Caro amico, ti scrivo..


Torino, 11 maggio 2016

 

Caro lettore, caro amico, cara anima sconosciuta,
prendi il tuo tempo e fermalo, o meglio, lascialo scorrere, ma seguimi.
Ti occorre poco, o nulla.

Una penna, una macchina da scrivere o un qualsiasi altro strumento in grado di riprodurre dei caratteri, delle lettere, delle parole. Un foglio, una pergamena o un qualche altro supporto che riesca a contenerle. E un cuore, pronto a parlare, pronto ad aprirsi, pronto a far uscire tutto quello che ha dentro, o tutto quello che vuole.

Questa è una lettera.

Che la forma epistolare sia una delle più belle e preziose forme di letteratura, di stile e di scrittura, non lo dico mica io, ma lo dice chi ha da sempre adoperato, in un contesto o in un altro, la lettera. Questa sconosciuta ai più, questa specie a rischio di estinzione, questo patrimonio da tutelare. E soprattutto, il suo velo di riservatezza e l’estrema fragilità del legame che si crea tra il mittente e il destinatario, tra chi scrive e chi legge, tra chi parla e chi ascolta.

 

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Probabilmente la lettera è la maniera più diretta e schietta di dire le cose : così, senza paura e senza timore, attraverso delle parole possiamo far comprendere ciò che pensiamo o ciò che vogliamo far capire. Ma la lettera è anche testimonianza, è segno tangibile dello scripta manent; segno del passaggio di qualcuno su questa terra, segno della presenza di qualcuno, della vita di qualcuno e della volontà di quest’ultimo di rendersi eterno. Perché si sa, noi uomini aspiriamo all’eternità e all’immortalità, oltre che alla felicità. Ed ecco che allora scriviamo, che ci raccontiamo, che ci confessiamo, che ci spogliamo dei nostri abiti che utilizziamo quotidianamente e che ci apriamo, cercando all’interno della nostra anima e del nostro cuore le parole più adatte alla situazione o, all’interno della nostra mente, i ricordi, i sogni, le aspirazioni, i rimorsi e tutto ciò a cui rivolgiamo il pensiero.

E oggi, purtroppo, nella “civiltà tecnologica”, noi, così tanto presi da impegni ma alla fine così tanto fermi a guardare il tempo scorrere inesorabilmente, così tanto presi dalla tecnologia fino al punto da non riuscire più a vivere senza un telefono, senza internet o senza un videogioco, così schiavi della società e di ciò che ci circonda, ci dimentichiamo di scrivere, ci dimentichiamo di prenderci 10 minuti e riflettere, pensare. Ci dimentichiamo di tirare fuori la nostra parte umana, la nostra componente che ci rende così belli e veri, così capaci di pensare, di ragionare, di sentire..
Ci dimentichiamo di concederci agli altri in una maniera così preziosa, ci dimentichiamo che forse, se Seneca scrive all’amico Lucilio per parlargli delle questioni morali e filosofiche, della virtù, della felicità, è anche per cercare conforto, per cercare sostegno. Perché Seneca, o chi per lui, avrebbe potuto scrivere per sé le sue belle riflessioni in una qualsiasi forma e poi rileggerle. E quindi? Sì, ci sarebbe rimasta una straordinaria opera – indubbiamente, come già tante altre – ma il messaggio non sarebbe stato lo stesso.

 

http://www.archart.it/wp-content/uploads/2010/07/Seneca.jpg
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Ci dimentichiamo che forse, se Foscolo – sotto la veste di Jacopo Ortis – scrive le sue ultime lettere all’amico Lorenzo Alderani (per quanto esso sia frutto della sua immaginazione), nelle quali racconta tutti i suoi tormenti interiori, le delusioni d’amore e in politica, tutti i suoi pensieri, le sue speranze ed i suoi sogni, lo fa per un disperato bisogno di compagnia, di consolazione e di comprensione (oltre che – volutamente – per costruire una sua immagine ancora più eroica).

http://www.sansepolcroliceo.it/padri/generale/images/immagini-autori/foscolo.jpg
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Ci dimentichiamo che forse, se Antonio Gramsci – e come lui, tanti altri uomini rinchiusi in carcere o costretti all’esilio – scrive dal ’26 al ’37 quasi ininterrottamente,mantenendo una corrispondenza con la madre, con la moglie, con la cognata e con altri cari, lo fa perché ha bisogno di evadere mentalmente da quella prigione, lo fa perché c’è chi – come oggi spesso accade – lo vuole zittire e lo vuole spegnere, lo fa perché ha bisogno della comunicazione con gli altri, perché si ricorda che è uomo e non macchina.

 

http://tottusinpari.blog.tiscali.it/files/2011/01/gramsci2cm6.jpg
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Forse oggi sono cambiati i metodi, gli strumenti e la realtà è diversa da quella che vivevano i tre personaggi già citati. Forse, con ogni probabilità, la lettera era uno dei pochissimi mezzi che ti permettevano in “breve” tempo di raggiungere qualcuno anche in un posto lontano, o comunque il mezzo più veloce per comunicare con altre persone (tolta la comunicazione orale, ma già ne ho parlato). Ma noi oggi possiamo far leggere tutto a tutti, ovunque e comunque : basta digitare qualche carattere sulla nostra tastiera, cliccare un po’ da qualche parte e puf, ecco fatto! Un po’ come ho fatto io, paradossalmente; del resto come avrei potuto scrivere ad ognuno di voi, tolto il fatto che non conosco tutti? Ecco, mi contraddico da solo : parlo dell’importanza di scrivere lettere, ma vado a finire in un blog su internet a scrivere al computer.

Però ci credo.
Perché la lettera, alla fine, è un qualcosa di più profondo, di più penetrante di semplici parole dette – che poi vanno a mescolarsi con altrettanti suoni e poi lì, via col vento – e sì, forse anche di queste scritte al computer, perché probabilmente tra qualche secondo chiuderete la pagina e vi rimarrà poco di quello che avete letto; ma io, nel mio piccolo continuo a sognare, perché la lettera è, in tutti i sensi, scrittura viva.
Ti abbraccio,

Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..