Svankmajer e il suo dialogo distruttore
A cura di Mattia Geraci
Ma è qui che si trova la specificità di quest’arte: come si organizzano tutte le porzioni di realtà, le inquadrature, le immagini in movimento? Semplice, col montaggio, una tecnica che serve – spiegato in termini fondamentali – ad unire più sequenze tra loro, in modo tale da creare il discorso.
Nel corso della storia del cinema ci sono stati molti autori/teorici che hanno basato il loro pensiero sul montaggio. Si pensi a Ejzenstein o Godard. Ma alcuni, invece, sono andati oltre, usando il montaggio per creare mondi estranei al nostro, dei sogni al 100%. E’ il caso di Jan Svankmajer.
Nonostante abbia girato anche dei lungometraggi, Svankmajer è conosciuto principalmente per i suoi cortometraggi sperimentali, in cui viene usata la tecnica dello stop-motion (in italiano passo uno), una tecnica che prevede la messa in sequenza di fotografie diverse tra di loro, in modo tale da creare l’illusione di un movimento. Tramite ciò, Svankmajer mette al centro dei suoi lavori gli oggetti, che tramite lo stop motion prendono letteralmente vita.
Basti prendere in esame il suo lavoro più famoso, Dimensioni del dialogo: paradossalmente, non c’è nessun dialogo in questo cortometraggio, ma questa dissonanza tra titolo e contenuto è molto interessante, come se il regista volesse creare, tramite ciò, un dialogo “spirituale”. Il corto si divide in tre episodi.
Il primo episodio mostra delle teste – molto simili alle “teste composte” di Giuseppe Arcimboldo – che si divorano a vicenda in più occasioni. Le teste sono fatte o con oggetti comuni, oppure con verdure. Nell’attimo in cui l’una divora l’altra, vengono mostrati, ceci, cavoli, patate, cosce di pollo, cucchiai, piatti e forchette vengono completamente distrutti. Da questa descrizione sembra di assistere ad un’assurdità, ma è tutto vero: le teste vengono fotografate in ogni movimento, stessa cosa degli oggetti. Poi, queste foto vengono messe in sequenza, e ciò che viene fuori è incredibile: una vera e propria orgia della distruzione.
Il secondo episodio vede due persone, un uomo e una donna, fatte interamente di argilla, sedute ad un tavolo. Essi comunicano in modo animalesco: iniziano a praticare quello che dovrebbe essere un atto sessuale: baciandosi, le loro teste si uniscono letteralmente. Poi passano ad un litigio, in cui i loro schiaffi distruggono completamente lo sguardo.
Il terzo e ultimo episodio, più comico degli altri, mostra due teste su un tavolo che comunicano tra di loro estraendo dalla bocca diversi oggetti, “parlando” tramite questi.
E’ molto interessante vedere come tutti gli oggetti degli episodi possano muoversi in modo naturale. Sembra infatti che abbiano una loro vita, e tutto questo grazie al montaggio. Senza di questo, le teste di Svankmajer resterebbero delle opere d’arte completamente statiche. E’ anche bello vedere come il regista usi – sempre col montaggio – la “drammaturgia” degli episodi. In particolare nel primo: quando c’è una testa che ne divora un’altra, esse si uniscono in un vortice di oggetti, per poi far vedere altri oggetti che vengono distrutti. Ci viene mostrato, insomma, una specie di litigio, senza aver detto nemmeno una parola.
Mettendo in questione le premesse iniziali, si può dire che Svankmajer, con i suoi stop-motion, riesca a dar vita non solo agli oggetti, ma anche alle foto. Unendo più scatti in sequenza tra di loro, infatti, riesce ad inserire dentro esse il carattere del tempo. Non si tratta più di immagini in cui il tempo viene cristallizzato, bensì di un gruppo di immagini la cui somma produce lo stesso effetto del cinema: la fotografia si converte in movimento.