Beate tra il Vate: D’Annunzio e le donne

«L’amante più meraviglioso del nostro tempo è Gabriele D’Annunzio. […] D’Annunzio era un così grande amante che poteva trasformare la donna più ordinaria e darle per un momento l’apparenza di un essere celeste».

Così diceva Isadora Duncan, la ballerina americana più raffinata e sensuale del ‘900.
E non era l’unica a dirlo.
Parole del genere circolavano di bocca in bocca, soprattutto tra le donne, le sognatrici, le pettegole, le innamorate.
Non ce n’era una che non conoscesse il nome del Vate.
Gabriele D’Annunzio.

Siamo nel’800. Un secolo totalmente diverso dal 1900: il clima culturale scaturisce un’evidente sensibilità, le figure femminili così oscure, fragili e frivole marcano la Bella Epoque, le tensioni e sconfitte vengono curate dagli uomini gettandosi nelle passioni.
E ne esce una donna elevata.
Che deve essere elevata.
E D’Annunzio sa come fare.
L’amore per lui non è solo il cibo della letteratura, uno dei suoi mezzi di sostentamento: l’amore è fuoco, passione, vita, donna, angelo da elevare e preda da catturare, irresistibile, importante anche per la sua arte (o, almeno, le sue 4000 amanti lo furono di certo).
Alto 1 metro e 64 cm, pelato e cieco da un occhio, non poteva dirsi il Johnny Depp dell’800.
Ma aveva un talento innato per le parole. Le sapeva scegliere, cullarle, donarle con un tono di voce particolare: «[…] Sembra che la sua voce vi domini e distrugga in voi ogni volontà col potere di una forza sconosciuta. Esistono parole più brucianti delle più brucianti carezze … Egli le conosce. Esistono carezze più immateriali delle parole più soavi … Anche queste egli le conosce».
La sua sensibilità femminile faceva letteralmente impazzire il gentil sesso, le atmosfere che creava, le carezze segrete all’anima e al corpo («E poi il ricordo di un bacio: un bacio nel cavo dei ginocchi, […] era lì che bevevi come un’ape, in una carezza che mi fece gemere di letizia»)..

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Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio, Italy

 

Barbara Leoni una delle tante, conosciuta il 2 aprile 1887: la sua storia più lunga e passionale, fatta di sesso e puro eros consumato tra Roma e San Vito. La donna, passionale e piena d’arte, fu musa per il Vate, che trasse da questo amore le pagine romanzate del Trionfo della morte.

«[…] Ho qui tra le mie mani i lenzuoli bianchi dove ho dormito l’ultima volta abbracciata a te. Sono turbata dalla passione, dal desiderio, oh! Se tu fossi uno spirito e potessi volare in questa sera tutta azzurra e tiepida che mi accora!».

Capace di innalzare l’amata alla più rara e sconosciuta felicità, ma capace anche di farle
precipitare nella più cupa sofferenza. Fu ciò che accadde a Giuseppina Mancini, moglie del conte Lorenzo, con la quale il poeta intraprese una storia sofferta e travagliata, fatta di regali e amore, e poi odio e litigi. Storia che lo portò allo squilibrio mentale.

Sui colli di Firenze come in una corte rinascimentale fra levrieri e cavalli galoppando nel «profumo dell’aria, tra la vita vibrante dei campi alla corsa e alla gioia»: questo l’amore con Alessandra di Rudinì Starabba, che lui definì l’amazzone. 27enne vedova e madre, morirà ormai sfiorita nella bellezza e logorata nel corpo per l’uso della morfina e per i tanti interventi chirurgici, nel chiuso del convento delle Carmelitane col nome di suor Maria di Gesù. Ebbe una pessima influenza per l’arte e per la stessa personalità di D’Annunzio.

Regali, eros, amore, fuga d’amore, gravidanza, matrimonio riparatore e 3 figli.
Questo il frutto dalla passione con Maria Hardouin di Gallese.
Fu un matrimonio difficile ed esasperato, soprattutto a causa dei tradimenti di lui (uno dei quali consumato, tra l’altro, con la madre di lei).
Solo in età adulta i due riusciranno a raggiungere un rapporto stabile e civile, basato sul dialogo.

 

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Ma se come marito e amante, D’Annunzio fu infedele e inaffidabile, come padre lo caratterizzarono la tenerezza e disponibilità, seguendo i figli con attenzione nel loro percorso di vita e di studi.
Lo fu anche con Renata, la figlia prediletta, da lui chiamata amorevolmente Cicciuzza, nata dalla relazione con Maria Gravina, nobildonna siciliana, sposata Anguissola, conosciuta nell’estate 1891.
La relazione con Maria fu tormentata e piena di conseguenze legali (gli costò infatti una condanna a 5 mesi di reclusione per adulterio). La passione tra il poeta e la sensuale contessa finirà, come spesso avveniva fra menzogne, ricatti e volgari inganni.

 

E poi arrivò lei.

Alta, testa gonfia di capelli castani, due occhi intensi e malinconici.
E’ già considerata la più grande attrice italiana di teatro, viene invitata in tutte le parti del mondo, da New York a Buenos Aires, da Berlino a Madrid.
E si chiamava Eleonora Duse.
Donna umile e intelligente, forse già sentendo la morsa della tisi, stanca di girare il mondo, è alla ricerca del grande amore.
I due si incontrarono all’Hotel Danieli di Venezia. Poche parole, in realtà.
Lui che la riempie di complimenti grazie al suo dolce linguaggio, lei che ne rimane colpita.
La relazione tra i due avrà però inizio ufficialmente nel 1894, quando lui, in cerca di qualcuno che rappresenti la sua prima opera teatrale, la contatta.
Lei legge per caso il suo Trionfo della morte, e si innamora.
Del testo.
E di Gabriele D’Annunzio.
Un amore e odio quello per il suo “poeta infernale”:

《Preferirei morire piuttosto che passare una notte con quell’odioso essere ma.. oh, lo adoro in tal modo..》

confiderà ad Arrigo Boito, poeta, compositore, fino a quel momento l’uomo più importante della sua vita.
Ma l’amore nasce proprio nel luogo del loro primo incontro, a Venezia.
Una notte infuocata, di baci, eros, passione.
Nemmeno il tempo di permettere il sopraggiungere dell’alba, che l’amante se n’è già andato.
E iniziano le lettere.

Parole. Parole che nella relazione tra i due avranno un ruolo fondamentale, data la loro frequente lontananza (persino quando decidono di andare a vivere insieme).
Le lettere del Vate non ci sono più, forse bruciate dagli eredi della Duse dopo la sua morte.
Quelle di lei, invece, sono ancora là, nel Vittoriale, forse custodite gelosamente da D’Annunzio, in ricordo di quel vero amore. Sono lettere infantili, spesso sgrammaticate, come di qualcuno a cui il pensiero corra più veloce della mano e l’ inchiostro fatichi a tenere dietro agli affanni, ai colpi di tosse, all’ ansia notturna.

«Je vous ecrit à Pescara trop souffrant de votre silence, j’
ai telegraphiè la bas, je suis triste à mourir, ma vie est trop dur et vous ete loin, je vous parle moi continuellment»

Un amore di teatro, non v’è che dire: lei amante fedele, innamorata, paziente.
Lui capriccioso, altalentante, che ricambia quando gli pare, che frequenta amicizie maschili e non di cui “la sua Ghisola” non deve sapere.
“Dove vai?” le chiede lei ogni qualvolta lo vede montare a cavallo.
“Alla ventura!”
“E da che parte?”
“Non dimandare!”
Dove andasse non è difficile immaginarlo, anche se lui ci fornisce la chiara risposta nel suo Libro Segreto.
Scendeva per la vecchia via fiesolana, il Vate.
Giungeva ai cancelli d’una villa, dove due sorelle, suonatrici di virginale e liuto, lo
attendevano, esperte di giochi perversi.
Tre ore s’intratteneva con loro finchè, impaziente, dal viale correva urlando il nome dell’amata:
“Ghisola, Ghisola bella, ti amo, ti amo e per sempre te sola!”, l’infedeltà che riempitva di novità l’amore, incolpevole.
E possiamo immaginare come Ghisola, la qual per tre ore aveva atteso l’amato alla finestra, divorata da dubbi e cattivi pensieri, godesse di quell’impeto amoroso, dei baci, delle carezze, per poi tornare ai dubbi quando scopriva sull’amato profumi nuovi.
Possiamo immaginarla guardarsi allo specchio e chiedersi se non fosse la sua “vecchiaia” (5 anni più di lui) a rendergliela insoddisfacente, ripiegando su donnicciole dai semplici costumi.
D’altronde fin dalla giovinezza il Vate condanna la fedeltà, catena dell’amore: non esiste coppia fedele che rientri nell’ambito amoroso.
Eleonora lo sa, e non gli rimprovera nulla, anzi, attribuisce a sé, topos amoroso, le colpe: troppo vecchia, troppo malata, troppo egoista nel volerlo.
Pure la colpa di aiutarlo e finanziarlo economicamente, e non perché lui si lamenti: quale macchia nell’orgoglio di lui sarà mai donargli tutti quei soldi.
«Non è la creatura normale che ha bisogno di aiuto» gli scrive affettuosa nel consegnargli tutti i soldi guadagnati col teatro, «ma il genio quale sei tu… Ahimè so bene che l’ artista che esegue l’opera d’arte non è l’ opera d’ arte e vi offendiamo noi interpreti voi poeti perché vi si interpreta (vi si tradisce) quasi sempre interpretandovi a modo nostro… pure… un buon strumento, agile, saldo, rispondendo ad ogni corda è necessario all’ opera d’ arte»
Un masochismo estremo e una sensibilità esasperata, anche per via della sua malattia.
Eppure la donna deve essere fedele, e disponibile alle richieste del poeta:

«Voglio possederti come la morte possiede», scrive nel Libro Segreto, «voglio raccoglierti come un fascio spicanardo legato con un vimine, così che possa essere impugnato come l’ asta di un gonfalone. E poi voglio disperderti, soffiare sopra te e disperderti come il tarassaco si disperde al vento, disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel Gran Tutto – Pan».

Ed è proprio durante la loro relazione che D’Annunzio sfoggia al meglio le sue abilità poetiche dando vita a un periodo estremamente produttivo.
Lei nel frattempo parte per Parigi, accolta dalla regina.
Eppure odia la città, la vita, il silenzio di D’Annunzio, che solo il calore del pubblico riesce minimamente a colmare.
E quando arrivano le sue parole per la prima volta, con ardore vi si immerge, crogiolandosi nell’amato.

«Io ho pietà, tenerezza e carezze e indulgenza per quelle che ti amano… ma nessuna di esse ha veduto nell’ anima mia ciò che io traverso loro ho veduto nella tua, ecco perché le sopporto e indulgo loro», gli risponde.
Il guaio però è che D’ Annunzio la tradisce non solo nel cogliere piaceri sessuali con altre, ma anche nell’ affidare i suoi testi ad altre attrici dopo averli promessi a lei e dopo che lei magari si era messa in moto per trovare il teatro, i soldi, gli attori. La Città morta, scritta per lei, e che doveva debuttare a Roma, avrà il suo debutto a Parigi con Sarah Bernhardt. Eppure D’ Annunzio sapeva dare amore e gioia. Sapeva illudere deliziosamente e questo è indispensabile per un dongiovanni. Le sue parole si rivolgevano lusinghiere e incantatrici alla vecchia amante anche quando già faceva l’ amore con la nuova. Eleonora conosce le fragilità di un uomo che ha bisogno di
sentirsi vincente: il corpo di D’Annunzio, non bello, è capace di tenerezze femminili che stupiscono e conquistano chi lo incontra. Lui stesso racconta come nel fare l’ amore, si facesse passivo per lasciare che il ventre della donna prendesse da lui il piacere, senza volere imporre i suoi tempi e le sue energie. A quest’ uomo egocentrico e tirannico, ma cedevole e dolce nei momenti di calore fisico più intenso, Eleonora rispondeva con un amore cieco e invadente che finì presto per annoiare il poeta. Su di lei e sul loro amore, mentre ancora vivevano insieme, D’ Annunzio scrisse un libro, “Il Fuoco”, in cui non esitò a descrivere con crudeltà «lo sfacelo fisico» della sua
compagna quarantenne Eleonora, che intanto si avvia verso la morte precoce, vedendosi portare via.
La figlia di Iorio scritta per lei e accanto a lei, dalla più giovane Irma Grammatica, griderà: «Tu m’ hai accoppata – e con che arte – la tua!».
Fu lei a porre fine all’amore tra i due, chiedendogli di non rivolgerle più parole dolci nelle lettere.
Ma non per questo smise d’amarlo.

Pittsburgh, 21 aprile 1924.
A mille miglia dal proprio paese,
una donna un tempo amata, conosciuta, famosa, divina,
sta spirando sola, abbandonata, dimenticata.
«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato», disse questo, ed Eleonora Duse esalò il final respiro.

“È morta quella che non meritai.”
E per una volta D’Annunzio disse il vero.

 

Arianna Mariolini

Mi chiamo Arianna Mariolini (Ary). Sono nata il 6 gennaio 1998 a Clusone, in provicia di Bergamo, ma attualmente risiedo a Pisogne, un bellissimo borgo bresciano. Dal settembre del 2012 frequento il Liceo classico Decio Celeri di Lovere. Le mie principali passioni sono la letteratura e la musica...