E cantava le canzoni – Rino Gaetano

2 giugno.

Le prime ore di quel giorno, o, per meglio dire, di quella notte.

Una notte di quasi estate, calda, intensa.
Gli amici lasciati poco fa, ore nei locali romani a ridere e cantare.

“Dai Rino, cantaci una delle tue.”
”E che è vi va bene Gianna?”
E si attaccava. Una nota, due, la chitarra, la voce graffiata e quei capelli un poco ricci appiccicati alla fronte.
Era così ogni notte, per il ragazzo calabrese.

Gianna, E Berta filava, la cover di A mano a mano.

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E poi li lasciava tutti.

“Oh mi è venuta ispirazione, vi lascio!”
E lasciava il locale e gli amici.

L’ultima cosa che si vedeva, prima che scomparisse nella nera e notturna solitudine d’artista, l’ultima, prima che si chiudesse la porta alle spalle, erano quei capelli un poco ricci, e le lunghe gambe, magre e sottili.

 

 

Probabilmente nemmeno quella sera fu troppo diversa.

Salì sulla Volvo 343 grigio metallizzato.
Solo, l’artista.

Impugnò il volante e mise in moto.
Forse iniziò a pensare, chi può dirlo.
A creare, in quella testa da artista.

2 giorni prima aveva partecipato al Crazy Bus cantando “E io ci sto”, mentre in quei giorni stava lavorando con Anna Oxa su alcune canzoni. Stava riprendendo, quella carriera che andava crescendo, tra alti molto alti e bassi molto bassi. Dopo il trionfo Sanremese con Gianna non era più stato lo stesso, ad ogni modo. La gente la cantava ancora, dopo tutto quel tempo.

“Ma la notte la festa è finita, evviva la vita, la gente si sveste, comincia un mondo, un mondo diverso, ma fatto di sesso chi vivrà vedrà.”

Rino Gaetano si accese una sigaretta, l’ultima del pacchetto. Dopo quella canzoncina c’erano stati altri album, alcuni criticati, altri apprezzati, il Festivalbar, il Discoestate in cui, rifiutandosi di cantare in playback, al suo turno si era pacificamente seduto indifferente a tutto, una sigaretta stretta tra le labbra sottili.

Rino si riprese dai pensieri e mise in moto.
Per l’ultima volta.

Ancora non poteva saperlo.

Non l’avrebbe saputo mai.

Rino Gaetano percorse via Nomentana.

3:55 del mattino.
Notte. Notte stravolta, che gronda, notte nera e poi rossa di colpo, un oceano mare di stelle in quella pece.

Incrocio con Via San Carlo Fea.

Non si sa bene cosa accadde.
Il camionista, Antonio Torres, l’unico presente (ovviamente)  al momento dell’impatto, l’unico testimone, afferma di aver visto il cantautore cadere con la testa sul volante.

La vettura invase la corsia opposta.

Provò a suonare il clacson, invano.
L’impatto era ormai inevitabile.

“Aprì gli occhi”, disse in seguito.
Rino aprì gli occhi pochi istanti prima che l’impatto avvenisse.

Quegli occhi neri come quella notte.

Quegli occhi che non avrebbe riaperto più.

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Non si sa chi chiamò i soccorsi, ne quanto tardarono.
E nemmeno furono cotanti soccorsi.

Un’ambulanza dei vigili del fuoco, di solito non adoperata in tali emergenze, e soprattutto non attrezzata come una comune ambulanza.

La sua Volvo 343 intanto giaceva lì, giaceva, la sua, sua, Volvo.

La parte anteriore e il lato destro distrutti.
Se ne vantava sempre, Rino, di quell’auto, di quel modello che già una volta, l’8 gennaio, gli aveva salvato la vita contro un pirata della strada.
La macchina era andata distrutta, e lui, uscitosene miracolosamente indenne, ne comprò una nuova, sempre di quel modello, perchè “macchina così resistenti da salvar la vita non ce ne sono più.”

Venne trasportato al San Camillo, dove lo rifiutarono perchè la strutttura “non si poteva certo dire adeguata e ben preparata a situazioni del genere.”

San Giovanni. No, non si può qui, provate da un’altra parte.
In coma, con un violente trauma cranico e un forte colpo del petto contro il volante, venne allora portato al Policlinico Umberto I.
Riportava una frattura alla base cranica, ferite frontali, frattura malare destra e una sospetta allo sterno.

Ma anche qui non fu accettato: il Policlinico non aveva un reparto per craniolesi.

Si tentò un contatto con un altro ospedale dotato di un reparto per traumatologia cranica. CTO della Garbatella, il Policlinico Gemelli e il San Filippo Neri, ma non si riuscì a trovare un posto disponibile.

Anni prima era lì, su quel palco, il cilindro, la maglia a righe rosse e blu, il frack.
”Evviva la vita.”
E ora era lì su una barella d’ospedale.
Sei del mattino.
Quella vita che aveva cantato pulsava in lui come un esile palpito.
Un’ultima volta, un’ultima volta soltanto.

Gaetano spirò.
Alla radio trasmettevano Aida.
La canzone alla sua Italia raccontata attraverso la storia di una donna.
Quell’Italia, quell’Italia di cui aveva cantato le anomalie, le bruttezze, i problemi, una denuncia sociale che secondo alcuni lo avrebbe portato presto alla morte.

 

https://youtu.be/lhfzk9124fw

 

Ma era morto così, come una qualsiasi persona, in un banale e drastico incidente.
O forse no?

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Si celebrarono i funerali. Il 4 giugno, nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, quella in cui avrebbe dovuto sposarsi da lì a poco con Amelia, la sua Amelia. Alle esequie parteciparono parenti, amici, personaggi della musica, dirigenti della RCA e fan.

O forse no? E allora si aprì l’inchiesta.

Secondo la sorella “Rino non è morto per questi fattacci qua, droga, omicidio, scordatevelo, menzogne, no.”
Eppure Rino uscì indenne da un incidente pochi mesi prima. Pirata della strada.
Eppure mancavano testimoni.
Eppure l’anagramma di Antonio Torres, il camionista coinvolto nell’incidente, è “Rosa, Rino, Notte.”
Molti sostengono la sua appartenenza a una Massoneria, dalla quale Rino sarebbe in seguito uscito pentendosene e rivelando dei segreti imporatnti tramite i suoi testi.
Un po’ come per alcuni accadde a Wolfgang Amadeus Mozart.

Un po’ come canta ne “La ballata di Renzo”, canzone rimasta inedita fino a poco tempo fa.

La storia di un ragazzo, Renzo, che muore in un incidente stradale, mentre gli amici sono a bere in un locale romano. La storia di Renzo, che viene rifiutato da tre ospedali.
Il primo, San Camillo.

Poi San Giovanni.

Infine il Policlinico.
Esattamente nello stesso ordine.

Questo induce a pensare e supportare la tesi della massoneria, essendo risaputo come ogni minimo particolare in quelle associazioni appare meticolosamente e, drammmaticamente, studiato.

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« La strada era buia, s’andò al S. Camillo
e lì non l’accettarono forse per l’orario,
si pregò tutti i santi ma s’andò al S. Giovanni
e lì non lo vollero per lo sciopero. »

« C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno che cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale! E si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta…>>

 

Era la fine della primavera dell’81.

Gaetano Rino, cantautore, morì.
Sfiorivano le viole.
Fiorivano quelle note, quelle parole, quelle canzoni.

Fiorivano e fioriscono, defluivano e defluiscono nelle vene, vene, arterie, aorta, lungo i braccio e fin sulla punta delle dita , queste dita, che si accingono a battere gli ultimi tasti per le ultime parole.

Di questo pezzo.

 

Arianna Mariolini

 

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...