“Il più caro spirito ch’io abbia”

Il più caro spirito ch’io abbia : Giordani e Leopardi.

“Se in ogni parte non pochi signori cospireranno ad abbracciare con forte amore, e promuovere fervorosamente gli studi, non passeranno quindici o vent’anni, che l’Italia ritornerà grande e gloriosa. Mi diletta il pensare che nel novecento il Conte Leopardi (che già amo) sarà numerato tra’ primi che alla patria ricuperarono il male perduto suo onore.”

 

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Era il 12 marzo 1817 quando scrivendo tali parole Pietro Giordani, letterato, classicista, erudito, polemista di Piacenza, siglava lo stretto rapporto con il Conte Giacomo (chiamato da lui in seguito Giacomino) Leopardi, che all’epoca altri non era che un 19enne segregato nella tenuta paterna, nella tanto amata e odiata Recanati.
Il rapporto durerà tutta la vita, fino alla morte del Leopardi, avvenuta con buone probabilità per colera nel 1837 durante il soggiorno a Napoli.
1817, per l’appunto. Leopardi “con alquanto palpito” ha scritto uno dei suoi primi lavori, “Secondo libro dell’Eneide” e, come vuole il rituale, spedisce tre copie via lettera a 3 mostri della letteratura del tempo: il Mai, il Monti, il Giordani. E’ proprio quest’ultimo a vedere nel giovinotto di provincia il nuovo letterato d’Italia, e lo prende sotto la sua ala protettrice. Giordani aveva allora 43 anni e un passato di successi, difficoltà, una tonaca di frate gettata alle ortiche, e di polemiche politiche e culturali che avevano teso corde della sua senisibilità, rendendola sofferente anche per lievi frizioni. Furono forse questa sofferenza, questa ribellione e inquietudine i fattori che principalmente lo avvicinarono al Recanatese, con cui condivideva anche lo stile epistolare, ricco di estri ironici e dissicratori, con invettive e un pathos eloquente, proprio della sua parte maggiormente sofferente e rivoltata.
E’ lo stesso Leopardi a definire lo scrittore di Piacenza “colui che mi fa sentire la compagnia più dolce che una solitudine disperata”, e ancora nello Zibaldone scrive:

 

“Trovo oggidì meno verosimile l’amicizia fra due giovani che fra un giovane e un uomo di sentimento già disingannato del mondo, e disperato della sua propria felicità.”

 

All’influenza del Giordani è probabile che appartenga la rottura dei legami con l’ideologia paterna, divenuta spesso odiosa: Giordani come figura paterna (Leopardi lo definisce buona e cara immagine paterna, riprendendo Dante), Giordani che porta un’amicizia subito ardente la qual provoca un “tumulto di pensieri, emozioni”, accrescendo la coscienza della sua “orrenda infelicissima vita nel carcere recanatese”, eccitando nuove idee alla sua conversione letteraria, accendendolo di brama, gloria, desiderio di libertà.
Desiderio che si accende in seguito alla visita dello stesso Giordani a Recanati: è il 16 settembre del 1818 quando lo scrittore fa visita al Conte, il cui cuore “suda fino a sgozzare”, la cui salute è malferma, ma la cui gioia in quel dì è tanto grande da spingerlo ad affrontare per la prima volta senza il padre le stradine di Recanati per correre incontro all’amico. Giordani sarà ospite dai Leopardi per qualche giorno, suscitando ammirazione da Paolina e Carlo (fratelli di Giacomo coi quali inizierà una corrispondenza letteraria sebbene non fitta come quella intrapresa con Giacomino), e nel contempo quasi timore da parte dei genitori:

 

 

“La sua venuta fu l’epoca in cui li figli miei cangiarono pensieri e condotta ed io forse li perdetti allora per sempre. Fino a quel giorno mai, letteralmente mai, erano stati un’ora fuori dall’occhio mio , e della madre.”

 

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Nelle discussioni con Giordani si è chiarito che quest’ultimo farà di tutto per togliere Giacomo dalla gabbia recanatese e permettergli di soddisfare quel desiderio di gloria da lui stesso acceso (desiderio che lo spingerà, tra le altre cose, ad una fuga miseramente fallita, un anno dopo).
Un Giordani tuttavia incostante: un Giordani che se difende Recanati (“si Pergama dextra!”) e incita Giacomo a rimanere al sicuro e ben finanziato dai suoi, nel contempo lo sprona ad andarsene; che se gli ricorda la bellezza della vita (“Pensi dunque, io la supplico, a rallegrarsi e rinvigorirsi: e invece di allettare i pensieri negativi, li sfugga”), ad un tratto, preso pure lui dallo sconforto, sembra quasi suggerirgli di abbandonarsi alla madre morte.
E’ comunque sempre colui che crede nel solitario e pensieroso Leopardi, colui che gli permette un soggiorno (seppur non lieto, ma d’altronde Leopardi si definirà amante solo di Pisa) a Firenze, preparando la sua venuta destando molto interesse intorno a lui. Anche negli anni successivi Giordani continuò ad essere per Giacomo, nonostante la crescita, il cambio città e lo stretto rapporto con Ranieri, un punto di riferimento civile, etico, morale. Un’amicizia che solo la morte può stroncare: Giacomo Leopardi, seppur più giovane di Pietro Giordani, scomparve nel 1837. E Giordani non rimase certo a tacere un dolore così rumoroso: nel 1844 scrisse l’epigrafe per la tomba di Leopardi nella Chiesa di San Vitale e, soprattutto, nel ’45 curò il terzo volume dell’edizione Le Monnieri delle Opere, scrivendo un ben importante proemio.

 

 

“Tu ben sai che se mi scrivessi lungamente mi daresti un immenso diletto, e non mi seccheresti come ti piace di dire: ma ragionevolmente non hai di che scrivermi. Amami, come devi, se il riamare è ufficio degli animi ben nati. Io penso a te sempre, e ti adoro come il maggiore spirito ch’io conosca, e come il più caro ch’io abbia. Addio, addio.”

 

 

Era il 6 settembre del 1832. Le ultime parole di Leopardi all’anima che ebbe più cara.

 

 

Arianna Mariolini 

 

Consigliamo la visione del film “Il Giovane Favoloso” (Martone, 2014).

Ecco qui il trailer

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...