Eugenio Finardi e la sua musica ribelle

E` la musica, la musica ribelle
che ti vibra nelle ossa
che ti entra nella pelle
che ti dice di uscire
che ti urla di cambiare
di mollare le menate
e di metterti a lottare

Questi versi hanno rappresentato il biglietto di presentazione di uno dei più grandi artisti rock italiani: Eugenio Finardi.

A cura di Marco Cingottini

In un periodo storico come quello degli anni ’70, Eugenio Finardi si segnala tra tutti i cantautori come quello con una dimensione più rockeggiante, retaggio di un periodo di permanenza negli Stati Uniti. Questo grazie alle origini americane della madre, che gli consentono di avere anche il doppio passaporto.

http://classikrock.blogspot.it/2016/03/eugenio-finardi-diesel-1977.html


La sua storia musicale vede la luce grazie ad una interessante etichetta discografica milanese, la Cramps, che nel corso di quegli anni si era messa in luce pubblicando lavori di artisti e band fuori dal coro come Area, Roberto Ciotti e Skiantos: è proprio del periodo con questa label che parleremo in questo articolo. Finardi si accompagna con musicisti validi come il chitarrista italo-brasiliano Alberto Camerini, che illuminerà soprattutto il suo primo album “Non gettate alcun oggetto dai finestrini” (1975), e quel Lucio ”Violino” Fabbri che, qualche anno più tardi, entrerà al posto di Mauro Pagani nella PFM, diventandone una colonna portante.

In questo primo lavoro, dove l’artista cerca di mettere a fuoco il suo sound, spicca la rivisitazione in chiave rock di una canto di protesta “Saluteremo il signor Padrone” che da subito indica quali saranno le tematiche delle sue liriche. Siamo negli anni ’70 e Finardi cerca, nei suoi brani, di raccontare il sociale di quel periodo turbolento segnato da grosse lotte politiche e dallo sviluppo, in maniera indiscriminata, delle droghe pesanti tra le nuove generazioni.

Il disco che lo porta all’attenzione del grosso pubblico è il secondo, splendido, ”Sugo”(1976). A cominciare da “Musica Ribelle”, citata all’inizio di questo articolo. Tutto l’album è impregnato di musica e testi che testimoniano come Finardi fosse attento anche ai cambiamenti epocali. Un esempio è quando fa un elogio delle radio cosiddette “libere”: la liberalizzazione delle onde in FM permise a tanti giovani di poter trasmettere la musica che preferivano, senza alcuna restrizioneE se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente” (“La Radio”).

Ma è anche poetico in “Oggi ho imparato a volare” e inquietante su “La C.I.A.” o “La paura del domani”, tutti testi che parlano delle incertezze e delle paure di quella generazione. “Sulla strada” invece descrive la gioia di andare in tour e di salire su un palco: “e finalmente si comincia a star bene, cantando di gioia e rivoluzione

http://www.lisolachenoncera.it/rivista/primi_piani/eugenio-finardi-e-i-40-di-sugo/

Il suo merito è stato quello di riuscire a coniugare come pochi, testi sociali con sonorità rock e in alcuni casi jazzate, ed Edoardo Bennato gli si avvicinava anche se con una radice più folk grazie alle influenze Dylaniane. In questo è stato aiutato, oltre da i già citati Camerini e Fabbri, da musicisti come Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani componenti di quello stupendo progetto jazz- prog chiamato Area: ascoltare lo strumentale “Quasar” per capire di cosa sto parlando.

Ho voluto volontariamente dilungarmi su “Sugo” perché è il manifesto sonoro di Eugenio Finardi, lavoro che ancora oggi regala momenti emozionanti.

Nel successivo “Diesel”(1977) continua questo percorso con un linguaggio musicale forse più difficile, si sente ancora di più la presenza dei componenti degli Area che danno al disco una dimensione meno commerciale con sonorità più vicine all’universo jazz.

Tra i brani non si può non citare la drammatica “Scimmia”, dove, usando un linguaggio crudo e diretto – viene in mente il Lou Reed di “Heroin” – racconta la sua esperienza di tossicodipendente:

Il primo buco l’ho fatto una sera a casa di un amico così per provare
e mi ricordo che avevo un po’ paura c’è molta violenza in un ago nelle vene

E poi la poetica “Non è nel cuore”, dove racconta l’amore con molta dolcezza: “E l’amore non è nel cuore ma è riconoscersi dall’odore e non può esistere l’affetto senza un minimo di rispetto”. Non manca il brano dedicato alla guerra in Vietnam, allora così attuale ,”Giai Phong”.

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“Diesel” rappresenta l’ultimo lavoro con questo gruppo di musicisti; con il successivo “Blitz” inizia la collaborazione con la band “Crisalide” di cui faceva parte, tra gli altri, il bassista Stefano Cerri, figlio del famoso jazzista Franco e che suonerà, prima di lasciarci prematuramente, nell’ultimo tour di Fabrizio de Andre’.

Con Blitz (1978) torna ad usare un suono più diretto. Con i nuovi musicisti Finardi cerca anche nuove soluzioni, e “Cuba” ne è una testimonianza. “Extraterrestre” invece è il singolo esplosivo: insoddisfazioni, paure personali e voglia di ricominciare altrove, scoprendo che i problemi possono invece amplificarsi, sono alla base di questo brano, ancora oggi uno dei più amati del musicista milanese.

Roccando Rollando” (1979) porta ulteriori cambiamenti al suo suono, abbracciando, tra le altre, quelle atmosfere caraibiche, che in quegli anni erano state valorizzate da Bob Marley e il suo Reggae, e con testi che testimoniano una certa disillusione. E’ anche il più debole degli album di quel periodo e mostra qualche piccola crepa creativa.

Con questo lavoro si chiude non solo il rapporto con la Cramps, ma anche un decennio particolarmente complicato in cui Finardi aveva espresso tutte le sue grandi qualità. Con gli anni ’80, e gli inevitabili cambiamenti della società, modificherà leggermente il suo suono cercando di ritagliarsi comunque un suo piccolo posto nella musica d’autore italiano, portando avanti una carriera sempre di buon livello e che ancora oggi continua a regalarci sempre piacevoli emozioni.

http://faremusic.it/2016/11/01/15885/

 

Roberto Testa

Sono Roberto, un giovane di 20 anni. Studio Storia presso l’Università degli Studi di Torino e Contrabbasso Jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino. La storia è molto probabilmente la passione più grande della mia vita, insieme alla musica, alla filosofia e alla politica..