E. Lévinas, l’esistenzialismo e la violenza dell’Essere

L’Altro si manifesta nell’assoluta resitenza dei suoi occhi indifesi […]. L’infinito nel volto […] mette in questione la mia libertà, che si rivela essere una libertà omicida e usurpatrice.

(La difficile libertà. Saggi sul giudaismo, 1986)

Il Dire indicibile si presta al Detto, all’indiscrezione ancillare del linguaggio abusivo che divulga e profana l’indicibile.

(Altrimenti che essere o al di là dell’esistenza, 1974)

 

Lévinas è semplice. Dobbiamo convincerci di questo. Lévinas è semplice.

Scrive strano, sì, e poi usa un sacco di maiuscole, vero. E sembra uno scioglilingua. Vero tutto. Però è semplice. Lévinas è semplice. Ne siamo convinti? Sì.

Bene: parliamo di Sartre.

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Nella Francia degli anni ’60 l’esistenzialismo era più à la mode che il Mondrian di Yves Saint Laurent, il poliestere, la Renault 4, o ancora Jacques Brel e George Brassens. Da circa vent’anni il gigante Jean-Paul Sartre dominava la scena e occupava tutte le frequenze del dibattito filosofico. In quella Parigi tanto operaio-studentesca e primaverile, l’esistenzialismo (un poco marxista) del filosofo strabico era  certamente il trasfondo concettuale delle infervorate discussioni al Teatro Odéon occupato.  Ma in cosa consiste questa filosofia tanto di tendenza?

Esistenzialismo è una domanda. Cosa ne farai di quest’unica esistenza che ti è data? La scelta è tra infinite possibilità, un panorama tanto immenso da paralizzare nell’angoscia (si veda Kierkegaard). Ma bada bene che Dio è morto (si veda Nietzsche) e non c’è alcuna morale ultraterrena a indicarci la strada.

Sei un essere libero, ogni uomo è un essere libero. Anzi, di più: «l’uomo è libertà» (J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, 1946). Ognuno pertanto scelga la sua esistenza e la segua fino in fondo. Ognuno scelga e costruisca da sé la sua morale. Scelga e costruisca se stesso. Perché ognuno è la sua scelta.

Contiamo quante volte negli ultimi paragrafi è comparso il verbo essere, all’infinito o coniugato, e sapremo quante volte Emmanuel Lévinas (1905 – 1995) ha avuto un brivido di stizza.

Essere. Essere. Essere. Nel 1943 compare l’opera massima di Sartre: L’essere e il nulla nella quale si stabilisce una precisa e netta differenza tra ciò che è “me”, in quanto essere umano dotato di coscienza –che sta qua dentro–, e ciò che è il “mondo” –che sta là fuori–. La differenza consiste in quanto abbiamo illustrato poco fa: quando arrivo nel mondo io non sono nulla, perché mi scelgo da me. Il resto del mondo, ovvero la natura, la città, gli altri esseri umani, sono tutte “cose” che invece stanno lì e sono ciò che sono. Punto. Stanno lì, pronte a essere prese da me, che invece mi costruisco da solo.

Noi siamo una libertà che sceglie, ma non scegliamo di essere liberi: siamo condannati alla libertà.

(L’essere e il nulla, 1943)

Sartre condanna l’umanità intera, ratifica la sua esistenza vittoriosa di umano che si è scelto ma lega indissolubilmente le altre esistenze alle loro proprie responsabilità. Ognuno è anche la sua propria sfortuna: Sartre non ha pietà né rispetto per la debolezza dell’altro umano, quello che non riesce a essere “creatore di mondi e di morali”, che non riesce a costruire da se stesso la sua libera esistenza. [Per un approfondimento sull’esistenzialismo francese si rimanda a un articolo ancora da venire]

Ora, prima ancora di sapere nulla riguardo a questo autore chiamato Emmanuel Lévinas, introduciamo due concetti molto cari alla sua riflessione: il Medesimo e l’Altro.

E diciamo che l’esistenzialismo di Sartre è una teoria dominatrice, totalitaria e pienamente introversa: usando se stesso come misura e metro di paragone, questi concepisce e definisce l’altro essere umano. Il Medesimo concepisce l’Altro. Pertanto questo Altro sarà, nel migliore dei casi, un alleato forte e virile, un campione di vita, un’esistenza fatta di scelte dure e sicure. Sicure di sé.

Questi i termini in cui –secondo Lévinas– il Medesimo capisce e comprende l’Altro: identificandolo a se stesso o, altrimenti, schiacciandolo sotto la sua potente teoria. Capire, carpire, prendere, comprendere.

Nel decennio dei ’60, Emmanuel Lévinas era un professore universitario di mezza età, nato in Lituania, di origine ebraica, passato attraverso una rivoluzione russa, una prima guerra mondiale e sopravvissuto a un genocidio per mano nazista (deportato a Fallingsbote allo scoppiare del secondo conflitto mondiale, prigioniero n. 1492).

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La Shoah è l’evento che scatena, nella sua riflessione filosofica, lo “stupore del silenzio di Dio” di fronte alla tragedia umana. Com’è possibile pensare questo silenzio, estraneità e disinteresse divino, davanti allo sterminio del suo popolo eletto? Per pensarlo, è necessario accogliere pienamente la nozione di alterità irriducibile.

Alterità è senza ombra di dubbio il centro della filosofia lévinasiana. Laddove l’esistenzialismo concepisce, come si è visto, l’altro essere in quanto è un alter ego –ovvero: un altro io–, a questo pensiero Lévinas contrappone quella che si potrebbe definire la nozione di un alter alter: inconcepibile e radicalmente straniero, diverso, l’Altro non mi è mai comprensibile e come tale deve rimanere. Il Dio che assiste silenzioso, tanto quanto l’altro umano, è un’alterità che non posso tradurre nelle categorie con le quali concepisco me Medesimo.

Ma allora, viviamo soli nel nostro ego e non c’è contatto possibile con l’alter?

Niente affatto. C’è un luogo dove l’alterità si fa più vicina e si lascia intuire, intravedere: il volto dell’Altro. Con il suo sguardo. È una porta che ci si apre per un istante e ci offre un poco di visuale su questo altro mondo, su questo cosmo infinito e inafferrabile.

E «le prime parole pronunciate dal volto sono “Tu non ucciderai”. È un ordine […] come se parlasse in qualità di maestro. Tuttavia, al tempo stesso, il volto dell’Altro è misero e sofferente; è il povero per il quale io posso fare tutto e al quale devo tutto» (Ethics and Infinity, 1985). È uno sguardo umano nel quale si esprime tutta la sua debolezza e, al tempo stesso, profonda potenza.

Il volto dell’Altro mi si rivolge, e mi mette in questione, e mi obbliga.

(E. Lévinas, Totalità e infinito)

Il succitato Totalità è infinito è dato alle stampe nel 1961 e, poco poco, modestamente, introduce il suo autore all’interno del dibattito accademico. La sua battaglia è «l’etica come filosofia prima», che tra i suoi tanti significati vuol anche dire l’etica prima di tutto, l’etica in primo luogo. Lévinas ci propone quella che si potrebbe dire un’etica radicale: una filosofia dell’Altro, pensiero per l’Altro, che si prende cura dell’Altro.

Ma la filosofia che ha dominato negli scorsi due millenni e mezzo è una filosofia dell’Essere (ovvero: ontologia): un pensiero totalizzante che indaga, invade, scopre, estrae, identifica, capisce e porta via il suo oggetto d’interesse. In una parola: violenza. Questa è la violenza che il Medesimo esercita sull’Altro. Anche quando la si chiama “amore romantico”, se inteso come identificazione e fusione esistenziale di due esseri distinti, questa resta sempre violenza. Lo spirito romantico coincide con la violenza che Lévinas ha trovato dentro la Shoah, nei caratteri 1 4 9 2 che ha visto incisi sulla sua pelle.

È questo che fa il Medesimo: prende l’Altro e lo fa suo. Non ha nessun rispetto dell’alterità. Lo vuole possedere e identificare, cioè fare identico a sé. L’ontologia non vuole la differenza, non accetta la diversità.

Anche l’esistenzialismo, come si è visto, rimane purtroppo coinvolto in questo pensiero. Ed è proprio a questo, pertanto, che Lévinas contrappone quella che si è detta un’etica radicale: il completo abbandono di sé, del Medesimo, in favore dell’Altro. Nel più profondo rispetto, attenzione, persino devozione, della sua infinita e incomprensibile diversità.

L’etica è perfino la rinuncia alla tanto cantata libertà umana. Nel cedere tutto me stesso in favore dell’Altro, io cedo anche la mia libertà. Non sono più padrone di nulla. L’uomo è libertà, diceva Sartre, ma

La libertà consiste nel sapere che la libertà è in pericolo

(Totalità e infinito)

perché ormai questa mia libertà non è più mia: è in mano all’Altro. Potremmo pur sempre concederci il dubbio di pensare che un’etica tale non possa nulla contro la forza fagocitante di un regime totalitario come lo è stato il nazionalsocialismo. Ebbene, l’etica dell’abbandono all’Altro non è un rimedio alla violenza totalitaria: è il vaccino, è l’antidoto.

Eccomi qua. E di fronte a me: un Altro. Che mi guarda. Che mi offre un brandello di quell’infinito che nasconde dentro di sé. Un infinito che nessun pensiero totalizzante –e totalitario– potrà mai afferrare. Io mi inchino davanti a questo infinito, davanti allo sguardo dell’Altro, e gli offro tutto: questa è l’etica di Lévinas. Tutto qui. Il mio essere non è per me, è essere-per-l’altro.

Certo, il terrore che Lévinas rivela nei confronti dell’Essere, fa della sua filosofia qualcosa di simile a una caccia alle streghe. È questo il rimprovero che il collega Jacques Derrida gli muoverà (in Violenza e Metafisica, 1964): il linguaggio usato da Lévinas conserva traccia della stessa “violenza ontologica” che l’autore cerca di combattere. Il timido filosofo lituano accetta la critica, ed è per questo che nel 1974, in Altrimenti che essere, il suo linguaggio –già tanto confuso e intricato– si fa ancora più enigmatico e ambiguo, nel tentativo di «dire l’indicibile».

È un linguaggio che non tocca l’Altro, che si avvicina e soltanto lo sfiora.

Lascia l’infinito così com’è.


Dicevamo: Lévinas è facile. Ecco, per dire: prendiamo il mare… Sì, ma come lo prendo il mare?

Terraferma è l’Identità del Medesimo, forte e sicuro di sé, con il suo linguaggio fatto di violenze e totalità ––– Alterità è il mare. Lo sguardo dell’Altro, che è una porta sull’abisso infinito, uno sguardo sul mare.

Etica è abbandonare la costa, è salpare dal porto. Ontologia è restare.

Non si può capire. Si può navigare.

 

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bibliografia e sitografia:

 

Cambiano-Mori “Storia della filosofia contemporanea”

Cambiano-Fonnesu-Mori “Il pensiero contemporaneo”

Stanford Encyclopedia of Philosophy (https://plato.stanford.edu/entries/levinas/#LifCar)

filosofico.net a cura di Diego Fusaro (http://www.filosofico.net/levinas.htm)

 

2 thoughts on “E. Lévinas, l’esistenzialismo e la violenza dell’Essere

  • 28 Gennaio 2017 alle 15:49
    Permalink

    Mi piace come hai descritto questi temi così complessi, anche se è vero: Lévinas è semplice 🙂 e io condivido molto della sua filosofia.

     
    • 28 Gennaio 2017 alle 19:30
      Permalink

      Grazie mille per il tuo commento 🙂
      Sì, credo che Lévinas -come tanti altri autori- sia davvero semplice una volta che si intravede che cos’è che “sta dietro” il suo pensiero: da dove arriva? dove vuole arrivare? e, soprattuto, perché sente che è necessario parlare di questa cosa?
      [Se ti interessa, tra un poco dovrebbe arrivare un articolo sul “secondo Heidegger” che io trovo abbastanza lévinassiano e ben poco esistenzialista]
      Un saluto,
      Simone

       

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