del gruppo, una musica quanto più genuina possibile, sentita e vera.

Possiamo vedere in questo video, come i Led Zeppelin possano creare una magnifica atmosfera e come possano cambiare intere canzoni durante i live (vi invitiamo ad ascoltare l’originale di Heartbreaker, nel link seguente, che fa parte dell’album Led Zeppelin III); inoltre si può notare (oltre al sangue blues) l’immenso amore di Jimmy Page per la musica classica (nel video seguente si diverte ad intonare la Bourée in Mi minore di J.S. Bach, mentre qui si diletta con Chopin), amore che lo condizionerà non poco nella sua produzione. La musica classica fornirà a Page il modo di suonare, virtuoso ma preciso, non troppo calmo ma neanche troppo agitato, e soprattutto gli schemi compositivi e la forma mentis. 

 

 

 

Per restare nel tema “Page e sonorità”, possiamo notare in In the light o Kashmir l’attrazione del chitarrista/compositore nei confronti della musica orientale e soprattutto della scala minore armonica, utilizzatissima per i “richiami” orientali; il chitarrista è inoltre aiutato dalla voce davvero insolita e semplicemente indescrivibile di Robert Plant, infatti i due spesso si sfidano durante i live in gare di virtuosismo come in questo caso (guarda).

Per quanto riguarda la tecnica del gruppo, i quattro sono dei mostri sacri : analizziamoli più attentamente.

Jimi Hendrix, riferendosi al batterista John Bonham, disse :

“Ragazzo, il tuo piede destro è più veloce di quello di un coniglio!”.

Oltre ad avere una velocità ed una tecnica molto avanzata per quei tempi, John aveva un’arma in più rispetto a tutti gli altri batteristi che avevano solo il ruolo di eseguire determinati tempi ed essere i “metronomi” della band : lui aveva la personalità. Rivoluzionò il modo di suonare la batteria, trasformando anche la sistemazione della batteria (alla quale aggiunge diversi tamburi e un gong) : il suo stile era incisivo e deciso, ma soprattutto la sua creatività e la sua musicalità riuscirono a trasformare la batteria, da semplice strumento di accompagnamento quale era considerato, a strumento talvolta “solista”.

 

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Epico il caso di Moby Dick, pezzo scritto principalmente dallo stesso Bonzo, nel quale si trova un interminabile assolo di batteria, forse il più celebre, lungo e bello della storia del rock. Impossibile descriverlo, basta semplicemente guardare ed ascoltare attentamente la versione live (quella che vi proponiamo dura 11 minuti, ed è estratta dal live “The Song Remains The Same”, dall’omonimo film del 1976). Poi magari chiedete ai vostri amici batteristi di suonarlo perfettamente.
“John Bonham…Moby Dick!”

 

 

Ma passiamo al membro meno considerato (l’unico che infatti, fino ad ora, non è stato nominato) : John Paul Jones. JPJ, per gli amici Jonesy, è l’uomo che fa il lavoro oscuro. Oscuro in tutti i sensi : è un genio del male, bambino prodigio, suona ben 21 strumenti (dal basso al pianoforte, dal mellotron al sitar, dal banjo al violino), spesso non è illuminato dai riflettori durante i live, è il più “sconosciuto”, il meno egocentrico, ma soprattutto è parte integrante della sezione ritmica del gruppo, e molti non se ne rendono conto. Ma la colpa non è sua, magari è degli altri che in qualche modo fanno risaltare i propri ruoli e le proprie personalità (Robert il frontman, Jimmy il leader, Bonzo la colonna), mentre lui è nel suo angolino a pensare e a suonare con calma e pacatezza.

 

 

Affermerà, in seguito :

“Non mi piacerebbe essere là davanti come Page. Essere artista implica comunque una minima dose di esibizionismo… Credo che si debba fare ciò che si deve e, se sono il bassista, piuttosto che cercare di impormi per diventare il leader del gruppo preferisco dare il mio contributo eseguendo un buon giro di basso”

 

Fuori dal palco fa uscire il suo spirito selvaggio, ma per fortuna durante i live riesce a mantenere quella calma che gli altri non mantengono : senza Jonesy, il gruppo molto probabilmente non riuscirebbe a suonare una canzone “tranquillamente”. Tralasciando la sua personalità, la tecnica da bassista e il genio da polistrumentista è davvero notevole : basti pensare a What is and what should never be (ascoltate che tocco delicato e che ricami sublimi) o a Dazed and Confused (con ogni probabilità la bassline più famosa dei Led), pezzi in cui il basso diventa strumento solista, o a tutti gli accompagnamenti di chitarra fatti a Jimmy Page durante i live o ai suoni genialmente psichedelici di No Quarter (da ascoltare necessariamente). Lui sta dietro e dentro le canzoni dei Led, particolarmente in quelle di Led Zeppelin II e di The Houses of the Holy (1973).
Ma quando JPJ vuole sfogarsi, nasce.. The Lemon Song (per il testo vi rimandiamo ai doppi sensi tanto amati da Robert Plant). Assolo da brividi, ascoltate!

 

https://www.youtube.com/watch?v=Zyhu2ysqKGk

 

Robert Plant, che dire, scatenato sul palco e fuori, urla ai limiti del possibile, pura, purissima improvvisazione (anche lui uomo dal sangue blues). Il frontman e sex-symbol del gruppo ha uno stile aggressivo ma attraente, sensuale e quasi orgasmico, a volte dolce, a volte selvaggio, insomma, troppo personale per essere descritto in poche parole.

 

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Diceva di se stesso e del suo gruppo, durante alcune registrazioni :

 

Il suono che sentivo uscire da quelle casse, mentre cantavo, era di gran lunga meglio di qualsiasi figa d’Inghilterra. Era così sessuale, osceno, aveva così tanto potere… era devastante.

La scuola è sicuramente quella blues, come abbiamo detto, per l’improvvisazione e per la musicalità, ma l’aggiunta del vocalizzo estremo lo porta sempre più ad avvicinarsi all’hard rock e ad un genere tutto suo, fatto di urla e grida assurde. Anche lui riesce ad adattarsi ai diversi generi del gruppo, accarezzandoli un po’ tutti, dalla ballad (Stairway to Heaven, considerato il pezzo dei Led per antonomasia) all’heavy (Achille’s Last Stand), dal rock più tranquillo (Over The Hills and Far Away) al blues più duro (Communication Breakdown). Prima di lasciarvi ad una delle sue canzoni più belle, vorrei sottolineare il fatto che il Robert Plant che si sente/vede nel live non è esattamente lo stesso di quello che si trova in studio a registrare (per vari motivi, capirete guardando il prossimo video).
Ecco a voi uno dei pezzi più romantici e passionali che la coppia Plant/Page abbia mai scritto.. Since I’ve Been Loving You (da Led Zeppelin III).

 

 

E dulcis in fundo, Jimmy Page (ammetto e premetto di avere un debole musicale per lui, quindi forse esagererò).
Jimmy, secondo l’opinione del mio maestro di contrabbasso, è il musicista rock perfetto. E probabilmente non sbaglia. La sua genialità e la sua musicalità sono qualcosa di assurdo, infatti a lui appartengono i più famosi e bei riff di chitarra della storia del rock, oltre che quasi tutti i pezzi dei Led Zeppelin (se vi sembra poco, ascoltateli uno per uno). Basti pensare a Black Dog o a Whole Lotta Love o a ciò che disse Brian May di lui :

Non penso che nessuno abbia mai incarnato la composizione di un riff meglio di Jimmy Page : è una delle menti musicali più eccelse della musica rock.

 

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A questo punto avete la conferma del fatto che non siamo solo io ed il mio maestro a pensare ciò. Tralasciando  la genialità di Page, il virtuosismo, la cultura musicale e il fatto che si divertisse a suonare la chitarra con l’archetto di un violino (vedi video), ciò che solitamente si ama di Page è la sua passione per la musica. Lui diceva di non occuparsi di tecnica, ma di emozioni. Qui è un po’ modesto, ma non si sbaglia del tutto : Page cerca in ogni modo di trasformare tutta la musica in emozione, in qualcosa di vivo, in qualcosa di contemporaneamente istantaneo ed immortale. Istantaneo perché, come tutte le altre sensazioni, quelle emanate dalla musica sono percepite all’attimo, immortale perché una bellezza tale non può che essere tramandata ai posteri e alle generazioni future.

Gli apprezzamenti e gli onori sono arrivati da tutte le parti, ma i Led Zeppelin sono probabilmente il gruppo simbolo del Rock per il semplice motivo che loro credevano in quello che facevano ed entravano con anima e corpo, come nessun altro, nel rock. Insomma, Page & CO. avevano in qualche modo venduto l’anima al diavolo (o fatto qualcosa di simile) e si erano legati davvero tanto a quell’universo così immenso, fino a scoprirne le parti più ignote e a valorizzarne le più belle. Sì, il martello degli dei li aveva davvero spinto molto avanti.

Un’ultima canzone?
Non saprei, magari tutta la discografia.
Buon ascolto!

 

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Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..