Antonio Gramsci e le lettere dal carcere

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A cura di Roberto Testa

Oggi vorrei parlarvi di un mio amico che sicuramente starà festeggiando il compleanno, non so dove e non so in che maniera. Lui non ha potuto invitarmi, o meglio, non mi ha invitato perché non è un amico a tutti gli effetti, cioè, io lo conosco ma lui non mi conosce… Un po’ come gli amici immaginari dei tempi infantili : però lui non è un frutto di chissà quali giochi mentali, perché ha messo per la prima volta piede su questa terra più di un centinaio di anni fa. Gli amici e i parenti lo chiamano Nino, io pure lo chiamerei così, ma purtroppo non sono riuscito ad avere un effettivo rapporto con lui, quindi lo chiamerò un po’ come lo chiamano tutti : Antonio Gramsci.

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La figura di Gramsci è incredibile. Antonio è riuscito a lasciarci un patrimonio culturale immenso, fatto di lettere, di appunti, di riflessioni e di studi, che è invidiato e studiato da molti (me incluso). Diventa anche problematico andare ad indagare ogni singola componente gramsciana : il Gramsci filosofo, il Gramsci storico, il Gramsci sociologo, il Gramsci politico, il Gramsci appassionato di economia e di letteratura e tanto altro.. Io però, oggi, ho deciso di ricordare Gramsci in un’altra maniera, in un modo completamente diverso : vorrei ricordare il Gramsci uomo.

Sicuramente esistono passi molto più belli e significativi di questi che ho deciso di riprendere, ma la mia lettura per ora è quella delle “Lettere dal carcere” (a cura di Paolo Spriano, Einaudi), quindi voglio valorizzarlo così.

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Lasciamo stare tutto e concentriamoci un attimo. Torniamo indietro nel tempo, al 25 aprile del 1927 (non era ancora la Festa della Liberazione). Antonio si trova nel carcere di Milano (Mussolini aveva deciso che lui sarebbe dovuto restare isolato e lontano dalla politica, perché si sa, spesso le persone intelligenti danno fastidio al potere), dopo una lungo “viaggio” : sono trascorsi 5 mesi dal giorno del suo arresto (8 novembre 1926) e lui in questi cinque mesi ne ha viste di tutti i colori..Roma, Napoli, Palermo, Ustica, Palermo, Napoli, Cajanello, Bologna, Isernia, Sulmona, Castellamare, Bologna, Milano. 5 mesi “movimentati e ricchi di impressioni per uno o due anni di rimuginamento” (lettera a Julca – la moglie – 11 aprile).

E proprio il 25 aprile scrive alla madre :

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera proprio oggi. Ti ringrazio. Sono molto contento delle buone notizie che mi dai, specialmente di Carlo (è il fratello, ndr). Non sapevo quali fossero le sue condizioni di lavoro e di vita. […] Tutti in casa nostra (eccettuato io) hanno creduto di avere uno speciale bernoccolo per gli affari e non vorrei che tutti facessero una esperienza come quella famosa del <<pollaio>>; te ne ricordi? E Carlo se ne ricorda? Bisognerebbe ricordarglielo a sempiterno scorno dei Gramsci che vogliono fare degli affari. Io me ne ricorderò sempre, anche perché quelle galline, che non facevano mai l’uovo, mi hanno beccato e rovinato tre o quattro romanzi di Carolina Invernizio (meno male!). La mia vita scorre sempre però non devi pensare a tutto ciò che pensi e specialmente non devi farti illusioni. Non perché io non sia arcisicuro di rivederti e di farti conoscere i miei bambini […] ma perché sono anche arcisicuro che sarò condannato e chissà a quanti anni. Tu devi capire che in ciò non c’entra per nulla né la mia rettitudine, né la mia coscienza, né la mia innocenza o colpevolezza. E’ un fatto che si chiama politica, appunto perché tutte queste bellissime cose non c’entrano per nulla. Tu sai come si fa coi bambini che fanno la pipì nel letto, è vero? Si minaccia di bruciarli con la stoppa accesa in cima al forcone. Ebbene : immagina che in Italia ci sia un bambino molto grosso che minaccia continuamente di fare la pipì nel letto di questa grande genitrice di biade e di eroi; io e qualche altro siamo la stoppa (o il cencio) accesa che si mostra per minacciare l’impertinente e impedirgli di insudiciare le candide lenzuola. Poiché le cose sono così, non bisogna né allarmarsi, né illudersi; bisogna solo attendere con grande pazienza e sopportazione. Va là, tu sei ancora forte e giovane e ci rivedremo. Intanto scrivimi e fammi scrivere dagli altri : mandami tante notizie di Ghilarza, di Abbasanta, di Boroneddu, di Tadasuni, di Oristano. Zia Antioga Putuzlu, vive ancora? E chi è il podestà? Felle Toriggia, credo. E Nessi cosa fa? E gli zii di Oristano vivono ancora? Zio Serafino sa che ho dato nome Delio al mio bambino? E l’ospedaletto l’hanno finito? E le case popolari a Careddu le hanno continuate? Vedi quante cose voglio sapere. E si parla, come penso, di unire Ghilarza ad Abbasanta? Senza che gli abbasantesi insorgano in armi? E il bacino del Tirso serve finalmente a qualche cosa? Scrivimi, scrivimi e mandami le fotografie specialmente dei bambini. Baci a tutti e tanti tanti a te.

Nino.

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Alla cognata Tania (Tatiana), scrive con un po’ di angoscia, nel 5° anniversario della sua carcerazione..

9 novembre 1931

Carissima Tania,

ti scrivo proprio nel quinto anniversario del mio incarceramento. Cinque anni è pure un bel gruppetto di anni e inoltre si tratta di cinque anni dell’età più produttiva e più importante nella vita di un uomo. D’altronde ormai sono trascorsi e non ho nessuna voglia di fare un bilancio dei profitti e perdite né di lagrimare amaramente su tanta parte dell’esistenza andata al diavolo. Mi pare tuttavia che essi coincidano largamente con un periodo determinato della mia vita fisiologica, cioè siamo necessari per ridurre l’organismo alle condizioni carcerarie. Il malessere che sento da tre mesi a questa parte è certo l’inizio di un periodo in cui la mia vita carceraria si farà sentire più duramente, come un qualche cosa di sempre attuale, che opera permanentemente per distruggere le forze. Credo che il pacco di medicinali che mi scrivi di aver spedito sia già arrivato e che tra qualche giorno potrò averne il contenuto. Poiché si è rinnovato lo scirocco, ho nuovamente avuto delle manifestazioni acute di sofferenza e quindi aspetto di avere a disposizione le medicine che almeno mi diano un sollievo. […] Credo che riuscirò a fumare molto poco, se non addirittura a smettere completamente fra qualche altro tempo. E’ vero però che il fumare poco è legato anche al grado di intensità di lavoro intellettuale; leggo poco e penso meno, cioè non faccio che pochi sforzi intellettuali e perciò posso fumar poco. Non riesco a concentrare l’attenzione su un argomento; mi sento spappolato intellettualmente così come lo sono fisicamente. Credo che questa condizione di cose durerà tutto l’inverno, per lo meno, cioè che in questo periodo il mio sforzo sarà appena sufficiente per non peggiorare, non per riprendermi. Nell’ultima tua cartolina non mi accenni neppure alle tue condizioni di salute : non mi hai scritto se ti sei levata dal letto dopo l’angina. Spero di sì.

Ti abbraccio teneramente

http://tottusinpari.blog.tiscali.it/files/2011/01/gramsci2cm6.jpg
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In preda ad una brutta malattia, poco lontano dalla morte, in una delle sue ultime lettere (estate 1936) alla moglie Julca (Giulia), scriverà..

Cara Giulia,

non so ciò che puoi aver capito dalla mia espressione “finire un ciclo della vita”, ma mi pare che non hai capito con esattezza e che hai dato all’espressione un significato troppo tragico, che io non capisco con esattezza. E poi, non hai ragione quando dice che “né la malattia, né altri fatti possono dividere una vita umana in diversi cicli”. Questo, per dirla con pedanteria, è evoluzionismo volgare e, sotto la sua apparenza di un razionale ottimismo, è una forma di fatalismo quietistico. Ciò che io intendo quando penso che un mio ritiro in Sardegna (che pure sento sarebbe e potrebbe essere utile alla mia salute) sarebbe l’inizio di un nuovo ciclo della mia vita è l’espressione di una analisi ben ponderata, nelle condizioni date, della mia posizione che sarebbe di isolamento completo, di degradazione intellettuale più accentuata dell’attuale, di annullamento o quasi di certe forme di attesa che in questi anni, se mi hanno tormentato, hanno anche dato un certo contenuto alla mia vita. Ma non credo che possa scrivere di questo argomento in modo da dartene un senso profondo. Del resto, e a quanto mi pare per ora il più importante, non devi credere che questi miei sentimenti esprimano scoraggiamento e un qualsiasi pessimismo che dirò “storico”. Ho sempre pensato che la mia sorte individuale era una subordinata; ciò non vuol dire che anche la mia sorte individuale, come quella di ogni altro individuo, non mi preoccupi e anche non mi “debba” preoccupare. Essa preoccupa abbastanza l’”altra parte” perché io possa disinteressarmene, ti pare? Ma mi sento debole fisicamente e la resistenza da svolgere mi pare troppo grande. Tu scrivi che ne discuteremo e io penso che quando tu vorrai venire non è impossibile che ciò ti riesca molto difficile, molto più difficile di ciò sarebbe che sarebbe stato qualche mese fa, anche se ti sentirai più forte fisicamente come è certo e come appare anche oggi dalla tua lettera.
Vedi come sono bislacco : adesso che tu scrivi di poter venire con un senso di maggior sicurezza, io ti faccio delle difficoltà.
[…] Vorrei scriverti molto sulla malattia di Delio, su Julik, ma certi argomenti che riguardano la nostra tenerezza per i figli mi riescono di una difficoltà spaventevole a scriverne, perché mi indeboliscono e mi turbano.
Cara, non sono contento di questa mia lettera (e neanche delle altre precedenti), ma non voglio ricominciare. Spero che tu sia molto molto forte anche per me.

Ti abbraccio,

Antonio.

http://www.russinitalia.it/foto/persone_allegati/int_84.jpg
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Vi lascio con un messaggio di Antonio, tratto da una lettera al piccolo figlio Delio, di datazione incerta ma sicuramente tra le ultime :

Carissimo Delio,

mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutto gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio.

Antonio.