Baudelaire, Il principe delle nubi

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.

A peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule !
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid !
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait !

Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer ;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

(Charles Baudelaire, L’albatros, Les fleurs du mal)

 

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Spesso, per divertirsi, gli uomini d’equipaggio
Catturano degli albatri, grandi uccelli marini,
Che seguono, indolenti compagni di viaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.

E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell’azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.

Com’è goffo e maldestro, l’alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com’è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L’altro, arrancando, mima l’infermo che volava!

Il Poeta somiglia al principe delle nubi
Che abita la tempesta e ride dell’arciere;
Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare

 

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Ci troviamo nella Parigi della prima metà del 1800. Una Parigi diversa da quella della rivoluzione, forse un po’ spenta, ma soprattutto delusa da quelle idee di libertà e di cambiamento che la rivoluzione sembrava aver portato. Era stato un altro fuoco di paglia, anzi, una vera e propria beffa per tutti quelli che credevano di poter cambiare la situazione. Tra la gente comune, tra i reazionari monarchici e i rivoluzionari giacobini, tra i cattolici della Santa Alleanza e i primissimi comunardi, c’è chi non riesce ad essere compreso e ascoltato all’interno della società, c’è chi vive escluso da ogni forma di partecipazione politica, ma soprattutto c’è chi rifiuta il cieco progresso della tecnologia e della scienza nell’ambito della rivoluzione industriale e cerca di riportare l’essere umano  e la natura al centro del mondo, o meglio, il cuore dell’essere umano e la natura viva al centro del mondo.

Il suo nome era Charles Baudelaire, o meglio, è Charles Baudelaire. Perché sebbene siano passati 195 anni dalla sua nascita, le sue poesie sono tra le più lette al mondo e il suo pensiero è ancora vivo ed è destinato a sopravvivere. Un poeta che, nella realtà più squallida e comune, nella monotonia più scarna, ha provato con coraggio ad essere diverso, ad essere una delle voci fuori dal coro, fuori dal comune. Essere diverso, andare oltre quello che gli altri pensavano e credevano, era un rischio enorme, perché ti prendevano per pazzo e ti isolavano, ti sbeffeggiavano e ti criticavano, così come l’albatro sulla nave. Si prendevano gioco di te, che poi in realtà eri enorme rispetto alla loro piccolezza, ma non lo capivano, non lo volevano capire. O forse lo capivano e allora volevano farti soffrire, il fegato rodeva e volevano vederti crollare, volevano farti cadere, volevano metterti in imbarazzo ad ogni costo, volevano spezzarti le ali per non poter più farti volare.

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E Baudelaire aveva anticipato tutti. Baudelaire aveva capito già tanto tempo fa che qualcuno voleva tapparci la bocca. Baudelaire aveva capito già tanto tempo fa che la fantasia era una delle leve che fanno muovere il mondo, e insieme ad essa la libertà. La libertà di essere se stessi, la libertà di scrivere, di pensare, di muoversi senza più paure. E aveva capito che la gente come lui, troppo tesa a pensare, a ragionare sul mondo, troppo presa dai sentimenti e dal cuore, era e sarebbe stata oggetto di scherno. Perché alla fine contava fare i soldi, e non vivere una vita da poveracci nei caffè letterari di Parigi, tra un bicchiere di vino e un po’ di assenzio. Perché alla fine chi se ne frega dei sentimenti, chi se ne importa della poesia : a cosa servono se non c’è profitto? A cosa serve l’arte se non c’è guadagno, interesse? Buttiamoci nel mondo a colori, nella realtà che ci sembra bella ma che è in bianco e nero. E nemmeno, anche il bianco si sta rifiutando di restare, e lascia il nero da solo. Così Charles si rifugia in una delle più belle arti, la poesia, la rende musica senza suonare uno strumento e la rende meraviglia, cuore, anima. La rende viva, in mezzo a quel branco di morti, in mezzo a quella gente che non pensava altro che a sopravvivere in quel gran fumo grigio di realtà. La rende spirituale, in mezzo a chi non capiva il valore della vita e dell’arte, a chi si lasciava ingannare dalle apparenze e dalle cose più futili.

“Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti, ogni giorno d’un passo, nel fetore delle tenebre, scendiamo verso l’inferno, senza orrore”.

Se c’è una cosa che Baudelaire ci ha lasciato, è l’amore, la passione e la sensibilità per l’arte, per la poesia, per la musica, per la vita.  Se c’è una cosa che Baudelaire ci ha lasciato, è un patrimonio stupendo di poesie e di testi da leggere ogni giorno : “ogni uomo in buona salute può fare a meno di mangiare per due giorni; della poesia, mai”.

 

 

 

Roberto Testa

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..